Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività di notaio, il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur rivestendo i caratteri dell’obbligazione di mezzi e non di risultato, non può ritenersi circoscritta al compito di mero accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, estendendosi, per converso, a tutte quelle ulteriori attività, preparatorie e successive, funzionali ad assicurare la serietà e la certezza del rogito, e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico (non meno che del risultato pratico) del negozio divisato dalle parti, con la conseguenza che l’inosservanza di tali obblighi accessori dà luogo a responsabilità “ex contractu” per l’inadempimento della obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità.
L’azione di responsabilità contrattuale nei confronti di un notaio, che abbia violato i propri obblighi professionali, può essere accolta, secondo le regole generali che governano la materia risarcitoria, se e nei limiti in cui un danno si sia effettivamente verificato, occorrendo a tale scopo valutare se il cliente avrebbe potuto conseguire, con ragionevole certezza, una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione.
Nel caso della successione legittima da parte dei coeredi chiamati simultaneamente all’eredità con rinunziante, non occorre alcuna accettazione della quota spettante al rinunziante, in quanto l’eredità da essi acquisita comprende anche il diritto di accrescimento relativamente alla parte del rinunziante: la quota dell’erede che rinunzia si accresce ipso iure a favore degli altri coeredi accettanti che avrebbero concorso con rinunziante, senza che occorra da parte loro alcuna specifica accettazione di tale acquisto di diritto; in sede di accrescimento la rinuncia di un coerede alla propria quota diviene senz’altro irrevocabile.
Questi sono i principi espressi dal Tribunale di Milano, Dott.ssa Martina Flamini, con la sentenza n. 10023 del 15.07.2014.
Una cliente conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, il NOTAIO, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza dell’inadempimento del convenuto all’incarico professionale allo stesso conferito.
In particolare, l’attrice deduceva che, in seguito alla morte del di lei marito, in mancanza di testamento, l’eredità, avente ad oggetto la proprietà di un certo immobile, era stata devoluta in parti uguali a quest’ultima ed alla madre del de cuius, ed in seguito al decesso di quest’ultima, ai suoi unici eredi, nella misura di 1/3 ciascuno; la cliente, pertanto, conferiva incarico professionale al NOTAIO per ottenere la predisposizione delle misure necessarie a farle ottenere, con il consenso degli eredi della madre del de cuius, l’intera quota di proprietà dell’immobile, ma il convenuto commetteva errori nella redazione della denuncia di successione e formalizzava atti di rinuncia all’eredità da parte degli eredi della madre del de cuius, in tal modo consentendo l’acquisto, da parte dello Stato, della quota di 16,33% dell’immobile predetto, provocando all’attrice ingenti danni.
Si costituiva in giudizio il NOTAIO, chiedendo il rigetto delle domande attoree, deducendo che la rinuncia all’eredità poteva essere revocata e che, pertanto, non si era verificato alcun danno.
In via generale, il Tribunale di Milano richiamava, preliminarmente, il consolidato orientamento della Corte di Cassazione espresso in proposito, secondo il quale “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività di notaio, il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur rivestendo i caratteri dell’obbligazione di mezzi e non di risultato, non può ritenersi circoscritta al compito di mero accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, estendendosi, per converso, a tutte quelle ulteriori attività, preparatorie e successive, funzionali ad assicurare la serietà e la certezza del rogito, e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico (non meno che del risultato pratico) del negozio divisato dalle parti, con la conseguenza che l’inosservanza di tali obblighi accessori dà luogo a responsabilità “ex contractu” per l’inadempimento della obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità”.
Nel caso in esame, osservava il Giudice adito, ai fini dell’accoglimento della domanda dell’attrice, occorreva stabilire: se il convenuto aveva effettivamente commesso un errore; se tale errore poteva essere superato grazie ad un comportamento diligente del creditore, rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c.; se l’inadempimento del convenuto aveva provocato a parte attrice i danni dalla stessa richiesti.
Invero, proseguiva il Giudicante, nel giudizio di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, è onere dell’attore dimostrare unicamente l’esistenza e l’efficacia del contratto, mentre è onere del convenuto dimostrare di avere adempiuto, ovvero che l’inadempimento non è dipeso da propria colpa.
Nel caso di specie, le difese di parte convenuta, relative al fatto che, in seguito alla rinuncia all’eredità, sarebbe stato possibile formalizzare una revoca della stessa, in tal modo precludendo il diritto all’acquisto della quota ereditaria da parte dello Stato, dovevano ritenersi del tutto prive di pregio.
Ebbene, l’art. 525 c.c. dispone che “fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità”; pertanto, l’accettazione proveniente da chiunque abbia, a qualsivoglia titolo, il potere di acquistare l’eredità comporta la chiusura del procedimento successorio a vantaggio di colui che l’abbia compiuta e determina la contestuale estinzione di tutte le situazioni giuridiche soggettive strumentali a quel procedimento, esaurendo l’ultimo.
Nel caso della successione legittima, da parte dei coeredi chiamati simultaneamente all’eredità con rinunziante, non occorre alcuna accettazione della quota spettante al rinunziante, in quanto l’eredità da essi acquisita comprende anche il diritto di accrescimento relativamente alla parte del rinunziante; a norma del combinato disposto degli artt. 522 e 676 c.c., la quota dell’erede che rinunzia si accresce ipso iure a favore degli altri coeredi accettanti che avrebbero concorso con rinunziante, senza che occorra da parte loro alcuna specifica accettazione di tale acquisto di diritto; in sede di accrescimento la rinuncia di un coerede alla propria quota diviene senz’altro irrevocabile.
Tanto premesso, il Giudice sottolineava che nel caso di rinuncia all’eredità da parte dell’unico chiamato, quest’ultimo perde immediatamente il potere di revocare la rinunzia, perché nell’istante stesso in cui rinunzia, pur in assenza di una successiva accettazione dell’eredità, il procedimento successorio si chiude, esaurendo tutte le situazioni giuridiche procedimentali e, tra esse, anche il diritto potestativo all’acquisto del rinunciante.
Nel caso in esame, atteso che i due chiamati all’eredità della madre del de cuius avevano rinunciato all’eredità, in assenza di altri successibili, ai sensi dell’art. 586 c.c., si era perfezionato l’acquisto automatico in capo allo Stato, senza alcuna possibilità di revoca della rinuncia.
Il Tribunale, dunque, rilevato che il NOTAIO è tenuto ad espletare l’incarico che le parti gli affidano con la diligenza media di un professionista sufficientemente preparato e avveduto, secondo quanto dispone l’art. 1176, 2 comma c.c., osservava che, dal professionista “medio” era senz’altro esigibile la conoscenza degli effetti della rinuncia all’eredità predisposta dal convenuto.
Il Giudice, accertata la responsabilità professionale del convenuto, passava, quindi ad esaminare il profilo del danno risarcibile: in via generale, osservava che l’azione di responsabilità contrattuale nei confronti di un notaio che abbia violato i propri obblighi professionali può essere accolta, secondo le regole generali che governano la materia risarcitoria, se e nei limiti in cui un danno si sia effettivamente verificato, occorrendo a tale scopo valutare se il cliente avrebbe potuto conseguire, con ragionevole certezza, una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione.
Nel caso in esame, ad avviso del Giudice di prime cure, risultava evidente come, in caso di corretta esecuzione dell’incarico professionale, avente ad oggetto la predisposizione delle misure idonee a far ottenere all’attrice l’intera quota di proprietà dell’immobile oggetto di contestazione, l’attrice avrebbe ottenuto l’intera proprietà dell’immobile per cui è causa e non avrebbe dovuto, invece, avere come comproprietario lo Stato; conseguenza immediata e diretta del comportamento inadempiente del professionista potevano, tuttavia, essere però considerati solo i danni legati alla mancata disponibilità dell’intera quota dell’immobile, all’onorario corrisposto al professionista e alle spese di gestione relative alla quota di proprietà dello Stato.
Nulla poteva invece essere riconosciuto a titolo di somme corrisposte al promissario acquirente dell’immobile a titolo di risarcimento danni, di spese amministrative legate alla c.d. regolarizzazione della proprietà dell’immobile, di risarcimento danni non patrimoniali ed a titolo di cd. “perdita di chance”, in mancanza di adeguata prova a sostegno delle avanzate richieste.
Sulla base di quanto esposto, il Tribunale di Milano accoglieva le domande attoree, condannando il NOTAIO alla rifusione delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
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