Per configurare la responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, l’imputazione della responsabilità deve discendere dall’adozione e dalla conseguente esecuzione di un atto illegittimo, assunto in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede. Pertanto, per far ritenere l’agire illegittimo della Pubblica Amministrazione fonte di responsabilità ex art.2043 cc, occorre che esso sia connotato quantomeno da chiari segni di grave negligenza, mala fede, scorrettezza da parte dello Stato – apparato.
Nel caso di specie la Corte ha rigettato il ricorso proposto da un avvocato per la sospensione dalla carica di Commissario Straordinario al fine di ottenere il risarcimento dei danni ad esso provocati dal detto provvedimento.
IL CASO
L’avv. CELESTE BIANCO, con D.M. del 1981 veniva nominato Commissario Straordinario delle Cartiere di Tolentino.
Il professionista, dopo esser stato condannato, con prima decisione, per il reato di peculato commesso nell’esercizio delle funzioni di commissario liquidatore di una cooperativa, veniva sospeso dalla carica.
Ritenendo illecita la sospensione, l’avv. CELESTE BIANCO conveniva innanzi al Tribunale il Ministero dell’Industria, sostenendo che, non essendo egli pubblico dipendente, non era passibile della detta misura cautelare, chiedendo contestualmente la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali ed al prestigio professionale.
Il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda per genericità ed indeterminatezza della causa petendi e del petitum anche nella parte in cui invocava disapplicazione dell’atto amministrativo.
Avverso tale decisione, il CELESTE BIANCO proponeva appello nel quale, riproponeva tutti gli elementi già proposti in primo grado, deducendo l’illiceità e quindi la disapplicabilità dell’atto di sospensione e chiedendo la condanna del Ministero al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
La Corte di appello, rigettava l’appello.
Invero, pur ritenendo ammissibile la domanda, il giudice del merito osservava, tra l’altro:
– che era pacifico che il CELESTE BIANCO, commissario straordinario dal 10/11/1981, era stato condannato per peculato a pena detentiva in relazione all’incarico di liquidatore di una cooperativa vigilata dal Ministero del lavoro;
– che pertanto il Ministero delle attività produttive aveva disposto la sospensione del CELESTE BIANCO L. n. 55 del 1990, ex art.15, comma 4 sexies, ed il predetto aveva presentato le sue dimissioni in data 3.5.1996;
– che la tesi dell’avv. CELESTE BIANCO per il quale la sospensione dalla carica per i fatti indicati non era adottabile ai sensi dell’art.15, comma 4 septies, egli non essendo pubblico dipendente, era infondata posto che il commissario straordinario era pubblico ufficiale e le disposizioni del citato comma 4 septies, si riferivano anche a tali posizioni.
L’avv. CELESTE BIANCO proponeva ricorso per la cassazione di tale sentenza lamentando, tra l’altro, che mai si sarebbe potuta procedere all’applicazione analogica di una misura cautelare riservata a pubblici dipendenti macchiati di reato sintomatico di inaffidabilità ad un comportamento di un pubblico ufficiale officiato dello svolgimento di una funzione in base a mero mandato professionale, oltre alla apoditticità della motivazione che non aveva dato conto della irragionevolezza della misura, applicata al di fuori di ogni requisito di proporzionalità.
LA DECISIONE
La Corte ha rigettato il ricorso, senza provvedere sulle spese atteso che il Ministro non aveva svolto alcuna difesa
In particolare la Corte, premesso in diritto che, per configurare la responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, l’imputazione della responsabilità può discendere dall’adozione e dall’esecuzione di un atto illegittimo assunto in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede.
Pertanto, per far ritenere l’agire illegittimo fonte di responsabilità ex art.2043 cc, occorre che esso sia connotato quantomeno da chiari segni di grave negligenza, mala fede, scorrettezza da parte dello Stato – apparato.
Orbene, confermando quanto già statuito dal giudice di merito, la Corte ha escluso l’ascrivibilità della sospensione de qua a colpa dell’Amministrazione sia affermando che fosse ambigua la previsione dell’art.15, comma 4 septies come introdotto nella Legge n. 55 del 1990, dalla Legge n. 16 del 1992, art.1, al punto da indurre l’Amministrazione in errore applicativo, sia rammentando che a carico del Commissario sarebbe stata comunque adottabile una misura di sospensione – revoca sulla base delle norme di settore (essendo stato l’avv. CELESTE BIANCO condannato con prima decisione per il reato di peculato commesso nell’esercizio delle funzioni di commissario liquidatore di una cooperativa).
Per completezza espositiva si rammenta la norma di cui al citato comma 4 septies, la quale prevede: “qualora ricorra alcuna delle condizioni di cui alle lettere a), b), c), d), e) ed f) del comma 1 nei confronti del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche, compresi gli enti ivi indicati, si fa luogo alla immediata sospensione dell’interessato dalla funzione o dall’ufficio ricoperti; per il personale degli enti locali la sospensione e’ disposta dal capo dell’amministrazione o dell’ente locale ovvero dal responsabile dell’ufficio secondo la specifica competenza, con le modalità e procedure previste dai rispettivi ordinamenti; per il personale appartenente alle regioni e per gli amministratori e i componenti degli organi delle unita’ sanitarie locali, la sospensione e’ adottata dal presidente della giunta regionale, fatta salva la competenza, nella regione Trentino-Alto Adige, dei presidenti delle Province Autonome di Trento e di Bolzano. a tal fine i provvedimenti emanati dal giudice sono comunicati, a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero, ai responsabili delle amministrazioni o enti locali indicati al comma 1”.
Appare inoltre indiscutibile che il Ministero avrebbe dovuto la facoltà di disporre la revoca dell’avv. CELESTE BIANCO ai sensi del D.L. n. 26 del 1979, art.1, conv. in L. n. 95 de 1979, (poi D.Lgs. n. 270 del 1999, art.43) ben potendo dedurre il deficit di affidamento indotto da una condanna quale quella di peculato.
La sospensione immediata e cautelare sarebbe stata una mera anticipazione della revoca fondata su dette ragioni di inaffidabilità e dall’altro canto idonea a fondare un contraddittorio per assumere e valutare le ragioni del sospeso.
A tal uopo la Corte evidenzia che alcuna grave colpa è ravvisabile a carico dell’Amministrazione nella sospensione de qua posto che essa, pur indebitamente “vestita” di un nomen juris non pertinente, venne adottata nell’ambito dei poteri assegnati e nel rispetto dei diritti del destinatario e quindi venne adottata in modo affatto legittimo.
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