ISSN 2385-1376
Testo massima
L’azione di revocatoria esperita contro un sub acquirente, anche quando l’atto originario sia un atto revocabile ex art. 67 lf, è sempre una revocatoria ordinaria, che ha come condizione presupposta la revocatoria fallimentare verso il primo atto della serie, quello compiuto dal fallito.
Quando l’atto originario sia un atto revocabile ex art. 67 l.fall., è irrilevante che le condizioni dell’azione ex art. 67 l.fall. ricorrano anche in relazione dell’acquisto del subacquirente, in quanto l’inefficacia di questo non dipende dalla sua autonoma revocabilità ma, a norma del comma 4 dell’art.2901 cc, dalla soggettiva situazione di mala fede del sub acquirente riguardo all’atto d’acquisto del suo dante causa, consistente nella consapevolezza dei vizi di revocabilità dell’atto originario e, dunque, nella consapevolezza delle circostanze che, ai sensi della legge fallimentare, rendono revocabile l’atto compiuto del fallito.
Poiché la situazione del subacquirente in mala fede può individuarsi sia nei confronti dell’acquirente dell’avente causa del fallito, sia dei subacquirenti successivi in serie, qualora fra l’atto di spossessamento compiuto dal fallito e quello di acquisto del subacquirente convenuto in giudizio si frappongano altri trasferimenti intermedi, per dichiararsi l’inefficacia dell’ultimo acquisto della serie, si dovrà preliminarmente accertare quella di tutti gli atti che ne sono a monte, fermo restando che le condizioni di revocabilità previste dall’art. 67 l.fall. rilevano soltanto in relazione all’atto originario compiuto dal fallito, mentre i successivi trasferimenti fino all’ultimo saranno regolati dal quarto comma dell’art. 2901 c.c..
Perché, quindi, possa avvenire la revocatoria di un qualsiasi sub acquirente occorre, non solo che tutti gli atti intermedi, ciascuno secondo il proprio regime, siano inefficaci ma, sotto il profilo soggettivo, è necessario che l’ultimo acquirente abbia la consapevolezza dell’inefficacia di tutti gli atti precedenti della sequenza seriale, considerata a ritroso.
Questi i principi enunciati dal Tribunale di Napoli, Giudice dott. Stanislao De Matteis, con la sentenza del 13.05.2013, nell’ambito di un’azione proposta da una curatela fallimentare al fine di ottenere la declaratoria di nullità e/o inefficacia di un atto di vendita effettuato dall’avente causa del fallito in favore di terzo sub acquirente e posto in essere lo stesso giorno in cui il detto avente causa aveva ricevuto la citazione relativa alla declaratoria di inefficacia ex art. 64 lf del proprio atto di acquisto a titolo gratuito.
In particolare, è accaduto che la curatela fallimentare aveva agito per la inefficacia ex art. 64 lf di un atto di retrocessione a titolo gratuito intervenuto tra il fallito ed altro soggetto, il quale, il medesimo giorno in cui aveva ricevuto la notifica dell’atto di citazione ad istanza della curatela, aveva sottoscritto atto di compravendita in favore di terzo soggetto.
Successivamente veniva emessa sentenza con cui veniva dichiarata l’inefficacia ex art. 64 lf dell’atto di retrocessione e la curatela promuoveva, altresì, azione di nullità e/o inefficacia del secondo atto traslativo.
Viene, pertanto, affrontata non solo la questione dell’azione revocatoria ordinaria successiva alla inefficacia ex art. 64 l.fall., ma, in speciale modo, quella relativa alle ipotesi in cui l’azione revocatoria fallimentare esercitata con successo dalla curatela fallimentare possa pregiudicare i diritti acquistati dai terzi sub acquirenti ed in che termini.
Il Tribunale ritiene, preliminarmente, doversi risolvere i seguenti interrogativi:
1) il problema dell’ammissibilità tout court dell’azione revocatoria fallimentare nei confronti del sub acquirente rispetto alla vendita effettuata dal soggetto, poi fallito;
2) il problema della legittimazione passiva del soggetto che non sia né acquirente né sub acquirente, ma terzo nella serie sequenziata dei passaggi di proprietà;
3) in caso di risposta positiva, il problema se a carico del terzo si estendano le presunzioni di conoscenza di cui all’art. 67, comma 1, l.fall.;
4) infine, nel caso di risposta negativa al terzo quesito, quale debba essere l’oggetto della mala fede del terzo, cui deve dirigersi l’onere di dimostrazione da parte della curatela, ai fini della sussistenza dell’ipotesi revocatoria.
Con riferimento al primo quesito, il Giudice, muovendo dal presupposto secondo cui la fonte normativa dell’esperibilità dell’azione revocatoria nei confronti dei sub acquirenti dall’avente causa dal fallito debba essere ravvisata non già nell’art. 67 l.fall., bensì nell’ultimo comma dell’art. 2901 c.c., giunge alla conclusione della esperibilità dell’azione, nei confronti non solo del primo sub acquirente ma anche di tutti gli aventi causa in sequenza.
Si osserva, pertanto (così risolvendo anche il secondo interrogativo), in considerazione del riferimento letterale “ai terzi”, o agli “aventi causa”, come non vi sia ragione di scindere, sul piano della legittimazione passiva, tra l’acquirente immediato dall’avente causa dal fallito e gli aventi causa successivi, purché non si interrompa la serie delle situazioni di consapevolezza.
A questo punto, viene chiarito come l’atto del terzo incorra nella sanzione dell’inefficacia relativa, solo se comunque divenga inefficace il diritto del dante causa (Cass. 13500/2007).
Posto, dunque, che l’inefficacia dell’atto del terzo presuppone l’inefficacia dell’atto compiuto del fallito, il Tribunale perviene ad una serie di corollari, e cioè:
A) poiché condizione e presupposto dell’azione verso il subacquirente è l’inefficacia dell’atto del fallito che è all’origine della catena dei trasferimenti, questa inefficacia deve preliminarmente essere accertata (eventualmente in via incidentale), applicandosi ad essa la disciplina sua tipica e speciale; quella dell’art. 67 l.fall. anche con riferimento alle condizioni dell’azione;
B) è irrilevante che le condizioni dell’azione ex art. 67 l.fall. ricorrano anche in relazione dell’acquisto del sub acquirente, in quanto l’inefficacia di questo non dipende dalla sua autonoma revocabilità ma, a norma del comma 4 dell’art. 2901 c.c., dalla soggettiva situazione di mala fede del sub acquirente riguardo all’atto d’acquisto del suo dante causa;
C) poiché la situazione del sub acquirente in mala fede può individuarsi sia nei confronti dell’acquirente dell’avente causa del fallito, sia dei sub acquirenti successivi in serie, se ne deduce che qualora fra l’atto di spossessamento compiuto dal fallito e quello di acquisto del sub acquirente convenuto in giudizio si frappongano altri trasferimenti intermedi, per dichiararsi l’inefficacia dell’ultimo acquisto della serie si dovrà preliminarmente accertare quella di tutti gli atti che ne sono a monte, fermo restando che le condizioni di revocabilità previste dall’art. 67 l.fall. rilevano soltanto in relazione all’atto originario compiuto dal fallito, mentre i successivi trasferimenti fino all’ultimo saranno regolati dal quarto comma dell’art. 2901 c.c.
In altri termini, il Tribunale afferma che l’azione esperibile contro un sub acquirente è sempre una revocatoria ordinaria, che ha come condizione presupposta la revocatoria fallimentare verso il primo atto della serie; quello compiuto dal fallito.
Viene affrontato, a questo punto, il profilo del requisito soggettivo in capo al terzo sub acquirente ed, in particolare, il significato della mala fede, come disciplinato dall’art. 2901 cc e come da intendersi quando l’atto originario sia un atto revocabile ex art. 67 l.fall..
Posto che, nell’ambito della disciplina civilistica della revocatoria ordinaria, la mala fede del terzo consiste nella sua consapevolezza del fatto che il debitore aveva contratto in presenza delle circostante precisate dal primo comma dell’art. 2901 cc, la mala fede del sub acquirente deve essere intesa quale consapevolezza dei vizi di revocabilità dell’atto originario.
Allorquando, invece, l’atto originario sia un atto revocabile ex art. 67 l.fall., la mala fede del terzo deve individuarsi nella consapevolezza delle circostanze che, ai sensi della legge fallimentare, rendono revocabile l’atto compiuto del fallito.
Il Tribunale, dunque, correttamente distingue la situazione soggettiva del primo acquirente, ove la mala fede va individuata nella consapevolezza delle circostanze che rendono revocabile, secondo la legge fallimentare, l’atto compiuto dal fallito, dalla malafede del sub acquirente consistente, invece, nella consapevolezza del vizio di revocabilità che inficia l’atto di trasferimento originario, vale a dire nella consapevolezza che l’immediato acquirente del fallito, al momento del primo atto, era a conoscenza dello stato di insolvenza del fallito (Cass. 13500/2007).
Il Tribunale, poi, non omette di esaminare il regime dell’onere della prova, rilevando come nell’ambito originario della disciplina dell’art. 2901 c.c., la buona fede del terzo, in applicazione del principio generale relativo, debba essere presunta e la malafede del terzo gravi sull’attore in revocatoria.
Rileva, sul punto, come non si possa accedere alla tesi secondo cui le presunzioni che sorreggono le fattispecie del I comma dell’art. 67 l.fall., si estendano dal soggetto che sia entrato in rapporto diretto con il fallito, ai sub acquirenti successivi.
Muovendo dal presupposto che l’azione nei confronti del sub acquirente, in quanto fondata sulla disciplina generale del comma 4 dell’art. 2901 c.c., è un revocatoria ordinaria fondata sul presupposto condizionante di un’originaria revocatoria fallimentare, per cui lo stato soggettivo del terzo si identifica nella consapevolezza della causa di revocabilità dell’atto originario e, in caso di successivo sub acquirente, di quelle degli atti intermedi, il Tribunale correttamente deduce una netta distinzione tra il presupposto soggettivo della revocatoria fallimentare, limitata al primo trasferimento ad opera del fallito, da quello dei trasferimenti successivi.
Rileva, infatti, come il primo possa essere sorretto dalla presunzione della conoscenza dello stato di insolvenza del primo acquirente dal debitore, poi fallito, in quanto quegli è partecipe unitamente al fallito di atti la cui anomalia è indice della partecipazione ad un negozio in danno dei creditori, salvo dimostrazione contraria, mentre per i sub acquirenti, la cui responsabilità è fondata sul comma 4 dell’art. 2901 c.c., manchi una norma di radicazione o di estensione a loro della stessa presunzione coinvolgente i trasferimenti successivi, laddove il divieto di interpretazione analogica dell’art. 67 l.fall. (in quanto norma speciale rispetto a quella generale dell’art. 2901 c.c.) non consente l’estensione della presunzione in esame.
La dimostrazione della consapevolezza da parte del terzo della revocabilità sia del primo atto, sia degli atti intermedi, costituisce, pertanto, onere probatorio gravante sull’attore (Cass. 2423/1996).
In conclusione, poiché la revocatoria proposta contro l’ultimo sub acquirente è un effetto riflesso dell’inefficacia del primo atto e di tutti quelli successivi intermedi, consegue che, sia la regolarità del primo atto sia quella di un atto intermedio della serie, è idoneo ad interrompere la serie dei riflessi successivi.
Perché, quindi, possa avvenire la revocatoria di un qualsiasi sub acquirente occorre non solo che tutti gli atti intermedi, ciascuno secondo il proprio regime, siano inefficaci ma, sotto il profilo soggettivo, è necessario che l’ultimo acquirente abbia la consapevolezza dell’inefficacia di tutti gli atti precedenti della sequenza seriale, considerata a ritroso.
Sulla base di tali premesse in diritto, il Tribunale ha rigettato la domanda proposta dal Fallimento, rilevando come la curatela avesse omesso di provare la mala fede del terzo sub acquirente.
In particolare, pur osservandosi che il primo atto di acquisto fosse a titolo gratuito, in mancanza della pubblicità della sentenza dichiarativa di fallimento (pubblicità che la curatela attrice non aveva allegato), il Giudice ha rilevato come la curatela attrice non avesse dimostrato che il terzo sub acquirente fosse a conoscenza della dichiarazione di fallimento del proprio dante causa.
Non risultando, dunque, provata la conoscenza (e stante, dunque, il difetto di pubblicità fino a prova contraria l’ignoranza) della dichiarazione di fallimento da parte del sub acquirente, il Tribunale ha concluso ritenendo insussistente nel detto terzo la consapevolezza dell’instabilità dell’atto di acquisto a titolo gratuito del proprio dante causa.
Con la sentenza in esame, il Tribunale di Napoli, Giudice dott. De Matteis ha chiarito, grazie anche alla completezza della motivazione, una pluralità di questioni connesse alla ipotesi di azione revocatoria ordinaria esercitata dalla curatela successivamente all’azione revocatoria fallimentare, nonché alla fattispecie della revocatoria fallimentare nei confronti dei terzi sub acquirenti, illustrando, con particolare analiticità argomentativa, il regime probatorio in punto di requisito soggettivo.
Testo del provvedimento
SENTENZA N. ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Napoli, sezione fallimentare, in persona del dott. Stanislao De Matteis, in funzione di giudice unico,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 11191 dell’anno 2010 del ruolo generale degli affari contenziosi, riservata in decisione all’udienza del 26.03.2013 con assegnazione di giorni 20 più 20 per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica,
e vertente
TRA
La curatela del fallimento alfa S.a.s.
ATTRICE
E
tizia
CONVENUTA
NONCHE’
F.D., F.S., F.A., F.C., F.G, F.C
F.P.
CHIAMATI IN CAUSA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 31.03.2010, il curatore del fallimento alfa S.a.s. ha convenuto in giudizio TIZIA al fine di sentir dichiarare: (i) “la nullità assoluta e l’inefficacia dell’atto di vendita intercorso tra la sig.ra TIZIA ed il sig. F.P. a mezzo notar omissis trascritto presso la conservatoria dei RR.lI di Napoli 1 in data 23.02.2001 ai nn. 4220/6069″; (ii) conseguentemente “condannarsi..la convenuta TIZIA all’immediato rilascio di detto immobile”; (iii) condannare “altresì la stessa convenuta al pagamento di un canone a titolo di indennità di occupazione, in misura pari al canone corrente di mercato, dalla data dell’impugnato atto e sino all’effettivo rilascio, così come quantificato nella CTU dell’arch. Gardini effettuata nel giudizio per la declaratoria di inefficacia definito con sentenza n. 9483/2004”; (iv) “condannarsi infine la convenuta al pagamento delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio in distrazione per anticipazione dichiarata”.
A fondamento della domanda esponeva:
che il Tribunale di Napoli in data 01.06.2000 aveva dichiarato il fallimento della ALFA SASA;
che il Tribunale di Napoli, con sentenza del Tribunale di Napoli del 18.12/03.11.2000, aveva esteso il fallimento anche nei confronti dell’altro socio accomandatario F.A., il quale era stato già precedentemente dichiarato fallito in proprio con sentenza del Tribunale di Napoli n. 493/98 del 26.08.1998, poi chiuso in data 18.01.2001 a seguito della revoca della dichiarazione di fallimento disposta con sentenza del Tribunale di Napoli n. 7818/2000 del 31.05.2000;
che, pertanto, in capo al sig. F.A. lo status di fallito veniva acquisito ininterrottamente dalla data del 23.11.2000;
che, da visure effettuate presso la Conservatoria dei RR.II. di Napoli, era risultato che il sig. F.A. con atto per OMISSIS, trascritto in data 07.05.97 ai nn. 8642/6076, aveva accettato una donazione di un immobile di 2,5 vani sito in OMISSIS;
che successivamente con atto di cessione di diritti reali a titolo gratuito, sempre per notaio OMISSIS e quindi soltanto una settimana prima della dichiarazione di fallimento della ALFA S.a.s. (31.05.2000) di cui F.A. era socio accomandatario e sei mesi prima della sua dichiarazione di fallimento in estensione (sent. del 23.11.2000), lo stesso F.A., dichiarando espressamente di non aver interesse al bene a lui donato dal padre F.P., aveva retrocesso il bene al donante;
che, poiché risultava evidente che tale atto era stato posto in essere al solo scopo di depauperare il patrimonio del fallito in danno dei creditori, la Curatela istante, aveva richiesto in via giudiziale la dichiarazione di inefficacia dell’atto per notaio OMISSIS ai sensi dell’art. 64 l.fall. con conseguente condanna del soggetto beneficiario dell’atto (Florio Pasquale) al rilascio dell’immobile in questione, al risarcimento dei danni subiti dalla Curatela del fallimento nonché al pagamento delle indennità di occupazione dalla data dell’occupazione fino all’effettivo rilascio;
che l’atto di citazione per la declaratoria di inefficacia ex art. 64 l.fall. dell’atto di retrocessione era stato notificato al convenuto F.P. in data 22.03.2001 e trascritto presso la conservatoria dei RR.II. di Napoli 1 con nota dell’11.04.2001 ai nn. 5307/7705;
che, con sentenza n. 9483/04 emessa dal Tribunale di Napoli in data 31.07/14.09.2004, passata in giudicato con formula apposta in data 18.01.2005 per mancata opposizione, era stata dichiarata l’inefficacia, ai sensi dell’art. 64 l.fall., nei confronti della massa dei creditori di F.A. dell’atto del 16.05.2000, per notar OMISSIS presso la Conservatoria dei RR.II. di Napoli I ai nn. 7106/11102 intercorso tra F.A. e F.P., avente ad oggetto I’attribuzione di diritti reali a titolo gratuito relativamente all’immobile sito al OMISSIS;
che tale sentenza era stata annotata presso la Conservatoria dei RR.II. di Napoli in data 31.01.2005 ai nn. 2733/369;
che il sig. F.P. in data 22.03.2001 (e cioè nella stessa data in cui aveva ricevuto la citazione per la declaratoria di inefficacia dell’atto di retrocessione), con atto per notar OMISSIS trascritto il giorno successivo presso la conservatoria dei RR.II. di Napoli 1 ai nn. 4220/6069, aveva venduto l’immobile in questione alla sig.ra TIZIA;
che tale ultimo atto di compravendita, effettuato con il chiaro intento di sottrarre l’immobile alla procedura fallimentare relativa al F,A,, era affetto da nullità assoluta, atteso che la dichiarazione di inefficacia dell’atto di retrocessione, cristallizzata nella sentenza passata in giudicato n. 9483/04 emessa dal Tribunale di Napoli, rendeva quest’ultimo atto, nonché tutti quelli ad esso successivi tamquam non esset;
Instauratosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio TIZIA con comparsa depositata il 21.06.2010 chiedendo il rigetto della domanda stante la sua buona fede e l’anteriorità della trascrizione dell’atto di acquisito rispetto alla trascrizione dell’atto citazione ex art. 64 l.fall. In ogni caso chiedeva di essere autorizzata a chiamare in casi gli alienanti F.P. e P.A.
Autorizzata la chiamata in causa e spostata la prima udienza di trattazione, F.P. rimaneva contumace. Si costituivano in giudizio, viceversa, gli eredi di P.A., F.D., F.S., F.A., F.C., F.G., F.C., eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva per aver rinunciato formalmente all’eredità della madre.
Successivamente allo scambio delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., l’istruttore con ordinanza dell’11.10.2012, preso atto che né la curatela attrice, né la convenuta avevano articolato mezzi istruttori, invitava le parti a precisare le conclusioni.
Precisate le conclusioni all’udienza del 26.03.2013, la causa veniva riservata in decisione con assegnazione di giorni 20 più 20 per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La curatela del fallimento ALFA S.a.s. chiede dichiararsi “la nullità assoluta e l’inefficacia dell’atto di vendita intercorso tra la sig.ra TIZIA ed il sig. F.P. a mezzo notar OMISSIS trascritto presso la conservatoria dei RR.lI di Napoli 1 in data 23.02.2001 ai nn. OMISSIS”.
A fondamento della domanda ha dedotto che l’atto di “acquisto” dell’alienante F.P. è stato dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 64 l.fall. nei confronti della massa dei creditori del fallimento di F.A.
Quest’ultima circostanza, a dire della curatela, facendo “retrocedere la proprietà dell’immobile in capo al fallito F.A., ha come sua conseguenza l’acquisizione dell’immobile stesso alla massa passiva del fallimento, rendendo non opponibile alla massa dei creditori del fallimento gli atti posti in essere in loro danno” (v. pag. 4 dell’atto di citazione);
Da ciò discenderebbe, sempre a dire della curatela, la nullità assoluta dell’atto per notaio OMISSIS, “atteso che la dichiarazione di inefficacia dell’atto di retrocessione, cristallizzata nella sentenza passata in giudicato n. 9483/04 emessa dal Tribunale di Napoli, rende quest’ultimo atto, nonché tutti quelli ad esso successivi tamquam non esset” (v. pag. 4 dell’atto di citazione).
Nel costituirsi in giudizio, TIZIA ha chiesto il rigetto della domanda stante la sua buona fede e l’anteriorità della trascrizione dell’atto di acquisito rispetto alla trascrizione dell’atto citazione ex art. 64 l.fall.
All’evidenza la questione concerne il seguente interrogativo: in quali ipotesi l’azione revocatoria relativa ad atti a titolo gratuito esercitata con successo dalla curatela fallimentare possa pregiudicare i diritti acquistati dai terzi sub acquirenti ed in che termini.
Individuata così la fattispecie e l’oggetto della trattazione, si pone una serie concatenata di questioni, così individuabili:
1) il problema dell’ammissibilità tout court dell’azione revocatoria fallimentare nei confronti del subacquirente rispetto alla vendita effettuata dal soggetto, poi fallito;
2) il problema della legittimazione passiva del soggetto che non sia né acquirente né subacquirente, ma terzo nella serie sequenziata dei passaggi di proprietà;
3) in caso di risposta positiva, si pone il problema se a carico del terzo si estendano le presunzioni di conoscenza di cui all’art. 67, comma 1, l.fall.;
4) infine, nel caso di risposta negativa al terzo quesito, occorre determinare quale debba essere l’oggetto della mala fede del terzo, cui deve dirigersi l’onere di dimostrazione da parte della curatela, ai fini della sussistenza dell’ipotesi revocatoria in esame.
Il primo quesito (ammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti degli aventi causa dell’acquirente dal fallito), è già stato ampiamente risolto dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. 16 marzo 1977 n. 1041; 25 settembre 1978 n. 4279; 14 gennaio 1980 n. 322; 25 giugno 1980 n. 3983), con una logica sequenza argomentativa.
Ed invero, da un lato deve rilevarsi che l’art. 67 l.fall.. delinea, come oggetto della revocatoria fallimentare, esclusivamente negozi o atti giuridici intervenuti tra il debitore, poi fallito, ed un terzo soggetto. La lettera dell’art. 67 l.fall., in definitiva, nelle varie fattispecie previste non coinvolge direttamente nell’azione revocatoria fallimentare alcun altro soggetto che non sia il destinatario diretto di un atto del fallito o il partecipe di un negozio intervenuto con il debitore insolvente.
D’altro lato l’art. 2901, comma 4, c.c. per la revocatoria ordinaria prevede che l’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, consentendo di ritenere, con argomento a contrariis, che i terzi acquirenti di mala fede subiscono invece l’effetto pregiudizievole dell’inefficacia dell’atto intervenuto tra il debitore ed il suo avente causa diretto.
L’art. 66, comma 2, l.fall., delineante il regime della revocatoria ordinaria nel fallimento, richiama con altri termini sostanzialmente la disciplina del quarto comma dell’art. 2901 c.c., prevedendo l’esperibilità dell’azione sia nei confronti del contraente immediato, sia nei confronti dei “suoi aventi causa” nei casi in cui sia proponibile contro costoro.
Ritenendo l’identità sostanziale e funzionale tra la revocatoria ordinaria e quella fallimentare, deve rilevarsi che tale identità si rivela anche sul piano testuale, attraverso la norma di collegamento contenuta nell’art. 2904 c.c., che contiene un chiaro rinvio (qualificato come tale nell’intestazione dell’articolo) alle disposizioni sulla revocatoria contenute nella legge fallimentare.
Il collegamento tra le norme della legge fallimentare e l’art. 2904 c.c. assume un duplice significato:
a) il significato evidente dell’applicazione, in alternativa rispetto alle norme generali, di quelle speciali se ed in quanto queste dispongano;
b) il significato ulteriore che, in mancanza di norme particolari, si applicano all’istituto speciale le norme generali degli artt. 2901 – 2904 c.c., contenute nella sezione riguardante la revocatoria ordinaria. (Cass. 25 giugno 1980 n. 2780).
Tra le norme citate, aventi caratteristica di disciplina generale applicabile nel caso che quella speciale non disponga, vi è per l’appunto l’ultimo comma dell’art. 2901 c.c. che prevede e disciplina la revocatoria verso i terzi suacquirenti.
Da ciò la necessaria conclusione non solo che la revocatoria fallimentare è ammissibile verso costoro, ma altresì che il fondamento dell’azione riposa non già nell’artt. 67 l.fall., (che, stabilendo le condizioni dell’azione, corrisponde ai primi tre commi dell’art. 2901 c.c.), bensì sull’ultimo comma dell’art. 2901 c.c.
Individuata la fonte normativa dell’esperibilità dell’azione revocatoria nei confronti dei subaquirenti dall’avente causa dal fallito, conseguente è la deduzione che l’azione è esperibile, non solo nei confronti del primo subacquirente ma è estensibile a tutti gli aventi causa in sequenza.
Ciò si deduce sia dalla lettera del comma 4 dell’art. 2901 cc, che trova rispondenza nell’art. 66 l.fall., laddove il riferimento letterale è “ai terzi”, o agli “aventi causa” che si trovino in una situazione di conoscenza qualificabile come mala fede, e ciò senza limitazione nella serie sequenziata dei possibili “terzi”, sia dalla sistematica in cui la disciplina si inserisce. Se, infatti, la ragione dell’estensione di un’originaria efficacia ai terzi che dell’originario rapporto non furono parti, deve ricercarsi nella mala fede di detti terzi i quali, avendo operato nella consapevolezza del vizio originario, non meritano tutela giuridica, non vi è ragione di scindere, sul piano della legittimazione passiva, tra l’acquirente immediato dall’avente causa dal fallito e gli aventi causa successivi, purché non si interrompa la serie delle situazioni di consapevolezza.
A questa conclusione si perviene, inoltre, attraverso l’individuazione dell’oggetto tipico dell’azione, con riguardo a ciò che può differenziarlo dalla revocatoria nei confronti dell’immediato avente causa dal fallito.
Tale oggetto emerge ad evidenza dal comma 4 dell’art. 2901 c.c.; esso, diversamente dal caso della revocatoria contro l’avente causa dal fallito, verte non tanto sull’inefficacia intrinseca dell’atto di acquisto del subacquirente, ma sull’inefficacia riflessa su quest’ultimo atto di quella intrinseca dell’atto originario compiuto dal fallito.
Ne consegue che l’atto del terzo incorre nella sanzione dell’inefficacia relativa, solo se comunque diviene inefficace il diritto del dante causa (Cass. 13500/2007).
Dalla constatazione che l’inefficacia dell’atto del terzo ha come condizione e premessa originaria, l’inefficacia dell’atto compiuto del fallito, derivano una serie di corollari, e cioè:
A) poiché condizione e presupposto dell’azione verso il subacquirente è l’inefficacia dell’atto del fallito che è all’origine della catena dei trasferimenti, questa inefficacia deve preliminarmente essere accertata (eventualmente in via incidentale), applicandosi ad essa la disciplina sua tipica e speciale; quella dell’art. 67 l.fall. anche con riferimento alle condizioni dell’azione;
B) è irrilevante che le condizioni dell’azione ex art. 67 l.fall. ricorrano anche in relazione dell’acquisto del subacquirente, in quanto l’inefficacia di questo non dipende dalla sua autonoma revocabilità ma, a norma del comma 4 dell’art. 2901 c.c., dalla soggettiva situazione di mala fede del subacquirente riguardo all’atto d’acquisto del suo dante causa;
C) poiché la situazione del subacquirente in mala fede può individuarsi sia nei confronti dell’acquirente dell’avente causa del fallito, sia dei subacquirenti successivi in serie, se ne deduce che qualora fra l’atto di spossessamento compiuto dal fallito e quello di acquisto del subacquirente convenuto in giudizio si frappongano altri trasferimenti intermedi, per dichiararsi l’inefficacia dell’ultimo acquisto della serie si dovrà preliminarmente accertare quella di tutti gli atti che ne sono a monte, fermo restando che le condizioni di revocabilità previste dall’art. 67 l.fall. rilevano soltanto in relazione all’atto originario compiuto dal fallito, mentre i successivi trasferimenti fino all’ultimo saranno regolati dal quarto comma dell’art. 2901 c.c.
In quest’ambito si può sostenere che l’azione esperibile contro un subacquirente è sempre una revocatoria ordinaria, che ha come condizione presupposta la revocatoria fallimentare verso il primo atto della serie; quello compiuto dal fallito.
Con ciò si è data risposta ai primi due quesiti proposti.
Occorre ora chiarire in che cosa consista la buona, o mala fede, del terzo subacquirente e con riferimento a quali situazioni (quale debba essere l’oggetto, vale a dire, della situazione soggettiva del terzo utile al fine).
Nell’istituto fondamentale disciplinato dell’art. 2901 c.c., la mala fede del terzo consiste nella sua consapevolezza del fatto che il debitore aveva contratto in presenza delle circostante precisate dal primo comma dello stesso articolo; la mala fede, quindi, consiste nella consapevolezza dei vizi di revocabilità dell’atto originario.
Quando l’atto originario, peraltro, sia un atto revocabile ex art. 67 l.fall., la mala fede del terzo deve individuarsi nella consapevolezza delle circostanze che, ai sensi della legge fallimentare, rendevano revocabile l’atto compiuto del fallito.
Se, dunque, la malafede del primo acquirente va individuata nella consapevolezza delle circostanze che rendono revocabile, secondo la legge fallimentare, l’atto compiuto dal fallito, la malafede del subacquirente consiste, invece, nella consapevolezza del vizio di revocabilità che inficia l’atto di trasferimento originario, vale a dire nella consapevolezza che l’immediato acquirente del fallito, al momento del primo atto, era a conoscenza dello stato di insolvenza del fallito (Cass. 13500/2007).
Si pone, quindi, una netta distinzione tra la fase dell’azione riguardante la revocabilità dell’atto compiuto dal fallito e quella diretta a revocare l’acquisto del subacquirente consiste nella consapevolezza del vizio di revocabilità che inficiava l’atto di trasferimento originario, per cui sarebbe insufficiente puntualizzare la situazione soggettiva sull’eventuale scientia decoctionis da parte del subacquirente al momento del proprio acquisto, essendo essenziale la dimostrazione, invece, della scientia decoctionis dell’immediato acquirente dal fallito al momento del primo atto della serie, e della consapevolezza del vizio originario dell’atto da parte del successivo acquirente al momento del proprio acquisto.
La prova dell’essere il subacquirente stato a conoscenza della circostanza che rendeva revocabile l’atto intervenuto tra il fallito ed il suo immediato avente causa, è condizione necessaria e sufficiente per il riflettersi dell’inefficacia di quell’atto nei confronti del subacquirente.
Nel caso peraltro che il soggetto convenuto non sia il primo subacquirente successivo, poiché, come rilevato, l’inefficacia dell’ultimo atto della serie è la conseguenza dell’inefficacia di tutti i trasferimenti precedenti, la mala fede dell’ultimo subacquirente dovrà essere attinenza non solo alle condizioni di inefficacia del primo atto compiuto dal fallito, ma anche di quelli di tutti gli atti interposti ed intermedi. Poiché la revocatoria proposta contro l’ultimo subacquirente è un effetto riflesso dell’inefficacia del primo atto e di tutti quelli successivi intermedi, consegue che, sia la regolarità del primo atto sia quella di un atto intermedio della serie, è idoneo ad interrompere la serie dei riflessi successivi. Perché, quindi, possa avvenire la revocatoria di un qualsiasi sub acquirente occorre, solo che tutti gli atti intermedi, ciascuno secondo il proprio regime, siano inefficaci ma, sotto il profilo soggettivo, è necessario che l’ultimo acquirente abbia la consapevolezza dell’inefficacia di tutti gli atti precedenti della sequenza seriale, considerata a ritroso.
Delineate le condizioni di revocabilità dell’atto di un subacquirente, occorre rilevare come debba essere ripartito l’onere della prova.
Nell’ambito originario della disciplina dell’art. 2901 c.c., la buona fede del terzo, in applicazione del principio generale relativo, deve essere presunta e la malafede del terzo, una volta che secondo il regime ordinario, l’onere della prova delle circostanze legittimanti l’azione contro il primo avente causa dal debitore (consilium fraudis ed aventus damni) grava sull’attore in revocatoria.
Peraltro se ciò vale per la revocatoria ordinaria, altrettanto deve valere per la revocatoria fallimentare contro il terzo acquirente, poiché, come già rilevato, anche questa è in realtà una revocatoria ordinaria, in quanto disciplinata dall’ultimo comma dell’art. 2901 c.c., e fondata sul presupposto di un’originaria revocatoria fallimentare.
Nè si può accedere alla tesi secondo cui le presunzioni che sorreggono le fattispecie del I comma dell’art. 67 l.fall., si estendano dal soggetto che sia entrato in rapporto diretto con il fallito, ai subacquirenti successivi.
Si è già rilevato come l’azione nei confronti del subacquirente, in quanto fondata sulla disciplina generale del comma 4 dell’art. 2901 c.c., è un revocatoria ordinaria fondata sul presupposto condizionante di un’originaria revocatoria fallimentare; si è già puntualizzato che lo stato soggettivo del terzo si identifica nella consapevolezza della causa di revocabilità dell’atto originario e, in caso di successivo subacquirente, di quelle degli atti intermedi.
Dalle indicate premesse si deduce una netta distinzione tra il presupposto soggettivo della revocatoria fallimentare, limitata al primo trasferimento ad opera del fallito, da quello dei trasferimenti successivi.
Il primo può essere sorretto dalla presunzione della conoscenza dello stato di insolvenza del primo acquirente dal debitore, poi fallito, in quanto quegli è partecipe unitamente al fallito di atti la cui anomalia (vendita a prezzo vile, per quanto qui possa interessare) è indice della partecipazione ad un negozio in danno dei creditori, salvo dimostrazione contraria.
Per i subacquirenti, la cui responsabilità è fondata sul comma 4 dell’art. 2901 c.c., manca una norma di radicazione o di estensione a loro della stessa presunzione coinvolgente i trasferimenti successivi, mentre il divieto di interpretazione analogica dell’art. 67 l.fall. (in quanto norma speciale rispetto a quella generale dell’art. 2901 c.c.) non consente l’estensione della presunzione in esame.
La dimostrazione della consapevolezza da parte del terzo della revocabilità sia del primo atto, sia degli atti intermedi, costituisce onere probatorio gravante sull’attore (Cass. 2423/1996).
Nè può sostenersi che, così ritenendo, vengono favoriti gli atti in frode ai creditori, operati con interposizione di terzi. A parte il rilievo che anche l’interposizione fittizia di terzi deve essere oggetto dell’onere della prova di chi la adduca, resta il fatto che, man mano che ci si allontani dall’atto compiuto dal fallito, all’esigenza di tutela dei creditori si affianca, e diviene preminente, l’esigenza della certezza dei rapporti giuridici nel tempo, certezza che verrebbe non lievemente vulnerata qualora tutta la serie delle vendite successive fosse revocabile su una serie ininterrotta di presunzioni di conoscenza del presupposto soggettivo della revocatoria sia del primo atto, sia degli atti successivi indiscriminatamente. Non è individuabile alcuna norma che determini detta estensione nell’originaria presunzione a tutti i trapassi successivi; non l’art. 67 che dispone, come indicato in premessa solo per il primo atto della serie; non l’art. 2901, comma 4, c.c., che radica la consapevolezza ad un oggetto preciso e ad un onere probatorio gravante sull’attore.
Su tali premesse, la domanda attorea non può che essere rigettata.
Deve innanzitutto rilevarsi come la curatela attrice, nell’invocare la nullità assoluta dell’atto di vendita intercorso tra la sig.ra TIZIA ed il sig. F.P. a mezzo notar OMISSIS trascritto presso la conservatoria dei RR.lI di Napoli 1 in data 23.02.2001 ai nn. 4220/6069, non abbia esercitato, come viceversa avrebbe dovuto, l’azione revocatoria nei confronti del subacquirentre TIZIA (revocatoria che non produce né può produrre l’invocata nullità assoluta).
A parte l’errore nella scelta dell’azione (di nullità piuttosto che revocatoria), la stessa curatela attrice si è irrimediabilmente sottratta all’onere di dimostrare che la TIZIA, subacquirente a titolo oneroso (con atto pacificamente trascritto anteriormente alla trascrizione, contro il suo dante causa, della domanda vòlta a far accertare l’inefficacia ex art. 64 l.fall.), fosse in mala fede e, cioè, consapevole dell’instabilità dell’atto di acquisto del suo dante causa.
Ed infatti, la curatela attrice, sull’errato presupposto che la dichiarazione di inefficacia ex art. 64 l.fall. non consentisse “ex tunc” (v. pag. 5 della memoria di replica) a F.P. di validamente sottoscrivere il contratto di compravendita in favore della TIZIA “atteso che di tale immobile lo stesso non risultava più proprietario sin dal 07.05.1997” (v. pag. 7 della memoria di replica), ha ritenuto irrilevante la prova (e prima ancora l’allegazione) della mala fede della TIZIA (“pertanto indipendentemente dalla buona fede dell’acquirente
..l’atto di compravendita
.deve essere dichiarato inefficace
..”: pag. 7 della memoria di replica).
E se è vero che l’atto di acquisito del dante causa (F.P.) è a titolo gratuito è anche vero che, in mancanza della pubblicità della sentenza dichiarativa di fallimento (pubblicità che la curatela attrice ha finanche omesso di allegare), la stessa curatela attrice è venuta meno di dimostrare che la TIZIA fosse a conoscenza della dichiarazione di fallimento di F.A..
Non risultando, dunque, provata la conoscenza (e stante, dunque, in difetto di pubblicità fino a prova contraria l’ignoranza) della dichiarazione di fallimento da parte del subacquirente, non può affermarsi che, stante la pubblicità dell’atto di retrocessione, la TIZIA fosse per ciò solo consapevole dell’instabilità dell’atto di acquisto a titolo gratuito di F.P.
E ciò senza potersi tacere che la curatela ha anche omesso di allegare (e, quindi, di provare) di aver trascritto la sentenza dichiarativa di fallimento sull’immobile oggetto della successiva cessione a titolo oneroso alla TIZIA.
Ragion per cui, a prescindere da ogni altra considerazione dirimente riguardante l’art. 2652, n. 5, c.c. (che menziona le domande di revoca degli atti soggetti a trascrizione), la relazione non può che sussistere tra la trascrizione della domanda ex art. 64 l.fall. e la trascrizione dell’atto di acquisto del subacquirente, trascrizione quest’ultima antecedente alla trascrizione della domanda ex art. 64 l.fall.
Il rigetto della domanda della curatela, esonera il tribunale dall’esame della domanda di garanzia proposta dalla TIZIA, e ciò senza potersi qui tacere che la rinuncia all’eredità di P.A. da parte F.D., F.S., F.A., F.C., F.G, F.C., di certo non consentirebbe (così come malamente richiesto) l’estromissione dal giudizio quanto piuttosto il rigetto della domanda perché non proposta nei confronti dei titolari dal lato passivo del rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
Sussistono giusti motivi (stante la delicatezza e la complessità delle questioni trattate) per dichiarare interamente compensate le spese di giudizio tra tutte le parti in causa.
Quelle nei rapporti tra la convenuta ed il terzo chiamato in causa F.P. rimasto contumace, vanno, invece, dichiarate non ripetibili.
PQM
Il tribunale, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta dal curatore del fallimento della ALFA S.a.s. nei confronti di TIZIA, con atto di citazione notificato il 31.03.2010, ogni altra domanda, eccezione o conclusione disattesa, così provvede:
– rigetta la domanda;
– dichiara integralmente compensate le spese di giudizio tra le parti costituite;
– dichiara irripetibili le spese di lite nei rapporti tra la convenuta ed il terzo chiamato in causa Florio Pasquale, rimasto contumace.
Così deciso in Napoli, in data 13 maggio 2013
Il giudice unico
dott. Stanislao De Matteis
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