Segnalazione e commento a cura dell’Avv. Guido Giusti dello STUDIO LEGALE GIUSTI ASSOCIATI di MODENA
La pronuncia affronta un tema sul quale non vi è uniformità di orientamenti, soprattutto quanto ai risvolti processuali: ovvero se il cessionario di un credito possa giovarsi degli effetti della sentenza ottenuta dal cedente che abbia vittoriosamente esperito un’azione revocatoria nei confronti del debitore ceduto.
Al quesito, la Corte risponde senza mezzi termini che la sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria giova ope legis al cessionario del creditore, analizzando gli elementi sistematici che corroborano tale conclusione.
In primis, l’art. 2902 c.c. prevede che il creditore, per effetto della dichiarata inefficacia dell’atto dispositivo, può promuovere l’azione esecutiva nei confronti dell’avente causa del debitore. Se dunque il credito tutelato con l’azione revocatoria si trasferisce per effetto di cessione, anche il cessionario acquista ipso iure il diritto di “promuovere l’azione esecutiva“, che non sarebbe neppure concepibile scisso dal credito ceduto.
In secondo luogo, il disposto di cui all’art. 1263 c.c. dispone che il credito è trasferito al cessionario con tutti gli accessori e i privilegi. Ne consegue che, a maggior ragione, si dovrà ammettere che per effetto della cessione si trasferiscano anche gli effetti dell’azione revocatoria, che ha in comune con i privilegi lo scopo di tutelare la garanzia del credito.
Non di meno, una conclusione opposta comporterebbe secondo la Corte conseguenze incoerenti. Benché con riferimento ai beni mobili, ai sensi dell’art. 2755 c.c. rientrano tra i crediti privilegiati “le spese di giustizia per atti conservativi”. Dal momento che la revocatoria è pacificamente un’azione finalizzata alla conservazione della garanzia, se si negasse al cessionario di trarre beneficio dagli effetti dell’azione revocatoria proposta dal cedente, si perverrebbe al risultato paradossale secondo cui il creditore ceduto conserverebbe privilegio per le spese dell’azione revocatoria, ma non potrebbe beneficiare degli effetti dell’azione revocatoria.
E ancora. Se il cessionario può giovarsi del pignoramento eseguito dal cedente, non si vede per quale motivo non possa trarre giovamento dall’azione revocatoria, avendo entrambi gli istituti la funzione di evitare la dispersione della garanzia patrimoniale.
Infine, più semplicemente, se è vero come è vero che l’actio pauliana è una forma di tutela delle ragioni del creditore, non vi è alcuna ragione per considerare il cessionario di un credito “meno creditore” del cedente, né un atto in frode cessa di essere tale solo perché il credito è circolato dal lato attivo.
I precedenti giurisprudenziali contrari (cfr Cass., sez. III, Ord. 12.12.2017. n. 29637, che a sua volta richiama alla lettera il decisum di Cass., sez. I, 04.12.2014, n. 25660) a ben vedere non affrontano la questione se non incidentalmente e si concentrano sul diverso profilo della legittimazione attiva del cessionario ad intervenire ex art 111 c.p.c. nel processo iniziato dal cedente.
Peraltro, benché tali precedenti siano altrettanto autorevoli, la conclusione proposta non è, a parere di scrive, congruamente motivata laddove si giunge a sostenere che il diritto controverso non è il diritto di credito, ma il diritto alla declaratoria di inefficacia dell’atto pregiudizievole.
Da tale premessa deriverebbe che il cessionario del credito non subentra “automaticamente” nel diritto di agire in revocatoria, né, dunque, potrebbe intervenire o essere chiamato in causa.
La pronuncia, però, traeva origine da un caso in cui la società cessionaria, con l’atto di costituzione, non si era qualificata quale successore “anche” nei profili processuali, ragione che ha indotto la Corte a ritenere inammissibile l’intervento del cessionario nel giudizio revocatorio proposto dal cedente (Cass. n. 29637/2017 cit.).
Affermando che la successione non è “automatica”, evidentemente l’ha ritenuta pur sempre possibile, con la conseguenza che al cessionario sarà consentita la possibilità di fornire la prova della propria legittimazione, rappresentata, ad esempio, dal contratto che regola il rapporto o dall’avviso di pubblicazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 4 della L. 130/1999 e art. 58 del Testo Unico Bancario, da cui si possa evincere che i crediti siano stati ceduti, oltre che con gli accessori menzionati dall’art. 1263 c.c., anche unitamente a qualsiasi azione sostanziale e processuale inerente al loro esercizio e alla loro tutela.
Né appare ragionevole pretendere che, nel contesto di una operazione di cartolarizzazione ex art. 58 T.U.B., vengano individuati singolarmente i crediti e le rispettive azioni, dal momento che la norma risponde allo scopo di facilitare lo smobilizzo di masse notevoli di crediti mediante il trasferimento “in blocco” ad investitori professionali.
Queste ultime considerazioni sono già state ampiamente utilizzate dalla giurisprudenza di merito per mitigare gli effetti del principio esposto dall’ordinanza n. 29637/2017 (recentemente si veda C. App. Torino 24.3.2022, n. 330).
Ciò premesso, però, alla luce del coerente excursus proposto dalla sentenza in commento, si ritiene che tali argomenti, per quanto circoscritti al piano meramente processuale, dovrebbero considerarsi superati dal riconosciuto collegamento funzionale che lega il credito e l’azione pauliana, atteso che, da un lato, l’esercizio dell’azione implica necessariamente che un credito venga dedotto da chi agisce in via revocatoria e che, per altro verso, il risultato utile dell’azione non può essere conseguito se non in presenza e a favore del titolare del credito.
D’altronde, la cessione del credito determina la successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso (cfr Cass., sez. I, 22.10.2009, n. 22424), con le conseguenze di cui all’art. 111 c.p.c.: se il diritto controverso si trasferisce per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie, ma, in ogni caso, il successore può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l’alienante può esserne estromesso. Ne consegue che il successore a titolo particolare conserva una “legittimazione distinta e non sostitutiva, ma autonoma” (cfr Cass., sez. III, 28.2.2020, n. 5529).
Concludendo, se la sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria giova ope legis al cessionario del creditore, ne consegue che non dovrebbe essere impedito al nuovo titolare la tutela, anche processuale, del diritto di credito che ha legittimamente acquisito, in tutte le forme che l’ordinamento consente.
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