ISSN 2385-1376
Testo massima
Segnalata da Pasquale Villanova di Avellino
Il pagamento eseguito da un terzo sul conto corrente bancario del debitore poi fallito costituisce ex se un atto neutro, con valenza meramente contabile e, pertanto, non è revocabile ai sensi dell’art.67, co. 2, L.F.
La rimessa operata dal terzo sul conto corrente del debitore principale fallito non si trasforma in una posta attiva del correntista nella cui titolarità l’importo conferito viene a confluire restando così soggetta a revocatoria ai sensi dell’art. 67 L.F., ma occorre verificare il negozio giuridico nel quale la rimessa trova causa, allo scopo di stabilire se il pagamento sia o meno dovuto, sia annullabile o revocabile e distinguendo, all’interno delle rimesse, se queste siano riferibili al correntista, al terzo debitore del fallito ovvero al terzo che sia anche debitore della banca.
Il c.t.u. non può acquisire documentazione in violazione delle preclusioni di legge previste in materia di onere della prova, in quanto l’indagine peritale può essere svolta sulla base dei soli documenti tempestivamente depositati ed acquisiti in giudizio.
Questi i principi ribaditi dal Tribunale di Avellino, Dott.ssa Maria Cristina Rizzi, con sentenza del 15.03.2016.
Nella fattispecie in esame, la curatela fallimentare chiedeva l’accertamento della inefficacia ex art. 44 e subordinatamente ex art. 67 comma 2 L.F. di una rimessa eseguita dalla figlia della società fallita e dai soci illimitatamente responsabili con denaro del fallito e sul conto dello stesso ad estinzione di un debito della conceria verso la Banca.
In particolare, la figlia del fallito avrebbe acquisito tale denaro a seguito della prestazione di garanzia reale di pegno su quote societarie di spettanza della società fallita e da quest’ultima illecitamente distratte dalla soddisfazione della massa dei creditori.
Il motivo del finanziamento alla società fallita nasceva dalla volontà espressa dal terzo (figlia del fallito) di accollarsi il debito della fallita conceria per mero fine di liberalità, con espressa rinuncia a far valere ogni diritto di rivalsa in sede di eventuali procedure concorsuali.
Nel corso del giudizio, il precedente giudice istruttore conferiva incarico al c.t.u. al fine di accertare se il denaro era stato posto nella disponibilità materiale e giuridica della società fallita e se la rimessa aveva avuto funzione solutoria e non meramente ripristinatoria della provvista, autorizzandolo ad avvalersi di tutta la documentazione “contabile ed amministrativa” utile per tale fine.
Orbene, in tema di azione revocatoria fallimentare, secondo l’insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, “le rimesse effettuate dal terzo fideiussore sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell’art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, quando risulti che attraverso la rimessa il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma – senza utilizzare una provvista del debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento- ha adempiuto in qualità di terzo fideiussore l’obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice” (Cass. Civ. S.U. sentenza n. 16874/2005).
Sulla scorta di tale orientamento, il versamento (rimessa) eseguito da un terzo sul conto corrente bancario del debitore poi fallito costituisce ex se un atto neutro, con valenza meramente contabile.
Invero, in questa ipotesi il pagamento è effettuato dal garante allo scopo di adempiere l’obbligazione di garanzia, autonoma, per evitare le conseguenze cui resterebbe esposto per effetto dell’inadempimento, mentre la modalità del pagamento non determina, di per sè, l’acquisizione della disponibilità della somma da parte del titolare del conto corrente – perchè essa è soltanto contabile ed è priva di autonomia rispetto all’estinzione del debito da parte del terzo -, quindi non incide sulla provenienza della somma dal terzo e sulla causa del pagamento.
Il suo significato giuridico non può essere fissato in modo unitario, ma deve essere valutato alla stregua dei singoli negozi giuridici nei quali di volta in volta trova causa.
Pertanto, il Tribunale di Avellino ha ritenuto che la rimessa operata dal terzo sul conto corrente del debitore fallito non si trasforma in una posta attiva del correntista nella cui titolarità l’importo conferito viene a confluire restando così soggetta a revocatoria ai sensi dell’art. 67 L.F. ma occorre verificare il negozio giuridico nel quale la rimessa trova causa, allo scopo di stabilire se il pagamento sia o meno dovuto, sia annullabile o revocabile e distinguendo, all’interno delle rimesse, se queste siano riferibili al correntista, al terzo debitore del fallito ovvero al terzo che sia anche debitore della banca.
Per quel che concerne il meccanismo processuale dell’onere probatorio, in riferimento all’art. 67 L.F., compete al curatore dimostrare l’esistenza della rimessa, la sua effettuazione nel cosiddetto periodo sospetto e la scientia decoctionis da parte della banca; per contro, grava su quest’ultima fornire la prova dell’eventuale esistenza di un contratto di apertura del credito, dell’ammontare del medesimo e del suo mancato sconfinamento (ex multis, Cass. n. 6031/94; Tribunale Milano, 7.5.2012).
Ebbene, nel caso in disamina, il Giudice ha rilevato che non era stata fornita prova della rimessa, non erano stati depositati gli estratti di conto corrente intercorso tra la conceria e la banca, mancando del tutto gli atti dimostrativi della esposizione debitoria della conceria, e che il c.t.u. non aveva applicato correttamente le regole probatorie che regolano la materia atteso che si era avvalso di documenti che non erano stati depositati nei termini processuali.
Tale comportamento, integrando un evidente superamento dell’onere della prova, determina l’inutilizzabilità della documentazione illegittimamente acquisita.
Alla luce delle argomentazioni esposte, il Tribunale ha rigettato la domanda di parte attrice compensando le spese vista la complessità della materia trattata.
Testo del provvedimento
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