ISSN 2385-1376
Testo massima
Il termine triennale fissato dall’art. 69 bis, primo comma, L.F. è un termine di decadenza sia che si verta in tema di azione revocatoria ordinaria ex art. 66 L.F., sia che si verta in tema di azione revocatoria fallimentare ex artt. 67, 69 e 69 bis, secondo comma, L.F..
I termini ex art. 69 bis L.F. sono termini alternativi che sanciscono una decadenza dall’azione revocatoria fallimentare in capo al curatore, che però non può essere rilevata d’ufficio dal Giudice.
L’atto necessario e sufficiente per interrompere la decadenza dall’azione revocatoria ex art. 69 bis L.F., può essere individuato nel compimento da parte dell’attore, entro il termine previsto per l’esercizio dell’azione, di tutto quanto è in suo potere e ricada sotto la sua responsabilità per iniziare il giudizio.
Questi i principi pronunciati dal Tribunale di Napoli, VII Sezione, giudice dott. Angelo Napolitano, nell’ambito di un giudizio di revocatoria ex art. 67 lf, ove la curatela aveva notificato l’atto introduttivo oltre il termine di tre anni dalla dichiarazione di fallimento, se pure consegnato all’ufficiale giudiziario entro detto termine e la convenuta era rimasta contumace.
Con la sentenza in esame, il Tribunale di Napoli affronta nuovamente la questione concernente la natura del termine triennale previsto dal primo comma dell’art. 69 bis al fine di stabilire se trattasi di un termine di decadenza o di prescrizione.
Ciò anche in considerazione dell’ulteriore profilo, concretamente rilevante nel giudizio in esame, della rilevabilità d’ufficio della maturazione del termine, considerato che, se il termine triennale fosse un termine di prescrizione, l’eventuale sua maturazione non sarebbe certamente rilevabile d’ufficio, dal Giudice, stante la contumacia della convenuta, l’unica legittimata ad eccepirla.
Se fosse, invece, un termine di decadenza, sarebbe necessario, in primis, verificare se si si verta in materia disponibile o meno dalle parti, al fine di valutare poi se l’eventuale improponibilità dell’azione (art. 2969 c.c.), per essere stata essa esercitata a termine già scaduto, sia rilevabile o meno d’ufficio dal Giudice.
Impostati così i termini della questione, il Giudice muove il ragionamento dall’argomento di cui alle espressioni letterali della norma in esame, rilevando come non solo la rubrica del richiamato articolo della legge fallimentare, che parla espressamente di “decadenza”, (a parte la singolarità del termine triennale come ipotetico termine di prescrizione), ma anche l’espressione usata dalla norma convergano, nel senso della natura decadenziale di quel termine: “le azioni revocatorie
non possono essere promosse
”
Si osserva, poi, come non solo i canoni letterale e teleologico d’interpretazione, ma anche la ricostruzione sistematica dell’impatto del richiamato primo comma dell’art. 69 bis L.F. sulle condizioni e modalità di esperimento delle azioni revocatorie previste nella sezione terza del capo terzo del titolo secondo della legge fallimentare, inducano a ritenere che ci si trovi davanti ad un termine di decadenza.
Il Tribunale, a questo punto, procede ad una analitica disamina degli argomenti e dei motivi sulla base dei quali giunge alla indicata conclusione, muovendo dall’esame degli atti revocabili per i quali il quinquennio dal compimento di essi cada prima del decorso del triennio dalla dichiarazione di fallimento e cioè quelli per lo più conclusi prima dell’inizio dei periodi cc.dd. “sopsetti” ex art. 67 L.F..
Trattasi degli atti revocabili ex art. 66 L.F. nel termine prescrizionale dell’art. 2903 cc ed, in particolare, vengono illustrate le conseguenze rinvenienti dall’incrocio tra il termine e il regime della prescrizione dell’azione revocatoria ordinaria nel fallimento ex artt. 66 L.F. e 2903 c.c. e detto termine triennale se quest’ultimo fosse, in ipotesi, qualificato come prescrizionale.
In questi casi si osserva – i due termini non assolvono alla medesima funzione: l’azione del curatore è ancora promuovibile in quanto non ancora spirato il termine massimo per il suo esercizio; tuttavia l’avvenuto decorso del termine quinquennale di prescrizione ex artt. 66 L.F. e 2903 c.c. espone il curatore al rischio che il convenuto, costituendosi tempestivamente, eccepisca la prescrizione estintiva ed eviti che il Giudice si pronunci sul merito della fondatezza dell’azione revocatoria ordinaria.
Si rileva, pertanto, che in tali ipotesi, se si qualificasse come prescrizionale (anche) il termine di tre anni dalla data della dichiarazione di fallimento, esso non avrebbe alcuna portata applicativa, nemmeno teorica, in quanto sarebbe di fatto assorbito dalla prescrizione estintiva quinquennale (a decorrere dal compimento dell’atto revocabile concluso prima del periodo sospetto), sicché, anche se si fossero compiuti entrambi i termini prescrizionali al momento dell’esercizio dell’azione, l’eventuale eccezione di prescrizione sarebbe scrutinata già in ragione dell’avvenuto decorso del quinquennio dalla data dell’atto.
Il Tribunale valuta, poi, il caso in cui il termine di prescrizione dell’atto revocabile ex art. 66 L.F., compiuto appena prima dell’inizio del periodo sospetto, si compia dopo la scadenza del detto termine triennale, rilevando come anche in tale ipotesi non sarebbe comprensibile qualificare il termine triennale dalla data di dichiarazione di fallimento come termine prescrizionale, non comprendendosi, infatti, le modalità in cui possono operare, sovrapponendosi l’un l’altro, due termini prescrizionali di durata diversa ed ancorati a diversi dies a quibus.
In altri termini, ad avviso del Tribunale, la soluzione più appagante, allora, è che all’originario termine quinquennale di prescrizione ex art. 2903 c.c. decorrente dalla data di compimento dell’atto, compiuto poco prima dell’inizio del periodo sospetto e destinato, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, a spirare oltre il triennio dalla data del fallimento, si affianchi un nuovo e diverso termine, decadenziale, decorrente dalla data della dichiarazione di fallimento, destinato a compiersi nel triennio dalla dichiarazione stessa, entro il quale il curatore ha, a prescindere dal più lungo termine prescrizionale, il cui rispetto è comunque rimesso all’atteggiamento difensivo del convenuto, l’onere di promuovere l’azione revocatoria ex art. 66 L.F.
Si osserva, poi, come l’approdo interpretativo non muti se si analizza il rapporto tra questo termine triennale e quello, destinato a compiersi prima, di cinque anni dalla data della loro conclusione con riferimento agli atti passibili di azione revocatoria fallimentare ex art. 69 (con riferimento esclusivamente agli atti gratuiti compiuti tra coniugi più di due anni prima della dichiarazione di fallimento) ed art. 69 bis, secondo comma, L.F., essendo impossibile, invece, che per quelli compiuti nei periodi sospetti dell’art. 67 L.F. i cinque anni dalla data degli atti ivi contemplati vadano a scadere in epoca antecedente rispetto alla scadenza del triennio dalla dichiarazione di fallimento.
Il Tribunale afferma che anche il termine quinquennale previsto dal primo comma dell’art. 69 bis L.F. è, con riferimento alle sole azioni revocatorie fallimentari, un termine di decadenza e non di prescrizione, per i seguenti motivi.
In primis, la prescrizione estintiva ha come presupposto l’inerzia del titolare e, dunque, se il termine di cinque anni dalla data dell’atto passibile di revocatoria fallimentare, fissato dal primo comma dell’art. 69 bis L.F., fosse un termine di prescrizione, si dovrebbe concludere che alla data dell’atto esisterebbe già un diritto da far valere e un soggetto che possa farlo valere.
Si osserva che, invece, prima della dichiarazione di fallimento non esiste un tale diritto, né chi lo esercita, con la conseguenza che nel termine quinquennale dell’art. 69 bis, primo comma, L.F. non viene in rilievo una inerzia del curatore, perdurando la quale si giunge alla prescrizione delle azioni revocatorie fallimentari, in quanto tra la data del compimento dell’atto revocabile e la dichiarazione di fallimento (tra cui potrebbero intercorrere anche più di due anni, ex art. 69 L.F.) non vi è un curatore che possa esercitare l’azione, e di cui si possa predicare l’inerzia.
Sulla base di tali argomenti, il Giudice partenopeo conclude affermando che il termine quinquennale di cui al primo comma dell’art. 69 bis L.F., con riferimento alle azioni revocatorie fallimentari, sia, anch’esso, al pari di quello triennale, un termine di decadenza.
In definitiva, il curatore decade dall’azione revocatoria, sia essa ordinaria ex art. 66 L.F., sia essa fallimentare ex artt. 67, 69 e 69 bis, secondo comma, L.F., se essa non sia esercitata entro tre anni dalla dichiarazione di fallimento, sempre che, con riferimento alla sola azione revocatoria fallimentare (per la quale non vale il termine di prescrizione previsto dagli artt. 66 L.F. e 2903 c.c.), non sia già decorso il termine di cinque anni dalla data dell’atto da revocare, perché altrimenti sarà questo termine che segnerà la decadenza dall’azione.
Viene, a questo punto affrontata l’ulteriore questione di quale sia l’atto che impedisca il verificarsi della decadenza.
Con riferimento alla prescrizione e ai diritti potestativi ad esclusivo esercizio giudiziale, che in campo processuale danno vita alle azioni costitutive c.d. necessarie, e che sono nominalmente assoggettati a prescrizione (azione di annullamento, azione di rescissione, azione di risoluzione del contratto, azione di riduzione, etc.), il Tribunale ritiene che essa sia interrotta solo con la proposizione della domanda che costituisce la modalità di esercizio dell’azione (art. 99 c.p.c.).
Ciò in quanto, se in alcuni casi (es. azione di annullamento, di rescissione, revocatoria ordinaria, revocatoria fallimentare, riduzione, garanzia per vizi nella compravendita, risoluzione giudiziale del contratto) solo l’autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici (art. 2908 c.c.), è consequenziale ritenere che la prescrizione delle azioni costitutive che riflettono sul piano processuale i diritti potestativi ad esclusivo esercizio giudiziale sia interrotta solo dal compimento da parte dell’attore delle formalità necessarie ad adire l’autorità giudiziaria, mentre le formalità necessarie a garantire al convenuto la conoscenza effettiva o legale della domanda proposta al giudice appartengono alla diversa sfera degli atti tesi ad instaurare il contraddittorio con il convenuto (art. 101 c.p.c.; artt. 24, II comma e 111, II comma Cost.), il rispetto del cui principio è un vero e proprio requisito di legalità costituzionale del processo.
Né, a parere di questo Giudice, la conclusione che il termine posto all’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari dall’art. 69 bis, primo comma, L.F. sia un termine di decadenza può ritenersi smentita dal disposto del primo comma dell’art. 95 L.F. (“
il curatore può eccepire l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione”), riferendosi la norma, quando parla di prescrizione, al termine di prescrizione ex art. 2903 cc di cinque anni dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 66 L.F. decorrente dalla data dell’atto.
Ciò che poi rileva, secondo il Tribunale, è la circostanza che è stata posta la regola per la quale la consunzione del potere di agire in revocatoria ordinaria o fallimentare non impedisce al curatore di far valere l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione.
Sicché, il fatto che il curatore possa sempre eccepire l’inefficacia del titolo su cui si basano le richieste del creditore in sede di verifica del passivo, anche se il potere di agire in revocatoria si sia consumato per il decorrere dei termini di cui all’art. 69 bis L.F., lascia concludere che quel potere di azione, seppur non modificabile pattiziamente quanto alle condizioni temporali del suo esercizio, non riguardi una materia di diritto sostanziale sottratta alla disponibilità delle parti ai sensi e per gli effetti dell’art. 2969 c.c., ditalché la decadenza dall’azione revocatoria del curatore non può essere rilevata d’ufficio dal Giudice (cfr., analogamente, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2001, n. 15131, Cecconi c. Cond. Via Spartaco 24, Milano).
Ne deriva che i termini ex art. 69 bis L.F. sono termini alternativi che sanciscono una decadenza dall’azione revocatoria fallimentare in capo al curatore, che però non può essere rilevata d’ufficio dal Giudice.
Quanto all’atto necessario e sufficiente per interrompere la decadenza dall’azione revocatoria ex art. 69 bis L.F., ritiene il Tribunale che esso possa essere individuato nel compimento da parte dell’attore, entro il termine previsto per l’esercizio dell’azione, di tutto quanto è in suo potere e ricada sotto la sua responsabilità per iniziare il giudizio.
In altri termini, la decadenza dall’azione revocatoria ex art. 69 bis L.F. è impedita con il compimento dell’atto che determina la litispendenza.
In conclusione, il Tribunale, sulla base di questo articolato iter motivazionale, giunge ad affermare come, nel caso in esame, essendosi ricostruito il termine triennale ex art. 69 bis L.F. come termine di decadenza, vista la contumacia della convenuta, la decadenza dall’azione costitutiva necessaria esperita non possa essere rilevata d’ufficio dal Giudice, pur essendo stato l’atto introduttivo di citazione consegnato all’ufficiale giudiziario, non scusabilmente, oltre i tre anni dalla dichiarazione di fallimento, per cui, esaminato il merito della controversia e ritenuta la stessa fondata, il Tribunale ha accolto la domanda.
Con la sentenza in esame, il Tribunale di Napoli è ritornato sulla questione interpretativa concernente la natura del termine triennale previsto dal primo comma dell’art. 69 bis, giungendo ad affermare, con una ricchezza di complessi argomenti logici e di diritto, trattarsi di un termine di decadenza.
Si segnala che la questione, in alcun modo pacifica, è stata recentemente affrontata da altra pronuncia del Tribunale di Napoli (Tribunale di Napoli, sezione fallimentare, dott. Stanislao De Matteis – 30 Aprile 2013 –) che, sulla base di un diverso iter argomentativo, è giunta a conclusioni di segno opposto.
Testo del provvedimento
In allegato il testo integrale del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 304/2014