ISSN 2385-1376
Testo massima
Nel caso in cui venga proposta una azione di massa quale è l’azione revocatoria, a norma dell’art. 2710 cc, non possono costituire prova nei confronti del curatore fallimentare le scritture contabili dell’imprenditore fallito, in quanto la curatela riveste la posizione di terzo rispetto al rapporto giuridico controverso laddove i libri contabili fanno unicamente prova nell’ambito dei rapporti tra imprenditori.
Lo ha deciso la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 20281 depositata il 25 settembre 2014 chiamata a pronunciarsi in merito alla possibilità di utilizzare le scritture contabili dell’imprenditore fallito contro il curatore fallimentare nell’ambito di una azione revocatoria.
Il caso ha infatti visto la Corte di Appello di Perugia accogliere i motivi di gravame proposti da una banca contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inefficace, a norma dell’art. 67, comma 2, LF, il pagamento di una somma eseguito da una società a responsabilità limitata poi fallita in favore dell’istituto di credito. L’appello era motivato dalla mancanza di prova in merito al fatto che il versamento fosse da riferirsi alla società fallita anziché al socio fideiussore il quale aveva trattato con la banca per la definizione della posizione. La Corte di Appello di Perugia ha evidenziato che il giudice di primo grado aveva tratto la prova del pagamento da parte della società fallita esclusivamente dai libri contabili di quest’ultima facendo applicazione dell’art. 2710 cc che conferisce alle scritture regolarmente tenute efficacia probatoria tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa. Il Giudice d’appello ha tuttavia ritenuto non applicabile il disposto ex art. 2710 cc nei confronti del curatore del fallimento allorquando questi agisca nella sua funzione gestore del patrimonio fallimentare e non in via di successione relativamente al rapporto facente capo al fallito stesso.
Il curatore fallimentare ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 2710 cc.
Secondo quanto sostenuto dalla curatela fallimentare l’art. 2710 cc troverebbe difatti applicazione anche nel caso in cui una delle parti sia stata dichiarata fallita laddove si tratta di accertare un rapporto obbligatorio sorto in un periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento, perché la prova riguarda un rapporto sorto tra imprenditori e non tra il curatore e l’imprenditore.
La Cassazione ha tuttavia ritenuto prive di fondamento le censure sollevate dal ricorrente.
Vista la funzione svolta dalla curatela fallimentare e tenuto conto dell’ambito applicativo dell’art. 2710 cc collegato alla qualità di imprenditore ed al rapporto di impresa, la Cassazione ha infatti ritenuto che il curatore possa avvalersi del riferito strumento probatorio soltanto quando agisce in sostituzione dell’imprenditore fallito in via di successione in un precedente rapporto facente capo a quest’ultimo.
Il curatore fallimentare, in questo caso, agisce difatti quale avente causa del fallito esercitando un diritto trovato nel fallimento, ad esempio per ottenere il pagamento di un credito del fallito da parte di un terzo, donde la curatela subentrerebbe nella medesima posizione processuale e sostanziale del fallito con conseguente possibile applicazione dell’art. 2710 cc.
Nell’ambito delle procedure di verifica dei crediti in sede di formazione dello stato passivo e nella azioni di massa tra le quali rientra l’azione revocatoria, il curatore agisce invece quale gestore del patrimonio del fallito e come organo rappresentante anche della massa dei creditori, indi per cui la Cassazione ha ritenuto inapplicabile in detto frangente il disposto ex art. 2710 cc.
Nelle azioni di massa infatti, il curatore assume la qualità di terzo rispetto ai rapporti tra imprenditore fallito ed il creditore per cui le scritture contabili dell’impresa sono inutilizzabili nei suoi confronti.
Testo del provvedimento
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