Testo massima
L’incondizionata
adesione della Banca ad un piano di ristrutturazione finanziaria che
prospettasse fondate possibilità di risanamento, legittimamente fonda un
giudizio di inscientia decoctionis nell’ambito del giudizio di revocatoria
fallimentare, nonostante i gravi, precisi e concordanti dati relativi allo
stato di dissesto economico della società.
Questo il principio di diritto affermato
dalla Corte di Cassazione, Sezione Prima, Pres. Ceccherini – Rel. Cristiano,
con sentenza n. 6905, depositata in data 07.04.2015.
Nel caso in esame, la Società in
Amministrazione Straordinaria proponeva nei confronti della Banca revocatoria
fallimentare ex art. 67, comma 2, l.f., relativamente alle rimesse solutorie
confluite sui conti correnti della stessa società, al fine di ottenere condanna
dell’Istituto di Credito alla restituzione delle relative somme.
Il Tribunale rigettava la domanda, con
sentenza confermata in sede di appello.
In particolare, la Corte di merito riteneva
che l’appellante non avesse fornito prova della scientia decotionis da parte della Banca che, aderendo al piano di
ristrutturazione finanziaria in esecuzione del quale erano stati effettuati i
versamenti revocabili, aveva dimostrato di nutrire fiducia nella capacità di
ripresa dell’imprenditore, ritenendone positivamente cambiata la situazione
economica.
Avverso detta sentenza di appello, la
società in amministrazione straordinaria proponeva ricorso per cassazione,
assumendo che il Giudice di appello, anziché accertare se i gravi, precisi e
concordanti elementi indiziari acquisiti agli atti fossero idonei ad integrare
la presunzione, avesse erroneamente ritenuto rilevante la valutazione
soggettiva di tali elementi compiuta dalla Banca.
La Suprema Corte, nel motivare il rigetto
del ricorso, ha premesso il principio consolidato, in giurisprudenza, secondo
cui “la prova della scientia decoctionis
del convenuto in revocatoria può essere fornita non solo in via diretta, ma
anche utilizzando dati attinenti alla conoscibilità della crisi economica e
finanziaria dell’imprenditore che, per la loro gravità, precisione e
concordanza siano idonei, nel loro complesso, a far presumere la conoscenza
effettiva dell’insolvenza in capo al destinatario della domanda“.
Si sottolinea, tuttavia, come le
circostanze dedotte dal ricorrente (circa la irreversibilità della crisi e
l’impossibilità per il piano di ristrutturazione di avere buon esito),
avrebbero dovuto essere oggetto di una valutazione condotta ex ante, ovvero con
riferimento alla data dei pagamenti.
L’aspetto nevralgico, nel caso di specie, è
rappresentato dall’adesione della Banca al piano di ristrutturazione
finanziaria e dalle relative valutazioni soggettive svolte dallo stesso
Istituto di Credito.
Sul punto, la Cassazione ha dunque ritenuto
corrette le statuizioni della Corte di merito, che aveva formulato “un giudizio di complessiva affidabilità ex ante
del piano, escludendo che sin dall’inizio fosse chiara l’impossibilità di darvi
concreta attuazione ed affermando, per contro, che esso appariva idoneo a
rimuovere la crisi in cui la società si dibatteva (non a caso ricondotta ad un
mero “stato di difficoltà finanziaria” e non già ad una situazione di
irreversibile dissesto)“.
Legittima, dunque, oltre che pienamente logica,
la dedotta conclusione dell’inscientia
decoctionis da parte della Banca, dimostrata dall’incondizionata adesione di
quest’ultima ad un progetto che prospettava, all’epoca, fondate possibilità di
risanamento.
Testo del provvedimento
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