Testo massima
Si ringrazia per la
segnalazione l’avv. Francesco Fiore del foro di Avellino
Ai fini della verifica della
revocabilità delle rimesse in conto corrente, l’esistenza di un affidamento può
desumersi dall’esame della Centrale Rischi.
Ai fini della prova del
pagamento del terzo, il creditore convenuto in revocatoria è onerato della sola
prova della provenienza del pagamento dal terzo, configurandosi la relativa
allegazione come un’eccezione in senso proprio, mentre invece incombe sul
curatore, una volta accertata l’avvenuta effettuazione di detto pagamento, la
dimostrazione, anche mediante presunzioni semplici, che la corrispondente somma
sia stata fornita dal fallito.
Non integrano atti solutori anormali ex art. 67, comma
1, n. 2, l. fall., i versamenti corrispondenti ad anticipazioni
dietro presentazione di ricevute bancarie o fatture su “conto affidato”,
essendo dei prestiti ad utilizzo ripetuto, in cui ad una pluralità di
finanziamenti consegue una pluralità di estinzioni, con la conseguenza che
possono essere considerati revocabili ex art. 67, comma 2 l. fall. soltanto gli
accrediti ove risultati a copertura (e quindi solutori) di precedenti
anticipazioni rimaste insolute.
Questi
i principi enunciati nella sentenza del 17.03.2015, del Tribunale di
Nola, Giudice dott.ssa D’Inverno, nell’ambito di un complesso giudizio di revocatoria fallimentare, nella
versione antecedente l’entrata in vigore del D.L. n. 35/2005, proposto da una curatela nei confronti di un
istituto di credito.
In particolare, la curatela aveva proposto due domande:
la prima, di revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 1,
n. 2, l. fall. avente ad oggetto quattro cessioni di credito, effettuate dalla
società fallita-cedente, a favore della cessionaria banca, nonché le connesse anticipazioni erogate dalla banca cessionaria
alla fallita cedente ed accreditate sul conto corrente della fallita, sul
presupposto che l’intera operazione potesse configurarsi quale atto estintivo
anomalo; la seconda domanda ex art. 67, comma 2, l. fall. ed avente ad oggetto
rimesse in conto corrente.
Costituitasi
in giudizio, la Banca contestava la fondatezza delle domande, eccependo:
–
con riferimento alla prima domanda, la non riconducibilità dell’operazione
effettuata, anticipazione contro cessione pro solvendo di crediti, nell’ambito
dell’art. 67, comma 1, lf, trattandosi non di atti anomali di estinzioni dei
debiti scaduti ed esigibili, ma semmai di atti costitutivi di un diritto di
prelazione per debiti contestualmente creati, compiuti nell’anno anteriore al
fallimento, e dunque revocabili ex art. 67, comma 2, l. fall., applicabile ratione
temporis.
– con
riferimento alla seconda domanda,
la non revocabilità di quasi tutte le rimesse, in quanto versamenti effettuati
dalla garante senza animo di surroga o rivalsa.
Illustrata e ricostruita scrupolosamente la controversia,
le difese svolte e i fatti dedotti dalle parti, il Tribunale procede all’esame
dei presupposti in diritto delle domande proposte, nella versione antecedente
l’entrata in vigore del D.L. n. 35/2005, applicabile nel caso di specie,
muovendo dalla azione ex art. 67, comma 2,
l. fall..
Ritenuto
sussistente e provato il requisito soggettivo, procede alla verifica di quello
oggettivo.
In particolare,
viene affrontato il tema della natura solutoria delle rimesse e, sul punto, più
specificamente, la questione della prova dell’affidamento ai fini della
verifica della “scopertura del conto”.
Il
Tribunale, muovendo correttamente dal presupposto che il giudice può utilizzare nella
decisione tutti i documenti depositati regolarmente dalle parti, e può dedurre
dal contegno delle stesse, ex artt. 115 e 116 c.p.c., argomenti di prova, in primis, rileva l’esistenza di un
affidamento, nel rapporto bancario per cui è causa, dalle risultanze della
Centrale Rischi.
Il primo rilevante principio enunciato nella articolata
sentenza in esame è quello secondo cui dall’esame della Centrale Rischi può
desumersi l’esistenza di un affidamento.
Rilevata,
pertanto, l’esistenza di un fido, il Tribunale afferma la revocabilità delle
sole rimesse effettuate sul conto, il cui saldo passivo superi il fido
concesso.
Viene, poi, affrontata la questione della revocabilità
dei pagamenti effettuati dal terzo.
Sul punto, ripercorsi gli orientamenti della Suprema
Corte, il Tribunale richiama l’indirizzo più recente ove è stato riaffermato il
principio secondo cui le rimesse
effettuate dal terzo non fideiussore sul conto corrente dell’imprenditore, poi
fallito, non sono revocabili ai sensi dell’art. 67, secondo comma, legge fall.,
quando risulti che, attraverso la rimessa, il terzo non ha posto la somma nella
disponibilità giuridica e materiale del debitore ma, senza perciò
utilizzare una provvista dello stesso debitore e senza rivalersi nei suoi
confronti prima del fallimento, ha adempiuto, in qualità di terzo,
l’obbligazione del debitore principale o quella dell’eventuale fideiussore.
Viene
anche richiamata l’altra pronuncia, secondo cui, quando il credito della banca
è esigibile, la rimessa effettuata da un terzo (anche non fideiussore) sul
conto corrente del debitore poi fallito è, ai fini della revocatoria
fallimentare, un “atto neutro”,
come è dimostrato dal fatto che la rimessa può trovare giustificazione tanto
nell’adempimento di una obbligazione nei confronti del correntista, tanto in un
atto di liberalità nei suoi confronti, quanto nell’adempimento di una propria
obbligazione, se chi effettua la rimessa ha garantito l’esposizione del
correntista, quanto ancora nell’adempimento di terzo dell’obbligazione del
correntista. Insomma, la rimessa deve essere valutata assieme alle ragioni che
hanno determinato il terzo ad effettuarla (causa del pagamento) (cfr. Cass.
Civ., sez. I, 23.07.2014, n. 16740).
Il
Tribunale di Nola precisa correttamente come la irrevocabilità del pagamento
del terzo non fideiussore sia subordinata al fatto che il terzo non abbia
esercitato il diritto di rivalsa nei confronti del fallito prima del fallimento.
Per quanto concerne la regolamentazione dell’onere della
prova, viene anche precisato come il creditore
convenuto in revocatoria sia onerato della sola prova della provenienza del
pagamento dal terzo, configurandosi la relativa allegazione come un’eccezione
in senso proprio, mentre invece incombe sul curatore, una volta accertata
l’avvenuta effettuazione di detto pagamento, la dimostrazione, anche mediante
presunzioni semplici, che la corrispondente somma sia stata fornita dal fallito.
Nel caso di specie, ritenuta provata da parte della Banca
la circostanza che nove delle undici delle rimesse, indicate come revocabili ex
art. 67, comma 2, l. fall., erano state effettuate per ordine del terzo garante
e non provata, da parte della curatela, quella del fatto che il pagamento fosse stato effettuato con danaro del
debitore poi fallito, a seguito, per esempio, di rivalsa esercitata ad opera del
terzo prima del fallimento, il Tribunale ha accolto la domanda ex art. 67, comma 2, l. fall.
limitatamente alle due rimesse effettuate oltre il limite del fido.
Il Tribunale di Nola procede, poi, all’esame della
domanda di revocatoria
fallimentare ex art. 67, comma 1, n. 2, l. fall. proposta relativamente a quattro
cessioni di credito, effettuate dalla società fallita-cedente a favore della
cessionaria banca, ed alle connesse
anticipazioni erogate dalla banca cessionaria alla fallita cedente ed accreditate
sul conto corrente della fallita, sul presupposto del carattere estintivo
anomalo dell’intera operazione.
Viene,
a questo punto, svolta un’approfondita disamina dell’operazione di
anticipazione in concreto svoltasi sulla base della documentazione in atti ove il
Tribunale, tra l’altro, osserva come:
–
dall’esame delle quattro contabili prodotte da parte attrice, risultasse che le
dette anticipazioni fossero regolate come veri e propri finanziamenti con
applicazione di un preconcordato tasso d’interesse; le condizioni (tasso
d’interesse, commissioni di utilizzo, modalità di liquidazione delle competenze
relative ad interessi e commissioni, recupero spese etc..) erano state
stabilite in un contratto normativo agli atti;
– se
le anticipazione corrisposte al cedente avvenissero a titolo di acconto sul
prezzo della cessione, gli interessi sulla somma erogata non avrebbero ragion
d’essere, trattandosi di negozio traslativo e non di finanziamento;
– il
conto corrente ordinario fosse utilizzato come strumento per l’accredito delle
somme oggetto di finanziamento.
In
altri termini, il Tribunale giunge ad escludere che i versamenti corrispondenti
ad anticipazioni dietro presentazione di ricevute bancarie o fatture su “conto
affidato”, possano integrare atti solutori anormali.
Infatti,
l’accreditamento eseguito dalla banca sul conto corrente integra un ordinario
atto di ripristino della provvista assicurata dall’affidamento, secondo una
dinamica che risponde alla fisiologia dei rapporti tra la banca ed il suo cliente
commerciale, ma soprattutto secondo lo schema contrattuale in essere tra banca
e società affidata.
Viene
precisato, richiamando altra pronuncia, che le anticipazioni sono prestiti ad
utilizzo ripetuto, in cui ad una pluralità di finanziamenti consegue una
pluralità di estinzioni. (così, Trib. Bergamo, 28 aprile 2014), con la
conseguenza che gli accrediti possono essere considerati revocabili soltanto
ove risultati a copertura (e quindi solutori) di precedenti anticipazioni
rimaste insolute, ma anche in tale ipotesi, dalla natura solutoria del
versamento sul conto corrente discende al più una potenziale revocabilità ex
art. 67, comma due l. fall., non già la qualificazione del versamento quale
atto anomalo di pagamento.
L’anticipo
dietro presentazione di ricevuta bancaria o fattura, accompagnato dalla
cessione del credito, o da un mandato all’incasso in rem propriam con patto di compensazione, non può rappresentare un
mezzo di pagamento anormale perché interviene quale atto esecutivo di un contratto
tra le parti, banca e cliente.
Pertanto,
il Tribunale di Nola, escluso che, nella specie, le singole anticipazioni possano
considerarsi atti revocabili ex art. 67, comma 1, n. 2, l. fall., accerta se in
tale categoria di atti revocabili possano rientrare le singole cessioni di
credito.
Sul
punto, si precisa come si debba distinguere tra cessione pro solvendo a scopo
solutorio o a scopo di garanzia.
A
questo punto, richiamata la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ.,
sez. I, 11.11.2013, n. 25284 del 11.11.2013), secondo cui “in tema di azione
revocatoria fallimentare la cessione di credito in funzione solutoria, quando non sia prevista al momento del
sorgere dell’obbligazione ovvero non sia attuata nell’ambito della
disciplina della cessione dei crediti di impresa di cui alla L. n. 52 del 1991,
integra sempre gli estremi di un mezzo
anormale di pagamento..” il
Tribunale osserva come nella specie, la cessione di credito veniva convenuta
contestualmente al sorgere dell’obbligazione in capo alla società fallita di
restituzione dell’anticipazione fatta, con la conseguenza di sottrarre la
vicenda in esame dai principi indicati.
In
conclusione, il Tribunale di Nola ha rigettato la domanda di revocatoria ex
art. 67, comma 1, n. 2, l. fall. sia delle singole anticipazioni sia delle
singole cessioni di credito, per assenza del presupposto oggettivo di
revocabilità, ritenendo fondata l’azione revocatoria dell’art. 67, comma 2, l.
fall. nei limiti delle due rimesse non provenienti dal terzo ed effettuate
oltre il limite del fido.
Con
la sentenza in commento, il Tribunale di Nola non soltanto ha svolto una
analitica e scrupolosa disamina della fattispecie posta all’esame del
Giudicante, ma ha, altresì, delineato un quadro preciso e compiuto circa i
requisiti dell’azione revocatoria fallimentare nelle diverse ipotesi
focalizzate ed alla luce degli orientamenti giurisprudenziali nel tempo.
Testo del provvedimento
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