ISSN 2385-1376
Testo massima
In caso di consecuzione tra la procedura di concordato preventivo e quella di fallimento, i termini di cui all’art.67 l.fall., sono da calcolare a ritroso dalla data di ammissione alla procedura concordataria, mentre il termine di cui all’art.2935 c.c., comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ovvero a far tempo dall’apertura del fallimento.
Ai fini della prova della scientia decotionis, deve riconoscersi, in assenza di diverse allegazioni e ricostruzioni circa l’andamento del rapporto, che l’esposizione debitoria maturata dalla società su un conto corrente non affidato costituisce sintomo della fiducia della banca che ha consentito alla società poi fallita di operare allo scoperto.
Questi i principi enunciati dalla Corte d’Appello di Napoli, prima sezione civile, con la sentenza n.1287 del 21/03/2014, nell’ambito di un giudizio di revocatoria fallimentare proposto da una curatela sul presupposto che alla procedura di concordato era seguita la dichiarazione di fallimento.
In particolare, il Tribunale in primo grado aveva rigettato la domanda attorea sul presupposto della intervenuta prescrizione del diritto, richiamando il principio della giurisprudenza della Suprema Corte, secondo il quale “nell’ipotesi di fallimento dichiarato nel corso della procedura di concordato preventivo il termine (quinquennale, ex art. 2903 c c.) per la proposizione delle azioni revocatorie fallimentari previste dall’art. 67 1. fall., decorrono dalla data del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo e non da quella della sentenza dichiarativa di fallimento, attesa la unificazione e la continuità nel passaggio dall’una procedura all’altra” (Cass. Civ., 27.10.1995, n. 11216).
La Corte d’Appello di Napoli, pur confermando, nel merito, il rigetto della domanda, ha evidenziato come il giudice di prime cure avesse operato una sovrapposizione dei due distinti profili (termini del periodo sospetto e termini di prescrizione dell’azione), ritenendo che nel caso di specie non ricorresse alcuna prescrizione del diritto, posto che esso era stato esercitato giusta atto di citazione notificato entro cinque anni dalla data della dichiarazione di fallimento.
Sul punto la Corte chiarisce, infatti, che “i termini di cui all’art. 67 l.fall. non sono quelli di prescrizione del diritto, come considerato dal primo giudice, ma si riferiscono ai termini dei cd. periodi sospetti, che nel caso che occupa è quello di un anno da calcolare, in base al consolidato principio giurisprudenziale sopra citato, a ritroso dalla data di ammissione alla procedura concordataria. Del tutto distinto da tale termine è quello di prescrizione, che concerne l’esercizio dell’azione, il quale, ai sensi dell’art. 2935 ce, comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere ovvero a far tempo dall’apertura del fallimento, come pure chiarito dalla lezione del Supremo Collegio“.
Con riferimento al merito della domanda di inefficacia ex art. 67 I. fall. delle rimesse bancarie, la Corte ha rigettato la stessa sul presupposto della mancanza del requisito soggettivo della scientia decotionis.
Già nel corso del giudizio di primo grado, la banca convenuta aveva eccepito come lo stesso non potesse desumersi né dal riferimento ai bilanci, i quali non presentavano indici patrimoniali tali da far presumere la sussistenza dello stato di insolvenza della società, né, a maggior ragione, dalla natura di “operatore qualificato” della banca, occorrendo al tal fine una conoscenza effettiva e concreta della condizione di indebitamento non desumibile dalla mera posizione soggettiva rivestita dal creditore, tanto anche in considerazione del fatto che non era stata provata la circostanza della consegna dei bilanci dell’Istituto di credito.
La Corte, al riguardo, ha chiarito come nessuno dei sopramenzionati elementi risultasse, infatti, idoneo a fornire la prova in oggetto, sottolineando in primis che “la natura di operatore economico qualificato della banca costituisce argomento che, di per sé, non prova nulla, valendo semmai solo a giustificare, nel quadro di un contesto indiziario già sintomatico della conoscenza dello stato di insolvenza, la percezione dì esso da parte dell’istituto di credito in base al criterio del più probabile che non. Ai fini di tale prova, aggiunge la Corte d’Appello, come debba, in realtà, “riconoscersi, in assenza di diverse allegazioni e ricostruzioni circa l’andamento del rapporto, che l’esposizione debitoria maturata dalla società sul conto corrente non affidato costituisca sintomo della fiducia della banca che ha consentito alla società di operare allo scoperto“.
In conclusione, La Corte d’Appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda.
Testo del provvedimento
In allegato il testo integrale del provvedimento
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 194/2014