“Ove al concordato preventivo faccia seguito il fallimento, il susseguirsi delle due procedure darà luogo ad una procedura unitaria il cui inizio deve essere individuato nella prima, dalla quale decoreranno i termini per l’esercizio dell’azione revocatoria anche nell’ipotesi in cui tra concordato e fallimento vi sia uno iato temporale, in quanto costituiscono entrambi manifestazione di un’unica situazione di crisi dell’impresa” (Cass., Sez. I, n. 14630 del 29.3.2016; conf. Cass. n. 8013/1992).
Tale principio è stato successivamente ribadito (cfr. Cass. n. 9290/2018), con la precisazione che lo iato temporale non può essere irragionevolmente esteso, nel senso che non deve essere di durata tale da dimostrare o lasciar presumere l’intervenuta variazione dei presupposti fattuali a fondamento delle due procedure (concordataria e fallimentare).
Questo il principio espresso dal Tribunale di Terni, Giudice Claudia Tordo Caprioli, con la sentenza n. 242 del 15 marzo 2022.
Accadeva che il fallimento di una società correntista citava innanzi al Tribunale di Terni la banca al fine di ottenere il pagamento di un’operazione che riteneva configurare rimessa bancaria solutoria revocabile.
Si costituiva la banca che chiedeva il rigetto della domanda dell’attore in quanto improcedibile, inammissibile, ovvero per maturata prescrizione o decadenza ex art. 69 bis l.f., e comunque, perché la domanda risultava infondata e non provata in fatto ed in diritto.
Nello specifico l’istituto di credito faceva rilevare che il termine iniziale di prescrizione/decadenza coincide con la data di iscrizione nel registro delle imprese del ricorso ex art. 161, co. 6, l.fall., avvenuta il 31.3.2015. Di conseguenza già in data 31.3.2018 il Fallimento era decaduto dalla facoltà di proporre l’azione revocatoria (o l’azione era prescritta), ossia ben prima della notificazione dell’atto di citazione, avvenuta il 25.9.2019.
La banca sosteneva l’infondatezza della domanda attorea per carenza dei requisiti di consistenza e durevolezza di cui all’art. 67, co. 3, lett. b), l.fall., in ciò considerato che, secondo un recente indirizzo interpretativo, la riduzione dell’esposizione debitoria nei termini anzidetti sussiste solo quando la banca impone al correntista dei rientri o lo privi di fatto della disponibilità di prelevare dal conto; inoltre faceva rilevare come il Fallimento non avesse né allegato, né documentato tale circostanza.
Il Giudice, esaminata la vicenda concludeva per il rigetto della domanda proposta dal Fallimento in quanto l’azione revocatoria ex art. 67, co. 2, l.fall. non poteva essere promossa una volta decorsi tre anni dalla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso ex art. 161, co. 6, l.fall. e, comunque, non oltre cinque anni dal compimento dell’atto revocando; condannava pertanto gli attori al pagamento delle spese processuali.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
REVOCATORIA FALLIMENTARE: criterio di individuazione del dies a quo del periodo sospetto
Il periodo sospetto decorre a ritroso dalla iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese
Decreto | Tribunale di Milano, Giudice relatore, Presidente dott. Filippo Lamanna | 16.01.2014 |
REVOCATORIA ORDINARIA ESERCITATA DA CURATELA FALLIMENTARE: onere della prova e presupposti
Si deve dimostrare la preesistenza delle ragioni creditorie
Ordinanza | Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. Cristiano – Rel. Vella | 02.03.2021 | n.5657
Ipotesi di sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza emessa successivamente
Sentenza | Cassazione Civile, sez. prima, Pres. Didone – Rel. Ferro | 29.03.2016 | n.6042
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