Testo massima
Si
ringrazia per la segnalazione l’Avv. Aldo Corvino del foro di Napoli
Ai fini della prova della
scientia decotionis, il ricorso alle presunzioni, indica solo il metodo con il
quale si può raggiungere la prova del fatto da dimostrare (la conoscenza
effettiva della condizione di insolvenza del solvens), e non anche a consegnare
la ricorrenza del presupposto in esame ad una presunzione di esistenza fondata sulla
mera possibilità di acquisizione del dato.
Non costituisce elemento
rilevante l’andamento del conto corrente, che si indica caratterizzato da
continui sconfinamenti e/o scoperti, potendo tali circostanze rappresentare il
segno intangibile di una persistente fiducia riposta dalla Banca sulle capacità
finanziarie del correntista, ove si consideri l’esposizione a rischio
dell’istituto di credito rispetto a situazioni di scoperto.
Sono irrilevanti le diciture
della Centrale Rischi, “rischi auto liquidanti”, “rischi a revoca” e “rischi a
scadenza”, da cui non emergano sofferenze, ma solo posizioni di affidamento
della società, dimostrando semmai il credito bancario di
cui la società continuava a godere.
Questi
i principi affermati dalla Corte di Appello di Napoli, Prima Sezione, Pres.
Lopiano-Rel. Candia, con sentenza n. 539, depositata il 30.01.2015.
Nel
caso in esame, la Banca proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale con
cui era stata accolta la domanda di revocatoria fallimentare ex art. 67, comma
2, l.f., relativa a rimesse di c/c intrattenuto dalla società in bonis con l’istituto di credito.
Quest’ultimo
censurava le statuizioni del Giudice di prime
cure, contestando il requisito soggettivo della scientia decotionis, sul presupposto che il provvedimento impugnato
avesse non solo preso in considerazione una circostanza inesistente (il
bilancio invero mai prodotto in giudizio), ma soprattutto avesse trascurato “gli evidenti sintomi di inscientia decotionis
offerti dalla banca“.
La
Corte di merito, nel disporre l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, il
rigetto della domanda, ha ritenuto gli elementi offerti dalla curatela non
sufficienti ad offrire una convincente prova della sussistenza del requisito
soggettivo.
In
particolare, posto che l’art. 67, comma 2, l.f., impone di verificare la
conoscenza, da parte del convenuto in revocatoria, dello stato di insolvenza
della società poi dichiarata fallita, il Giudice di appello ha richiamato un
ormai consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui “tale conoscenza deve essere effettiva e non
anche meramente potenziale, il che vale ad escludere ogni ipotesi di operazione
valutativa aperta alla considerazione della c.d. conoscibilità dello stato di
dissesto, con la conseguenza che il non aver avuto certezza di tale
circostanza, sia pure colpevolmente, non vale a sancire la sussistenza del
requisito in esame, ma, certamente, ad escluderla“.
Sulla
scorta di tali principi di diritto, la Corte di Appello ha poi circoscritto la
portata delle presunzioni utili a fornire la prova della scientia decotionis, precisando che il ricorso alle presunzioni,
indica solo il metodo con il quale si può raggiungere la prova del fatto da
dimostrare (la conoscenza effettiva della condizione di insolvenza del solvens), e non anche a consegnare la
ricorrenza del presupposto in esame ad una presunzione di esistenza fondata
sulla mera possibilità di acquisizione del dato.
Muovendo
da tale presupposto, la Corte ha, poi, operato l’esame degli elementi offerti
dalla curatela, ritenendo, in primis,
generico il riferimento all’andamento del conto corrente, che si indica
caratterizzato da continui sconfinamenti e/o scoperti (non avendo la curatela fornito alcuna indicazione né
quantificazione in tal senso), ed, in ogni caso, non rilevante, potendo tali
circostanze rappresentare il segno intangibile di una persistente fiducia
riposta dalla Banca sulle capacità finanziarie del correntista, ove si
consideri l’esposizione a rischio dell’istituto di credito rispetto a
situazioni di scoperto.
Quanto
alle procedure esecutive mobiliari, la Corte di Appello di Napoli ha ribadito
il principio secondo cui non sussiste un sistema pubblicitario di esse e, per
il pignoramento mobiliare, neanche un sistema trascrizione consultabile dai
terzi.
Del
pari inidonee a fondare la prova della conoscenza in capo alla Banca, sono
state ritenute le risultanze della Centrale Rischi, da cui non emergevano
sofferenze, ma solo posizioni di affidamento della società, evincibili dalle
diciture “rischi auto liquidanti”, “rischi a revoca” e rischi a scadenza”, le
quali dimostravano, semmai, il credito bancario di cui la società continuava a
godere.
La
Corte ha, infine, escluso, nella azione in esame, la rilevanza dei protesti con
causale “firma contestata”, anche osservando come la evidenza degli stessi non
avesse impedito alla società di intrattenere plurimi rapporti di finanziamento
con la banca, sicché ha ritenuto che l’istituto non abbia avvertito la
condizione di insolvenza della società, non giustificandosi altrimenti la
persistente operatività del conto corrente e delle citate esposizioni a rischio
della banca.
In
conclusione, la Corte di Appello, ritenuto che gli elementi addotti dalla
curatela fossero insufficienti a fondare, anche in via presuntiva, la prova del
requisito soggettivo di cui all’art. 67, comma 2, l.f., ha accolto l’appello
dell’istituto di credito, con condanna del fallimento alla rifusione delle
spese del doppio grado di giudizio.
Testo del provvedimento
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