ISSN 2385-1376
Testo massima
Si ringrazia per la segnalazione l’Avv. Aldo Corvino
Ai fini della revocabilità ex art. 67, primo comma n. 2, L.F.,oltre all’elemento temporale, che fa da discrimine per l’applicazione del primo comma o del secondo comma, ed oltre alla anormalità del mezzo di pagamento, si deve anche dimostrare che il debito pecuniario estinto fosse scaduto ed esigibile.
Ai fini della revocabilità delle rimesse bancarie il fallimento deve dedurre e provare la riduzione consistente e durevole della esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Napoli, dott. Angelo Napolitano, con la sentenza n. 11737, depositata in data 03.09.2014, nell’ambito di una azione di revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 1, lf, proposta da una curatela nei confronti di un istituto di credito relativamente ad un bonifico pervenuto su di un conto corrente ordinario della fallita, sul presupposto che la Banca, invece di trattenere la somma integralmente sul detto conto ordinario, avesse girocontato parte della somma su di un conto anticipi, riducendo in maniera anomala la esposizione di quest’ultimo.
Il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda proposta dalla curatela dopo una analitica ricostruzione della fattispecie in fatto ed, in particolare, ha rilevato che la società, di seguito fallita, intratteneva con l’Istituto di credito un conto ordinario e due conti “sovvenzione“, sui quali venivano anticipate le fatture emesse dalla società fallita nei confronti di diversi clienti.
Sia il conto ordinario che i due conti “sovvenzione” erano affidati.
Tramite i conti sovvenzione, sulla base di accordi contrattuali, la banca provvedeva, sulla base delle fatture presentate, a versare in favore della fallita l’importo pari all’80% di quanto fatturato.
Il versamento avveniva tramite giroconto dal conto anticipi al conto ordinario. Intervenuto il pagamento da parte del terzo, alla scadenza della fattura, l’importo veniva accreditato sul conto anticipi ed andava a beneficio della banca.
Orbene, in data anteriore il semestre precedente la dichiarazione di fallimento, sul corrente ordinario della fallita, perveniva un bonifico con causale “da s.r.l. per vs. fattura n. omissis commessa omissis” che veniva in parte incamerato sul conto corrente ordinario, in parte girocontato dal conto ordinario al conto anticipi.
Tale operazione produceva l’effetto di ridurre l’esposizione dei conti, esposizione che, in particolare, alla data dell’accredito, relativamente al conto ordinario era maggiore dell’importo affidato, mentre, relativamente ai conti “sovvenzione“, era nei limiti dei fidi accordati.
Poco dopo, la banca revocava le facilitazioni creditizie accordate alla fallita, invitandola al rimborso integrale.
La curatela ha impugnato il giroconto sul conto anticipi, sul presupposto che tale operazione costituirebbe una operazione anomala, revocabile ai sensi dell’art. 67, comma 1, lf, assumendo che l’accredito sul conto anticipi costituirebbe un pagamento di cui la banca si sarebbe illegittimamente avvantaggiata, nella misura in cui, invece di trattenere integralmente quanto percepito con il bonifico sul conto ordinario, avrebbe ridotto in maniera del tutto anomala la esposizione del conto anticipi, utilizzando una provvista che non le competeva.
Secondo la prospettazione del Fallimento attore, infatti, il giroconto non avrebbe avuto alcun collegamento con fatture scontate, scadute e impagate in quanto relativo ad una fattura non anticipata dalla banca e quest’ultima, girocontando la somma sul conto sovvenzione, senza alcun ordine da parte della società fallita, correntista, e senza nessuna giustificazione causale, avrebbe abbattuto di un pari importo l’esposizione della società fallita con riferimento al detto conto.
La anomalia della operazione posta in essere dalla banca, dunque, sarebbe consistita proprio nell’aver indebitamente girocontato sul conto anticipi, abbattendo la relativa esposizione debitoria della fallita, una somma destinata ad essere incamerata sul conto ordinario, in quanto riferita a fatture non oggetto di precedente sconto da parte dell’istituto di credito.
Così ricostruita attentamente la fattispecie come prospettata, il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda rilevando il difetto di uno dei presupposti oggettivi di cui all’art. 67, comma 1, lf.
In particolare, il Tribunale osserva come il debito che l’accredito oggetto del giroconto sarebbe andata a “estinguere” non era, in realtà, un debito scaduto ed esigibile: il fallimento non avrebbe infatti dedotto che la fallita aveva nei confronti della banca convenuta una esposizione extrafido pari ad almeno l’importo del detto pagamento.
Da tanto il Giudice partenopeo fa conseguire la mancanza uno dei presupposti oggettivi ai quali la norma di cui all’art. 67, primo comma, n. 2 lf subordina la revocabilità dell’operazione posta in essere dalla banca convenuta e censurata dal fallimento attore, rilevando, inoltre, come neanche potrebbe sostenersi che dopo la riforma dell’azione revocatoria fallimentare recata dalla legge n. 80/2005, di conversione del decreto legge n. 35/2005, la revocabilità delle rimesse bancarie sia stata sganciata dai requisiti di esigibilità dei debiti oggetto degli atti estintivi.
Dal combinato disposto dei primi due commi dell’art. 67 L.F., con la lettera b) del terzo comma dello stesso articolo e la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 70 L.F., infatti, emerge che la revocabilità (lett. b, ultima proposizione) delle rimesse su un conto corrente bancario è l’eccezione rispetto alla norma dell’irrevocabilità (terzo comma dell’art. 67 L.F.) a sua volta eccezionale rispetto alle disposizioni che regolano la revocabilità degli atti e dei pagamenti di cui ai primi due commi dell’art. 67 L.F.
E la condizione al ricorrere della quale si verifica la eccezionale revocabilità è che le rimesse “abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca“.
A questo punto il Tribunale di Napoli sottolinea come l’eccezionalità della revocabilità delle rimesse, il cui presupposto, dato dalla consistente e durevole riduzione dell’esposizione debitoria del fallito deve essere dedotto e provato dal fallimento, non escluda che, comunque, asserita e dimostrata la revocabilità delle rimesse medesime, l’azione revocatoria sia retta dagli stessi presupposti oggettivi e soggettivi fissati, in generale, dai primi due commi dell’art. 67 lf.
Non avendo pertanto la curatela fornito prova della esigibilità del debito, il Giudice adito ha rigettato la domanda, compensando le spese di lite.
Testo del provvedimento
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