ISSN 2385-1376
Testo massima
Fino a quando non vi sia il passaggio in giudicato della sentenza revocatoria fallimentare di un contratto di compravendita, non può porsi un problema di “abusività” del possesso dell’immobile, oggetto di revocatoria, da parte dell’acquirente, considerato che solo con detto passaggio in giudicato si verifica l’effetto di inopponibilità dell’acquisto immobiliare ai creditori concorsuali.
Finché il Giudice delegato non provveda nel senso di disporre la liberazione dell’immobile ex art. 560 comma 3 c.p.c., non può dirsi che il proprietario che occupi l’immobile oggetto di domanda revocatoria accolta non abbia alcun titolo per occuparlo.
La relazione di fatto tra l’avente causa del contratto di compravendita oggetto di revocatoria e l’immobile da lui acquistato con l’atto revocato è legittima almeno fino a quando il Giudice delegato non disponga la liberazione di quell’immobile da parte del proprietario, ai sensi dell’art. 560, comma terzo, c.p.c.
E’ quanto disposto dal Tribunale di Napoli, VII Sezione, giudice dott. Angelo Napolitano, nell’ambito di un giudizio proposto da una curatela fallimentare al fine di ottenere il risarcimento del danno da occupazione senza titolo di unimmobile oggetto di un contratto di compravendita, già impugnato in revocatoria.
In particolare, è accaduto che, a seguito dell’accoglimento, in primo grado, di una azione di revocatoria fallimentare ex art. 67 comma 1 e in subordine comma 2 lf di un contratto di compravendita, il Fallimento, nelle more dei successivi gradi del detto giudizio, ha convenuto l’avente causa del contratto di compravendita per sentirlo condannare al risarcimento del danno da occupazione senza titolo dell’immobile in oggetto, da quantificarsi in una somma pari al valore locativo dell’immobile a partire dalla data della introduzione del giudizio di revocatoria fino all’effettivo rilascio, o nella diversa misura che fosse risultata dagli atti di causa.
Il Tribunale procede all’esame della controversia, affrontando, in primis, la questione degli effetti dell’azione revocatoria.
Sul punto, muove dal corretto presupposto secondo cui lo scopo dell’azione revocatoria, ordinaria e fallimentare, non è quello di risolvere retroattivamente il rapporto giuridico in base al quale l’acquirente è divenuto proprietario del bene, né tantomeno quello di ottenere l’annullamento o la dichiarazione di nullità del contratto di compravendita, bensì quello di rendere inopponibile ai creditori che abbiano agito processualmente o ai creditori concorsuali, nel caso in cui l’azione revocatoria sia stata esperita dal curatore fallimentare, il diritto acquistato dall’avente causa nel contratto di compravendita.
Il Tribunale di Napoli non omette di precisare come tale inopponibilità si esaurisca nel potere che i creditori hanno di espropriare (ius distrahendi) il bene, ma non escluda che l’acquirente sia divenuto proprietario del bene oggetto del contratto da lui concluso con la fallita.
Viene, pertanto, evidenziata la peculiarità della sentenza che accolga la domanda revocatoria: essa è costitutiva di quell’effetto di inopponibilità, non incidendo sull’assetto proprietario creato dal contratto oggetto dell’azione revocatoria.
Da tanto, correttamente, il Tribunale fa conseguire che lo ius possidendi del proprietario (acquirente in base al contratto oggetto di revocatoria) non viene meno dopo la sentenza di accoglimento della domanda revocatoria, venendo soltanto affievolito dal concorrente diritto del curatore, in rappresentanza della massa dei creditori, di amministrarlo e di disporne al fine di conseguirne la più proficua liquidazione.
In altri termini – viene ulteriormente precisato – mentre, dopo la sentenza che accolga la domanda revocatoria, l’acquirente in base al contratto oggetto di revocatoria conserva il suo diritto di proprietà sull’immobile, quello che cambia è il suo rapporto di fatto con l’immobile: da una situazione di possesso titolato diviene una situazione di detenzione per conto della curatela.
Il Tribunale, a questo punto, afferma il principio secondo cui, fino a quando il Giudice delegato non provveda nel senso di disporre la liberazione dell’immobile ex art. 560 comma 3 c.p.c. (e lo potrebbe fare, non essendovi alcun motivo plausibile per non dotare il Giudice delegato, quantomeno in via analogica, degli strumenti di tutela del patrimonio da liquidare di cui è fornito il Giudice dell’esecuzione), non può dirsi che il proprietario che occupi l’immobile oggetto di domanda revocatoria accolta non abbia alcun titolo per occuparlo.
Si precisa, infatti, grazie anche ad un riscontro nella disposizione di cui al secondo comma dell’art. 47 L.F., che la relazione di fatto tra l’avente causa del contratto di compravendita oggetto di revocatoria e l’immobile da lui acquistato con l’atto revocato è legittima almeno fino a quando il Giudice delegato non disponga la liberazione di quell’immobile da parte del proprietario, ai sensi dell’art. 560, comma terzo, c.p.c.
Orbene, il Tribunale rileva come, nella fattispecie in esame, la domanda del fallimento non potesse essere accolta, visto che, oltre a non essere stato emanato dal Giudice delegato alcun ordine di liberazione in relazione all’immobile de quo, nessuna prova fosse stata fornita, dalla curatela, del passaggio in giudicato della sentenza che ha accolto la domanda revocatoria laddove, quest’ultimo, in realtà, sarebbe il primo presupposto giuridico indefettibile per l’emissione del detto ordine di liberazione.
Fino a quando, infatti, non vi è il passaggio in giudicato della sentenza revocatoria, nemmeno può porsi un problema di “abusività” del possesso dell’immobile, oggetto di revocatoria, da parte del proprietario, avente causa del contratto oggetto di revocatoria, considerato che solo con detto passaggio in giudicato si verifica l’effetto di inopponibilità dell’acquisto immobiliare ai creditori concorsuali.
Sulla base di tali rilievi, il Tribunale ha rigettato la domanda proposta dalla curatela.
Testo del provvedimento
N. 19303/2011 R.G.A.C.
REPUBBLICA ITALIANA
IL T R I B U N A L E D I N A P O L I
Sezione VII
____________________
In nome del Popolo Italiano
in composizione monocratica, nella persona del dott. Angelo Napolitano,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
NELLA CAUSA TRA
Fallimento di S.C.A. (nata a (OMISSIS)), in persona del curatore p.t;
ATTORE
E
D.A. (nato a (OMISSIS))
CONVENUTO CONTUMACE
Nonché
G.A. (nata a (OMISSIS));
INTERVENTRICE VOLONTARIA
Oggetto:
richiesta di pagamento dell’indennità di occupazione
Conclusioni: come da verbale di udienza del 6/6/2013, che qui si abbiano per ripetute e trascritte.
Motivi in fatto e in diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato la curatela del fallimento di S.C.A., dichiarato in data 22/11/1988, ha dedotto, per quello che interessa in questa sede, che con atto di compravendita del 12/4/1988 rogato dal notaio (OMISSIS) la S.C.A. in bonis aveva venduto a D.A. la piena proprietà di un immobile in Bacoli alla via (OMISSIS).
Il fallimento aveva proposto azione revocatoria fallimentare ex art. 67 comma 1 e, in subordine, comma 2 L.F. del detto contratto di compravendita immobiliare e, con la sentenza n. 9203/2001, il Tribunale di Napoli aveva accolto la domanda.
Tale sentenza era stata appellata dal D.A., che tra le altre censure aveva dedotto che la sentenza di primo grado sarebbe stata emessa a contraddittorio non integro, in quanto, avendo egli acquistato all’epoca l’immobile in regime di comunione legale con la moglie G.A., anche quest’ultima, pretermessa nel giudizio di prime cure, avrebbe dovuto partecipare al processo dinanzi al Tribunale, conclusosi con l’accoglimento dell’azione revocatoria esperita dal fallimento.
La Corte di Appello aveva, in accoglimento di tale censura, riformato la sentenza di primo grado, rimettendo le parti dinanzi al Tribunale ai sensi dell’art. 354 c.p.c.
La sentenza di appello era stata impugnata con ricorso per cassazione, sulla base del rilievo dell’erroneità del principio, espresso dalla Corte di appello, secondo cui il contraddittorio sulla domanda revocatoria avrebbe dovuto essere esteso alla moglie del D.A., G.A.
La Suprema Corte aveva accolto il ricorso del fallimento, rinviando le parti dinanzi alla Corte di appello.
Il giudizio di rinvio davanti alla corte di appello, alla data della assegnazione della presente causa in decisione (udienza del 6/6/2013), era ancora in corso.
Nelle more delle tribolate vicende processuali del giudizio di revocatoria, in data 8/6/2011 il fallimento ha chiamato in giudizio il D.A. per sentirlo condannare al risarcimento del danno da occupazione senza titolo dell’immobile oggetto del contratto di compravendita impugnato in revocatoria, quantificata in euro 94.574,93, pari al valore locativo dell’immobile a partire dal 13/11/1989 (data della introduzione del giudizio di revocatoria) fino all’effettivo rilascio, o nella diversa misura che fosse risultata dagli atti di causa.
In via preliminare ha chiesto che il presente giudizio fosse sospeso in attesa della decisione della Corte di appello nel giudizio di rinvio.
Nel presente giudizio è intervenuta volontariamente G.A., moglie del D.A., la quale ha eccepito la improcedibilità della domanda attrice e, in subordine, la sua infondatezza.
Non essendo stati esperiti mezzi di prova costituenda, all’udienza del 6/6/2013 la causa è stata spedita in decisione, con la concessione dei termini di legge per il deposito delle scritture conclusionali.
La domanda è infondata e non merita accoglimento.
Lo scopo dell’azione revocatoria, ordinaria e fallimentare, non è quello di risolvere retroattivamente il rapporto giuridico in base al quale l’acquirente è divenuto proprietario del bene; né tantomeno è quello di ottenere l’annullamento o la dichiarazione di nullità del contratto di compravendita.
Scopo dell’azione revocatoria è quello di rendere inopponibile ai creditori che abbiano agito processualmente o ai creditori concorsuali, nel caso in cui l’azione revocatoria sia stata esperita dal curatore fallimentare, il diritto acquistato dall’avente causa nel contratto di compravendita.
Orbene, tale inopponibilità si sostanzia nel potere che i creditori o il curatore hanno di sottoporre ad azione esecutiva il bene acquistato dall’avente causa dal debitore, come se quell’acquisto non fosse avvenuto rispetto ai creditori, singolari o concorsuali.
L’effetto di inopponibilità, tuttavia, si esaurisce nel potere che i creditori hanno di espropriare (ius distrahendi) il bene; ma non toglie che l’acquirente sia divenuto, come nel caso che ci occupa, proprietario del bene oggetto del contratto da lui concluso con la fallita.
In questo, dunque, sta la peculiarità della sentenza che accoglie la domanda revocatoria: essa è costitutiva di quell’effetto di inopponibilità, non incidendo sull’assetto proprietario creato dal contratto oggetto dell’azione revocatoria.
Ne deriva, quindi, che lo ius possidendi del proprietario (acquirente in base al contratto oggetto di revocatoria) non viene meno dopo la sentenza che accolga la domanda revocatoria: esso viene solo affievolito dal concorrente diritto del curatore, in rappresentanza della massa dei creditori, di amministrarlo e di disporne al fine di conseguirne la più proficua liquidazione.
In altri termini, mentre, dopo la sentenza che accolga la domanda revocatoria, l’acquirente in base al contratto oggetto di revocatoria conserva il suo diritto di proprietà sull’immobile (per parlare del tipo di bene che viene in rilievo nel caso che ci occupa), quello che cambia è il suo rapporto di fatto con l’immobile: da una situazione di possesso titolato diviene una situazione di detenzione per conto della curatela.
Quest’ultima situazione fa assomigliare il proprietario dell’immobile oggetto di revocatoria al custode senza diritto al compenso di cui al primo comma dell’art. 559 c.p.c. (in combinato disposto con l’art. 604 c.p.c. in tema di espropriazione contro il terzo proprietario), essendo equiparabile quoad effectum al pignoramento la sequenza dichiarazione di fallimento sentenza di accoglimento della domanda revocatoria.
Sicché, fino a quando il Giudice delegato non provveda nel senso di disporre la liberazione dell’immobile ex art. 560 comma 3 c.p.c. (e lo potrebbe fare, non essendovi alcun motivo plausibile per non dotare il Giudice delegato, quantomeno in via analogica, degli strumenti di tutela del patrimonio da liquidare di cui è fornito il Giudice dell’esecuzione), non può dirsi che il proprietario che occupi l’immobile oggetto di domanda revocatoria accolta non abbia alcun titolo per occuparlo.
Una notevole conferma della bontà dell’approdo esegetico qui raggiunto, del resto, la si riscontra nella disposizione di cui al secondo comma dell’art. 47 L.F.
Se vi è una situazione di possesso del debitore fallito in relazione ad un immobile che rientra nel fallimento, situazione che preesista al fallimento, deve essere il Giudice delegato a porre fine a quella situazione di possesso, emanando il provvedimento di liberazione di cui al terzo comma dell’art. 560 c.p.c., stante il generale divieto di autotutela esecutiva nei rapporti tra privati che vale anche per il curatore.
Ne consegue che, anche ammesso che già ci fosse una sentenza passata in giudicato che avesse accolto la domanda revocatoria da parte del curatore, la relazione di fatto tra il D.A. e l’immobile da lui acquistato con l’atto revocato non per ciò solo sarebbe divenuta “non iure”, ed anzi sarebbe legittima almeno fino a quando il Giudice delegato non disponesse la liberazione di quell’immobile da parte del proprietario (D.A.), ai sensi dell’art. 560, comma terzo, c.p.c.
Orbene, a maggior ragione non può essere accolta la domanda del fallimento, visto che, oltre a non essere stato emanato dal Giudice delegato alcun ordine di liberazione in relazione all’immobile de quo, nessuna prova è stata fornita nel presente giudizio, dalla curatela, del passaggio in giudicato della sentenza che ha accolto la domanda revocatoria spiegata dal fallimento contro il DA., passaggio in giudicato che, in realtà, sarebbe il primo presupposto giuridico indefettibile per l’emissione del detto ordine di liberazione.
Fino a quando, infatti, non vi è il passaggio in giudicato della sentenza revocatoria, nemmeno può porsi un problema di “abusività” del possesso dell’immobile, oggetto di revocatoria, da parte del D.A., considerato che solo con detto passaggio in giudicato si verifica l’effetto di inopponibilità dell’acquisto immobiliare ai creditori concorsuali.
In definitiva, la domanda del fallimento è infondata.
Non vi è luogo alla pronuncia sulle spese in riferimento al rapporto processuale tra il fallimento e il D.A., attesa la contumacia di quest’ultimo.
Quanto al rapporto processuale, poi, tra il fallimento e G.A., sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio, attesa l’ininfluenza delle difese da lei spiegate sulla ratio decidendi della presente controversia.
PQM
Rigetta la domanda della curatela.
Nulla sulle spese con riferimento al rapporto tra il fallimento e D.A. A.S.
Compensa le spese con riferimento al rapporto tra il fallimento e G.A.
Napoli, lì 09.12.2013
Il Giudice
Dott. Angelo Napolitano
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Numero Protocolo Interno : 9/2013