ISSN 2385-1376
Testo massima
I versamenti effettuati dalla società alla banca nell’anno precedente l’ammissione della società stessa alla procedura di amministrazione straordinaria non hanno natura solutoria, bensì ripristinatoria della provvista e, pertanto, non sono revocabili.
Questo il principio di diritto statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 4803 del 28.02.2014.
Nel caso preso in esame, la Suprema Corte ha cassato con rinvio alla Corte di Appello in diversa composizione la sentenza che aveva ritenuto revocabili le somme versate sul conto corrente dalla società nell’anno precedente la dichiarazione di insolvenza, sull’errata convinzione che non vi fosse un contratto di apertura di credito e senza tenere conto del contratto depositato dalla banca nella produzione del giudizio di primo grado. Non vi è dubbio, infatti, che l’istituto di credito fosse a conoscenza dello stato di insolvenza della società nell’anno anteriore la sua dichiarazione, anche per le numerose ipoteche fino al sesto grado gravanti sugli immobili e la presenza di pegni e privilegi gravanti sul patrimonio della società. Per contro, in atti è emerso che la banca ha concesso alla società un affidamento complessivo di oltre due miliardi di lire, come si evince dal documento prodotto nel giudizio di primo grado dalla stessa banca, documento formato da quattro facciate, intestato “lettera di risposta al cliente”, con le condizioni che regolano l’apertura di credito in conto corrente fra la banca e la società, debitamente sottoscritto dalla cliente.
La Corte di Cassazione, nel caso di specie, in presenza agli atti del fascicolo di primo grado del documento che attesta la concessione di un fido al cliente e l’indicazione dell’ammontare concesso, ha affermato il principio di diritto secondo cui le rimesse effettuate dalla società alla banca nel periodo “sospetto” in presenza di un’apertura di credito non hanno natura solutoria, bensì natura ripristinatoria della provvista e, pertanto, non sono revocabili.
La sentenza in commento, dunque, ribadisce il principio per cui hanno indubbiamente carattere solutorio e, pertanto, sono revocabili ai sensi dell’art. 67, 2° comma, L.F. solo quelle rimesse volte ad eliminare o quanto meno a ridurre l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca a discapito degli altri creditori.
Più precisamente, i giudici di legittimità hanno affermato che sono revocabili soli i versamenti volti ad eliminare o a ridurre lo <scoperto>, atteso che solo in questo caso il debito è liquido ed esigibile ed il pagamento assume una vera e propria funzione solutoria.
Per completezza appare doveroso segnalare anche l’orientamento di segno opposto della Suprema Corte, la quale in una pronuncia del 2007 (sent. n. 23107 del 6/11/2007 in Il Fallimento n. 5/08) ha affermato il principio in virtù del quale “in tema di revocatoria fallimentare, per stabilire se le rimesse su conto corrente bancario assistito da una apertura di credito abbiano natura solutoria, occorre verificare se i versamenti siano confluiti su un conto passivo in corso di ordinario svolgimento del rapporto in funzione ripristinatoria o siano intervenuti in una situazione caratterizzata dalla mancanza o dal superamento della concessione del credito; tale valutazione deve operarsi con riferimento al momento dell’effettuazione dei singoli versamenti e non ex post, in relazione alla mancata utilizzazione del credito da parte del cliente, salvo che risulti provata la chiusura anticipata del conto o il blocco nella concessione dei blocchetti degli assegni ovvero condotte negoziali sintomatiche in modo univoco della natura solutoria dei versamenti“.
In dottrina ed in giurisprudenza, tra l’altro, è stata ritenuta la revocabilità delle rimesse effettuate su un conto corrente affidato, qualora risulti che queste abbiano concretamente e definitivamente concorso a ridurre il debito sorto a carico del cliente verso la banca in conseguenza della utilizzazione del fido, in quanto non seguite da ulteriori prelievi.
L’effetto delle rimesse in tal caso sarebbe di soddisfare il credito della banca, in palese violazione della par condicio creditorum.
Un indirizzo non dissimile è stato espresso dalla sentenza n. 9064/1992 della Cassazione civile, secondo cui sono revocabili, sempre in un conto assistito da apertura di credito, le rimesse che appaiono, con accertamento ex post, avere definitivamente concorso a ridurre il debito verso la banca.
Detta ipotesi è stata poi individuata nel caso in cui il conto sia stato chiuso anticipatamente, determinando in tal modo un rientro della banca stessa.
In epoca successiva la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, nel caso in cui la rimessa sia effettuata su di un conto affidato, la natura solutoria può essere certo accertata ex post, ma detto accertamento richiede la presenza di ulteriori specifiche circostanze di fatto, puntualmente indicate nell’anticipata chiusura del conto o nella indisponibilità di fatto della provvista per il rifiuto della banca di rilasciare altri blocchetti di assegni, ovvero nella revoca del fido.
La chiusura del conto, dunque, è tale da rendere incontrovertibile la funzione solutoria della rimessa (tra le tante Cass. n. 20935/2005; Cass. n. 13313/1999; Cass. n. 9064/1992).
Da ultimo occorre necessariamente far riferimento alla novella dell’art. 67, terzo comma, lett. b, L.F., la quale dichiara non revocabili le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca.
Detta norma va tra l’altro coordinata con l’art. 70 L.F., terzo comma, così come modificato dal decreto correttivo n. 169/2007, in cui si è stabilito che la banca, in quanto terzo revocato, deve restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese e l’ammontare residuo delle stesse. In base a ciò la revocatoria avrà ad oggetto una somma pari alla differenza tra il massimo scoperto raggiunto nel periodo in cui è provata la scientia decoctionis e il saldo finale, poiché tale differenza indica la riduzione subita dall’esposizione debitoria del fallito in questo periodo.
Ne consegue che non è più attuale la distinzione tra rimesse solutorie affluite su conto scoperto e rimesse ripristinatorie affluite su conto passivo. L’esplicita adesione alla teoria della differenza fra massimo scoperto e saldo finale ne comporta il necessario abbandono (in tal senso G. Cavalli, commento all’art. 67, terzo comma, lett. b, in “Il Nuovo diritto fallimentare“, diretto da A. Iorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna 2006, 970) e di conseguenza un totale ribaltamento di prospettiva, imponendo una valutazione unitaria delle vicende subite dal rapporto di conto corrente in periodi sospetto. La effettiva funzione solutoria o ripristinatoria dei versamenti affluiti sul conto potrà essere accertata solamente ex post, alla luce di tutte le operazioni compiute fino al momento della chiusura del conto, revocando non solo gli accrediti che abbiano comportato un rientro dagli sconfinamenti, ma anche le rimesse che, sebbene avvenute nei limiti dell’apertura di credito, non siano state più seguite dai successivi prelievi e, quindi, abbiano rappresentato, con valutazione ex post un rientro per la banca.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8218-2010 proposto da:
C.F. S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO GIUSEPPE TONIOLO 6, presso l’avvocato OLIVIERI GUSTAVO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C. S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA E IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona dei Commissari Straordinari pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELL’EMPORIO 16/A, presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
C. S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA (CHIAMATA IN CAUSA CON RIC/IN 21.6.2010), C. F. S.P.A. (COSTITUITA CON RIC/INC DEL 21.6.2010);
– intimate –
Nonchè da:
C. F. S.P.A. COSTITUITA CON RIC/INC DEL 21.6.2010 (P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO GIUSEPPE TONIOLO 6, presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C. F. S.P.A., C. S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA (CHIAMATA IN CAUSA CON RIC/IN 21.6.2010) C. S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;
– intimate –
avverso la sentenza n. 2041/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 23/11/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/10/2013 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta;
uditi, per la controricorrente, gli Avvocati (OMISSIS)e (OMISSIS) che si riportano;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
C. s.p.a. in amministrazione straordinaria, premesso che la società era stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria con decreto del 10/3/92, previa dichiarazione di insolvenza del 22/2/92, chiedeva la revoca L. Fall., ex art. 67, di tutti i versamenti di natura solutoria effettuati dalla società nell’anno anteriore al 10/3/92, sul c/c n. (OMISSIS), intrattenuto con la convenuta C. F. s.p.a., per il quale non risultava alcun affidamento, nonchè di tutte le operazioni qualificabili come contratti, mediante le quali la società aveva corrisposto alla Banca, a titolo oneroso, crediti, titoli di credito, carta commerciale, valuta e titoli mobiliari, per la somma complessiva di L. 1.899.828.896, o per quella diversa somma dovuta, nonchè dell’ulteriore importo di L. 1.000.000.000, in relazione a pagamenti di terzi non transitati sul conto o in relazione a negozi a titolo oneroso da ritenersi revocabili.
Deduceva che la scientia in capo alla Banca era desumibile dalla stessa tipologia delle rimesse, dalle anomale modalità di rientro delle anticipazioni in valuta su fatture, dagli insoluti in possesso della convenuta, dalle ipoteche sino al sesto grado iscritte sugli immobili, nonchè dai pegni e privilegi speciali gravanti sul patrimonio della società.
La convenuta contestava la sussistenza della scientia decoctionis, eccepiva la nullità delle domande per assoluta genericità, ed assumeva comunque che la società godeva di un affidamento di complessive L. 2.100.000.000. Il Tribunale, con sentenza 15/7- 2/10/02, dichiarava “improcedibile” la domanda, per contrarietà della L. n. 95 del 1979 alla normativa comunitaria.
La Corte d’appello, con sentenza non definitiva del 21/9/06, dichiarava “procedibile” la domanda; dichiarava la parziale nullità della stessa nella parte afferente la revoca di “tutti i contratti in forza dei quali C. ha consegnato all’Istituto convenuto, a titolo oneroso, titoli di credito, carta commerciale, valuta e titoli mobiliari”, e rimetteva la causa in istruttoria, disponendo C.T.U..
Con sentenza definitiva, depositata il 23 novembre 2009, la Corte d’appello, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato l’inefficacia delle rimesse effettuate da C. sul c/c (OMISSIS) per il complessivo importo di Euro 925.996,37, condannando la Cassa alla restituzione a favore della C. in a.s. della somma indicata, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, oltre alle spese dell’intero giudizio.
Rileva la Corte veneta che, secondo le condivisibili valutazioni del C.T.U., i bilanci del triennio antecedente all’ammissione alla procedura denotano una costante sottocapitalizzazione della società e in particolare, che risultano fuori dai limiti ed in costante peggioramento i principali indicatori della capacità di far fronte regolarmente ai propri impegni, ed evidenziano palesi violazioni dei principi di corretta redazione, intesi a nascondere l’effettiva situazione, come, ad esempio, per l’inspiegata ed ingiustificata modifica del criterio di valutazione delle rimanenze (da “L.” a “prezzo medio di acquisto”), al fine di ridurne l’incidenza e coprire le perdite che esse comportavano.
A detti elementi, andavano aggiunte le ancor più facilmente percepibili risultanze del conto, evidenzianti il ricorso all’espediente della creazione sui conti correnti di provviste fittizie attraverso movimenti di somme ingenti ed a cifra tonda, facilmente rilevabili, da un conto all’altro, e che la gran parte dei finanziamenti all’export non venivano rimborsati e la società chiedeva in continuo proroghe, seguite da addebito in conto corrente e dall’immediata apertura di nuovi finanziamenti.
La Corte, premessa l’assenza di fido, stante la mancanza di prova in atti, ha ritenuto di aderire al criterio del saldo disponibile, adottato dal C.T.U., e non a quello del massimo scoperto, introdotto quale elemento strutturale della nuova revocatoria dal D.L. n. 35 del 2005; ha rilevato che, quanto all’eccezione della Banca della natura non solutoria delle rimesse per l’esistenza di operazioni bilanciate, la parte non aveva provato l’accordo col correntista, opponibile alla Curatela, nè questo era ricavabile per implicito dalle caratteristiche delle operazioni. Quanto alle operazioni di cui si tratta, il Giudice del merito rileva che per quelle sub 1, 3, 4, 6 e 7, il movimento in entrata si presenta come “accredito di effetti salvo buon fine” e quello in uscita, pur dello stesso giorno, ha importo diverso; che analoghe caratteristiche ha l’operazione sub 2, che il C.T.U. ha accertato quale anticipo su fatture; che i due movimenti, in uscita, dello stesso giorno, non possono ritenersi speculari a quelli di entrata e che quindi non si può sostenere che le somme sarebbero solo transitate sul conto al fine esclusivo di costituire la provvista.
Avverso detta pronuncia ricorre la C. F. s.p.a., sulla base di quattro motivi. La Cassa ha depositato successivo ricorso, sulla base degli stessi motivi, attesa l’intervenuta notifica della sentenza, da ritenersi quindi ricorso incidentale; i due ricorsi sono stati già riuniti.
Si difende con controricorso C. s.p.a. in a.s. e in liquidazione.
La Cassa di Risparmio ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.1.- Col PRIMO MOTIVO, la ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67 ed il vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, in relazione alla deduzione di esistenza di affidamento sul conto, provato in tesi dal contratto di apertura di credito in favore della C. per complessive L. 2.100.000.000, di cui L. 100.000.000 milioni per elasticità di cassa e L. 2 miliardi per anticipi su fatture, e confermato dal quesito rivolto al C.T.U. e risultante dalla stessa Consulenza, sia pure limitatamente a 100 milioni.
Rileva la ricorrente che la controparte ha eccepito la mancanza di data certa e quindi l’inopponibilita alla Procedura, ma di tutto questo non v’è cenno nella sentenza, che si è limitata a rilevare la carenza probatoria sul punto, mentre è agli atti la prova dell’affidamento, sub doc. 1 del fascicolo di primo grado della Cassa, composto di un foglio unico articolato in quattro facciate, contenente, sotto la dicitura “Lettera di risposta del cliente”, le condizioni regolanti il contratto di apertura di credito, ed il modulo prestampato, nella seconda facciata, reca la firma per accettazione del cliente e, sull’ultima facciata, il timbro postale con la data del 17/7/1990 insieme all’intestazione “Spett.le C. F.” “corrispondenza in corso particolare”.
In ogni caso, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata è incorsa nel vizio motivazionale, non avendo spiegato le ragioni per le quali è pervenuta a negare l’esistenza di apertura di credito in conto corrente, almeno per la ridotta misura di L. 100 milioni, accertata dal C.T.U..
1.2.- Col SECONDO MOTIVO, la Cassa denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2 e vizio di motivazione, omessa, insufficiente e contraddittoria, in relazione alla ritenuta revocabilità di sei rimesse derivanti da operazioni di “anticipi su fatture”, in quanto, come ammesso dallo stesso C.T.U., l’importo anticipato e accreditato sul conto del cliente proviene dalla stessa Banca, a fronte della cessione pro solvendo di fatture commerciali da presentare successivamente all’incasso.
La ricorrente ribadisce la non revocabilità delle rimesse di cui all’elenco inserito a pag. 8 dell’elaborato peritale, anche sotto il profilo della qualificazione delle stesse come operazioni bilanciate, rilevando che la sentenza contraddittoriamente ha ammesso come tale la sola rimessa di L. 66.892.383, pur seguita da disposizione di addebito di importo non corrispondente, mentre ha escluso le altre, pur collocate nello stesso giorno degli addebiti, e non di pari importo.
1.3.- Col TERZO MEZZO, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, e del vizio di motivazione, omessa, insufficiente e contraddittoria, in relazione al criterio del saldo disponibile, adottato in sentenza, a fronte del criterio del massimo scoperto.
1.4.- Col QUARTO MOTIVO, motivo, la Cassa si duole della ritenuta prova della scientia decoctionis, gravante sulla C. in a.s., sotto il profilo del vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
La ricorrente contesta l’adeguata motivazione dell’integrazione della C.T.U., nonchè la mancata risposta alle puntuali considerazioni del C.T.P. e della difesa della Banca alle risultanze della C.T.U., in punto scientia decoctionis; si duole della mancata considerazione della sentenza della stessa Corte d’appello nell’analogo giudizio tra la C. e la Cassa di Risparmio di Rovigo e Padova, che sarebbe stata da adottare per l’autorevolezza e l’efficacia riflessa del giudicato, o almeno quale elemento di prova.
2.1.- Il PRIMO MOTIVO è fondato.
La ricorrente fa valere il doc. 1 del proprio fascicolo di 1^ grado, per provare l’esistenza di affidamento; tale documento si presenta quale modulo prestampato, composto da un foglio unico articolato in quattro facciate, recante l’intestazione di “Lettera di risposta del cliente”, contenente le condizioni regolanti l’apertura di credito in c/c tra la Cassa e la C., firmato da detta società, e recante sull’ultima facciata, il timbro postale con la data del 17/7/1990, insieme alla intestazione “Spett.le Cassa di Risparmio di Ferrara”, e con la stampigliatura “corrispondenza in corso particolare”.
A fronte di tale documento, prodotto in primo grado, posto dalla Banca a base del dedotto rapporto di apertura di credito e del relativo finanziamento, come tale ribadito in secondo grado in sede di costituzione (pag. 32 della comparsa di costituzione in appello), e del quale il Fallimento aveva eccepito l’idoneità a fornire la prova dell’esistenza e dell’ammontare del fido, sostenendo l’inopponibilità del documento, la Corte del merito si è limitata a rilevare che “non vi è prova in atti” di un fido, incidente come tale sulle rimesse, secondo la nota distinzione tra rimesse con funzione solutoria, revocabili, e con funzione ripristinatoria della provvista, non assoggettabili alla revocatoria fallimentare.
Con l’apodittica asserzione della carenza di prova di fido, a fronte della produzione del documento sopra indicato, contestato dalla controparte e sul quale quindi si era formato il contraddittorio, la Corte del merito è incorsa nel vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, come affermato da questa Corte nelle pronunce 5377/2011, 11457/2007, 3075/06, non avendo in alcun modo preso in esame il documento in oggetto, dotato dei caratteri della decisività sullo specifico punto, nè quindi spiegato le ragioni della statuizione assunta.
2.2.- Il SECONDO ed il TERZO motivo, riguardanti sempre il profilo delle rimesse revocabili, sono da ritenersi assorbiti dall’accoglimento del primo motivo.
2.3.- Il QUARTO MOTIVO va respinto.
In prima battuta, va rilevato che la doglianza relativa alla inadeguatezza della motivazione dell’ordinanza della Corte d’appello, dispositiva dell’integrazione alla C.T.U., non può valere quale denuncia di vizio di motivazione della sentenza, come la parte ha specificamente formulato la censura.
Quanto al richiamo alle considerazioni ed ai dati oggetto di valutazione da parte della Corte d’appello di Venezia nell’analogo giudizio tra C. e Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, va rilevato che, anche a tacere dagli ulteriori rilievi, la pronuncia invocata non è neppure passata in giudicato, in quanto impugnata avanti a questa Corte, e cassata con rinvio, mentre, come ritenuto nelle pronunce 4241/2013, 19499/2009, 19492/2007, solo la sentenza passata in giudicato, anche quando non possa avere l’effetto vincolante di cui all’art. 2909 cod. civ., può avere comunque l’efficacia riflessa di prova o di elemento di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell’accertamento giudiziale e tale efficacia indiretta può essere invocata da chiunque vi abbia interesse, spettando al giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e valutarne liberamente il contenuto, anche in relazione agli altri elementi di giudizio rinvenibili negli atti di causa. Nel resto, le doglianze della parte, intese a far valere le contestazioni mosse dalla stessa parte e dal proprio consulente alla C.T.U. nel corso del giudizio di merito, presentano profili di inammissibilità ed infondatezza. La Cassa infatti intende far valere presunte omissioni della C.T.U., la diversa valutazione dei criteri di redazione dei bilanci, prospetta l’incidenza da attribuire ad altri e diversi dati, contesta come dalle elaborazioni peritali possano farsi discendere i chiari sintomi d’insolvenza, ma detti rilievi non configurano neppure in tesi errori del C.T.U., nè incidono sulle argomentazioni addotte dalla Corte del merito, che, aderendo alle valutazioni del C.T.U., hanno valorizzato le violazioni dei criteri di corretta redazione dei bilanci, il costante peggioramento della capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni, le risultanze del conto, elementi tutti che rendevano manifesta la situazione di difficoltà della società e che la Banca era sicuramente in grado di rilevare.
E, per orientamento costante, come affermato nella pronuncia 8023/2009, e conformi, tra le altre, le successive 24028/2009, 21961/2010 e 9395/2011, spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavìa rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo.
3.1.- Conclusivamente, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, respinto il quarto motivo, e, cassata la pronuncia impugnata in relazione al motivo accolto, va rinviata la causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra indicato, e che provvederà anche a decidere sulle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo dei ricorsi, assorbiti i motivi secondo e terzo, respinto il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2014
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Numero Protocolo Interno : 231/2014