La sottoscrizione di un piano di rientro che risulti essere stato correttamente eseguito, a cui si aggiunga un piano di rilancio produttivo e delle commesse che avrebbe previsto l’esecuzione di nuove forniture con le stesse modalità utilizzate in precedenza, non costituisce, in alcun modo, prova della conoscenza dello stato di insolvenza, ex articolo 67, comma 2, L.F..
Questi i principi espressi dal Tribunale di Milano, Dott. Filippo D’Aquino, con la sentenza del 04.07.2016.
Nel caso di specie, una società in liquidazione chiedeva la revoca, in danno di una società fornitrice, di una serie di pagamenti effettuati nel semestre anteriore al decreto di apertura del procedimento di concordato preventivo.
In particolare, parte attrice deduceva che il concordato preventivo era stato successivamente revocato ex art. 173 L.F., che contestualmente era stato dichiarato lo stato di insolvenza della società e che con successivo decreto era stata dichiarata aperta la procedura di amministrazione straordinaria, nel cui ambito era stato predisposto un programma di cessione dei compendi aziendali.
In aggiunta, parte attrice esponeva di aver sottoscritto con il convenuto un piano di rientro in concomitanza con la conclusione di analoghi accordi del medesimo tenore con altri creditori che sarebbe servito a ripianare l’esposizione debitoria con quest’ultimo.
Il convenuto, una piccola società dedita alla commercializzazione di prodotti vegetali di IV gamma, lamentava il fatto che il pagamento delle fatture da parte della società in liquidazione era stato puntuale sin dall’inizio e che i pagamenti, previsti contrattualmente con scadenza a 30/60/90 giorni, avvenivano, normalmente, a scadenze anche superiori.
La società fornitrice contestava, inoltre, la sussistenza del presupposto soggettivo dell’azione, nonché la sussistenza e la pregnanza degli elementi indiziari addotti dall’attore, rilevando che il piano di rientro costituisce elemento di per sé asintomatico per inferire la scientia decoctionis e non contiene alcuna ristrutturazione del debito; che il pagamento delle forniture precedenti l’anno 2010 era avvenuto anch’esso con ritardo rispetto ai termini contrattualmente previsti; che il piano di rientro era stato regolarmente eseguito sino al dicembre 2010, data sino alla quale erano avvenuti i pagamenti potenzialmente revocabili.
Il Tribunale di Milano, rilevava, in proposito, che la società in liquidazione aveva da sempre adottato la forma di pagamento delle proprie forniture con bonifico bancario; che la società in liquidazione pagava storicamente le proprie fatture a 30/60/90 giorni; che per il pagamento delle fatture di marzo, aprile, maggio 2010 era stato stipulato un piano di rientro che prevedeva un riscadenziamento nel tempo; che le forniture successive al piano di rientro proseguirono come le precedenti; che il piano di rientro era stato correttamente eseguito sino al mese di dicembre 2010, benché con qualche giorno di ritardo rispetto ai tempi concordati; che l’interruzione dei pagamenti era avvenuto successivamente all’esecuzione dell’ultimo dei cinque pagamenti per cui è causa.
Il Giudice lombardo osservava che le parti avevano pattuito un piano di rientro per il pagamento delle fatture dei mesi di marzo, aprile e maggio 2010 che era stato non solo correttamente eseguito, ma al piano era stato aggiunto un piano di rilancio produttivo e delle commesse che avrebbe previsto l’esecuzione di nuove forniture con le stesse modalità di quelle che erano state eseguite in precedenza.
Ad avviso del Giudice adito, infatti, se il piano di rientro fosse stato la spia per la convenuta che le cose andavano male, la convenuta non avrebbe certamente consentito una ripresa delle forniture come in precedenza, ma avrebbe chiesto ulteriori garanzie, ovvero avrebbe modificato le modalità di pagamento passando, ad esempio, a pagamenti più ravvicinati: in altri termini, argomentava il Giudicante, la stipulazione di un piano di rientro non può essere considerata valida prova della conoscenza dello stato di insolvenza di controparte e, di conseguenza, i pagamenti effettuati, non risultano revocabili ex art. 67 L.F..
Sulla base di quanto suesposto, il Tribunale di Milano rigettava la domanda, condannando parte attrice al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:
È onere del curatore dimostrare la effettiva conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore
Sentenza | Tribunale di Napoli, dott.ssa Alessia Notaro | 09.01.2015 | n.285
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