Provvedimento segnalato dall’Avv. Teodoro Carsillo del foro di Roma
Nell’ipotesi di intervento di un terzo creditore nel giudizio promosso da altro creditore per ottenere la revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c., del medesimo atto dispositivo patrimoniale pregiudizievole delle ragioni creditorie di entrambi (attore ed interventore) compiuto in epoca successiva al sorgere dei rispettivi crediti, l’intervento è da reputarsi adesivo autonomo, con la conseguenza che l’interventore ha il diritto di impugnare la sentenza ad esso sfavorevole.
Questo il principio espresso dalla Cassazione civile, Pres. Di Amato – Rel. Vincenti, con la sentenza n. 5621 del 07.03.2017.
Nel caso controverso, la BANCA, assumendo di essere creditrice (in forza di decreto ingiuntivo) di una certa somma, oltre accessori, nei confronti di una SOCIETA’ DEBITRICE e dei relativi GARANTI, i quali si erano spogliati dell’unico bene immobile da loro posseduto cedendolo ad altra società, conveniva in giudizio i predetti GARANTI e la SOCIETA’ ACQUIRENTE onde sentir dichiarare, nei loro confronti, la simulazione dell’atto di vendita ed, in via subordinata, l’inefficacia dello stesso, ai sensi dell’art. 2901 c.c..
Nel giudizio interveniva altra creditrice della società debitrice e dei garanti, chiedendo l’accoglimento della declaratoria di simulazione dell’atto di vendita ed, in subordine, di revoca dello stesso.
Si costituivano in giudizio i convenuti contestando l’ammissibilità e la fondatezza delle domande.
L’adito Tribunale di Ancona accoglieva la domanda di simulazione proposta, in via principale, dalla BANCA attrice e dalla società intervenuta, dichiarando simulato l’atto di compravendita tra i garanti e società acquirente.
Avverso l’emanata sentenza proponevano separate impugnazioni (poi riunite) i garanti, da un lato, e la società acquirente, dall’altro; si costituivano le altre parti chiedendo il rigetto dell’appello ed in caso di accoglimento dell’appello, l’accoglimento della domanda subordinata di revocatoria.
La Corte di Appello di Ancona, in totale riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di simulazione proposta dalla BANCA e da società creditrice; revocava ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto di compravendita del gennaio 2002 nei confronti della BANCA e dichiarava inammissibile l’intervento della società creditrice nel giudizio di revocatoria.
I garanti della società debitrice ricorrevano per la Cassazione della sentenza, affidandosi ad un unico motivo; resistevano con controricorso la BANCA in Amministrazione Straordinaria e la società creditrice; quest’ultima società proponeva anche ricorso incidentale affidato a due motivi.
Con l’unico mezzo del ricorso principale, i garanti denunciavano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., per ultrapetizione della pronuncia sulla domanda revocatoria ex art. 2901 c.c., non ritualmente proposta mediante appello incidentale; la Corte territoriale aveva errato, secondo la prospettazione di parte ricorrente, a pronunciare sulla domanda di revocatoria ordinaria proposta in via subordinata dall’Istituto di credito, nonostante l’appellata non avesse proposto appello incidentale condizionato ai sensi dell’art. 343 c.p.c., limitandosi a riproporre la domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c., là dove invece l’autonoma connotazione dell’azione ex art. 2901 c.c., rispetto a quella di simulazione era tale da escludere che potesse assimilarsi a domanda assorbita o non esaminata in primo grado.
In ogni caso, ad avviso degli esponenti, la BANCA avrebbe dovuto impugnare con appello incidentale condizionato la sentenza di primo grado, in quanto “virtualmente soccombente” per il mancato accoglimento della domanda revocatoria, posto che il primo giudice aveva evidenziato la diversità di presupposti tra le due azioni proposte in giudizio e poi statuito in dispositivo su tutte le domande.
La Corte territoriale avrebbe, dunque, pronunciato ultra petita sulla domanda subordinata, neppure istruita dal creditore onerato della relativa prova, e mal valutando gli indizi forniti dalla Banca.
La Suprema Corte, innanzitutto, osservava che, in primo grado la domanda subordinata di revocatoria ex art. 2901 proposta dalla BANCA non era stata affatto esaminata in motivazione, nè implicitamente rigettata in base alla combinazione di motivazione e dispositivo, risultando in quest’ultimo, semplicemente descritto l’ambito decisorio complessivo della emittenda sentenza definitiva, pronunciata sulla domanda (in via principale e gradata) proposta, esaurendosi, sul piano prescrittivo, il dispositivo, nell’accoglimento della sola domanda principale di simulazione.
Nè in seno alla motivazione della sentenza era contenuto alcun passaggio argomentativo che potesse indurre a ritenere, nella combinazione di motivazione e dispositivo, un rigetto implicito della domanda di revocatoria ordinaria, poichè il mero accenno ai “differenti presupposti di cui all’art. 2901 c.c.” ed al “quadro decisamente probatorio” richiesto dallo stesso art. 2901, non riguardava affatto l’esame della domanda gradata, bensì solo ed esclusivamente quella principale di simulazione, ivi accennando il primo giudice alle differenze caratterizzanti le due azioni, ma poi concentrando il proprio scrutinio e la propria pronuncia unicamente sulla domanda ex artt. 1414 c.c. e segg.
Orbene, proseguivano gli ermellini, la proposizione, nel medesimo giudizio, della domanda di simulazione in via principale e di revocatoria ordinaria in via gradata del medesimo atto dispositivo patrimoniale integrava un cumulo di domande in nesso di subordinazione tra loro; domande diverse ed autonome e, anche, incompatibili unidirezionalmente, nel senso che l’accoglimento della simulazione, avrebbe reso irrilevante/assorbente/inutile la revocatoria, ma non viceversa.
Sicchè, in mancanza di una ragione di critica da muovere alla decisione resa con la sentenza impugnata (alla sua motivazione o alla mancanza di essa) ad opera della parte totalmente vittoriosa, non si richiedeva affatto che la domanda subordinata (nella specie, la domanda di revocatoria), non esaminata in forza dell’accoglimento della principale (nella specie, l’azione della simulazione), dovesse essere oggetto di appello incidentale (condizionato) ex art. 343 c.p.c., essendone sufficiente la riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c., circostanza implicante, per l’appunto, l’assenza di ogni profilo di deduzione critica alla sentenza impugnata in via principale, concernendo domande già “proposte” dal giudice non accolte perchè non considerate nella propria motivazione esplicita o implicita.
Con il primo mezzo del ricorso incidentale, la società creditrice deduceva, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1414 c.c. e art. 116 c.p.c., nonchè denunciato omesso esame di fatti decisivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non avendo la Corte territoriale costruito il proprio convincimento in forza di una globale valutazione di tutti gli indizi comprovanti la simulazione, già utilizzati congruamente dal primo giudice, omettendo di motivare in ordine a tutti quegli stessi elementi indiziari e presuntivi.
Invero, la Corte, ribadito il principio generale secondo cui, in tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta di un contratto, spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che devono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità all’esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico, rilevava che il giudice di Appello aveva tenuto conto degli indizi così come allegati in giudizio e scrutinati dal primo giudice, orientando diversamente il proprio convincimento in ragione dell’effettività del trasferimento sulla circostanza della sola vendita della nuda proprietà.
Con il secondo mezzo del ricorso incidentale, veniva denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e/o n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c., art. 2901 c.c. e art. 111 Cost., comma 7; la società ricorrente argomentava diffusamente sulla configurabilità dell’intervento adesivo autonomo in giudizio di revocatoria ordinaria promosso da altro creditore, coincidendo la causa petendi nell’atto dispositivo del quale si chiedeva l’inefficacia, anche ove non si fosse voluto addirittura apprezzare l’identità di petitum in riferimento all’ eventus damni ed alla scientia damni, contrastando la contraria soluzione fornita dalla Corte territoriale, non solo con l’art. 105 c.p.c. e art. 2901 c.c., ma anche con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
La Suprema Corte sottolineava che ricorre l’ipotesi dell’intervento adesivo autonomo (art. 105 c.p.c., comma 1) quando si fa valere un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo nei confronti di una o di alcune soltanto delle parti, sostenendo le ragioni di una di esse e proponendo eventuali domande. In questa ipotesi l’intervento rappresenta rimedio facoltativo, inteso a realizzare esigenze di economia processuale e ad evitare conflitto di giudicati, e determina o no allargamento oggettivo del processo a seconda che venga fatto valere o meno lo stesso diritto; ove l’intervento sia adesivo autonomo, l’interventore può impugnare autonomamente la sentenza.
Proprio al fine di qualificare in questo senso l’intervento, gli ermellini ricordavano che la Corte aveva precisato cosa si debba intendere per “oggetto” e “titolo” indicati dell’art. 105 c.p.c., comma 1, individuando il primo nel bene sostanziale della controversia, nei limiti in cui è sussunto dalle parti originarie del giudizio (petitum mediato), e il secondo il fatto giuridico costitutivo del rapporto giuridico da esse dedotto in giudizio (causa petendi).
In questa prospettiva, la stessa Corte aveva quindi puntualizzato che il terzo è legittimato (per oggetto”) all’intervento principale o litisconsortile quando il diritto da lui affermato e fatto valere rientri nella struttura di quel medesimo rapporto giuridico già dedotto in causa come generato da quel fatto giuridico, oppure (per il “titolo”) quando rientri nella struttura di un rapporto giuridico diverso ma connesso con quello già dedotto in causa perchè derivante anch’esso, pur se indirettamente, dallo stesso fatto giuridico.
Nella specie, il Giudice di legittimità specificava che essendo stato accertato (e statuito) che la Banca aveva agito in revocatoria ordinaria nei confronti dei debitori garanti della società debitrice principale per la tutela di un credito sorto anteriormente all’atto dispositivo, doveva ritenersi, in base alle deduzioni del ricorrente che analoga azione ex art. 2901 c.c., avesse esperito la società ceditrice, ossia per la tutela di un credito sorto antecedentemente alla vendita immobiliare di cui si è chiesta la revoca.
La Cassazione, pertanto, affermava il principio secondo cui nell’ipotesi di intervento di un terzo creditore nel giudizio promosso da altro creditore per ottenere la revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c., del medesimo atto dispositivo patrimoniale pregiudizievole delle ragioni creditorie di entrambi (attore ed interventore) compiuto in epoca successiva al sorgere dei rispettivi crediti, l’intervento è da reputarsi adesivo autonomo, con la conseguenza che l’interventore ha il diritto di impugnare la sentenza ad esso sfavorevole.
Infatti, un tale intervento, pur facendo valere un diritto non relativo all'”oggetto” del giudizio, essendo diverso il credito di cui si chiede tutela rispetto a quello già dedotto dall’attore, dipendeva però dal “titolo” originario della controversia, inerendo allo stesso fatto giuridico generatore del rapporto dedotto in giudizio (il diritto potestativo di revoca ex art. 2901 c.c.), così da palesarsi come rapporto giuridico ad esso connesso per dipendenza.
In altri termini, il fatto giuridico costitutivo di entrambi i rapporti era rappresentato dal medesimo atto di disposizione patrimoniale che aveva originato il c.d. eventus damni e che, quindi, era venuto a concretizzare la diminuzione di garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) in capo allo stesso debitore rispetto a tutte le ragioni creditorie verso le quali costui è esposto e nei cui confronti, sia l’attore, che l’interventore, chiedono tutela dei rispettivi distinti crediti (petita mediati) in base ad identico petitum immediato (revoca dell’atto pregiudizievole ai sensi dell’art. 2901 c.c.).
Inoltre, concludeva la Corte, l’unicità dell’atto dispositivo pregiudizievole per entrambi i creditori comportava, nell’ipotesi di specie (crediti antecedenti ad esso), anche l’identità del profilo soggettivo che operava come ulteriore presupposto dell’azione revocatoria ordinaria rispettivamente proposta, giacchè si rendeva sufficiente la mera consapevolezza, in capo agli stessi debitore alienante e terzo acquirente, dell’identico fatto, ossia proprio della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo dovuta al medesimo atto dispositivo (non essendo necessaria la collusione tra debitore e terzo, nè occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l’azione, invece richiesta qualora quest’ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito).
Sulla base di quanto esposto, la Cassazione rigettava il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di lite.
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