ISSN 2385-1376
Testo massima
Ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria del fondo patrimoniale, l’animus nocendi previsto dalla norma è integrato dalla circostanza per la quale il debitore compia l’atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio, da intendersi anche quale mero pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza coattiva del credito medesimo.
Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Sesta, nell’ordinanza 16498 del 18 luglio 2014 in materia di revocazione ordinaria.
In particolare, un creditore conveniva in giudizio due suoi debitori, chiedendo la declaratoria di inefficacia nei propri confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., del fondo patrimoniale che gli stessi avevano costituito e tavolarmente annotato con i beni immobili di uno dei due.
Il Tribunale di Bolzano accoglieva la domanda attorea, dichiarando l’inefficacia del fondo nei confronti dell’attore.
I convenuti proponevano appello deducendo che erroneamente il giudice aveva ritenuto che il fondo patrimoniale fosse stato costituito con la consapevolezza di nuocere all’attore, ma la Corte di Appello confermava in toto la sentenza di primo grado.
Proposto ricorso per cassazione da parte dei debitori, la Suprema Corte ha ribadito che “l’azione pauliana è diretta proprio a tutelare il creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell’atto dispositivo e pertanto sono considerati soggetti all’azione revocatoria anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale”.
Ciò posto, la Suprema Corte ha precisato che, con riferimento al fondo patrimoniale, l’azione revocatoria non disconosce la causa del fondo ma, ove ne ricorrano i presupposti, rappresenta un mero strumento di tutela delle ragioni del creditore.
Ebbene, al fine di integrare l’animus nocendi previsto dalla norma è da ritenersi sufficiente che il debitore compia l’atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio – da intendersi anche quale mero pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo – per il creditore.
Tanto chiarito, la Corte ha poi aggiunto che tale elemento psicologico va provato dal soggetto che lo allega e può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento, devoluto al giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione.
Sul punto, gli Ermellini hanno ritenuto che l’inclusione di un bene nel fondo patrimoniale in presenza di una condanna al pagamento di una somma di denaro di importo elevato, precedente al fondo, è indice della consapevolezza del danno apportato al creditore. Ciò, a fortiori, quando non vi sia prova di un patrimonio residuo sul quale il creditore potesse soddisfare le sue ragioni di credito.
In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato i ricorrenti in solido alla refusione delle spese di giudizio.
Testo del provvedimento
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