La sommarietà dell’istruzione deve essere intesa non già in senso deteriore come istruttoria “superficiale”, come tale non compatibile con un sistema giudiziario di accertamento delle pretese azionate, bensì, più propriamente, come istruttoria “marginale”, “snella” e “veloce”. La marginalità dell’istruttoria deve essere ravvisata quando appaiono prevalenti le questioni di diritto sollevate dalle parti ovvero quando assume una valenza assorbente la prova precostituita documentale. Siffatta marginalità dovrà, altresì, essere valutata rispetto ai mezzi di prova costituendi richiesti dalle parti (interrogatorio formale e prova testimoniale), in confronto alle questioni di diritto sollevate ed ai documenti prodotti quando le questioni giuridiche e non in fatto e/o quando i documenti prodotto costituiscano gli aspetti assorbenti e/o prevalenti per la decisione, nel senso che da essi possano trarsi spunti determinanti per la ricostruzione della fattispecie ovvero per la dimostrazione dei fatti costitutivi, impeditivi, estintivi e modificativi ex art. 2697 c.c. del diritto fatto valere in giudizio, allora ricorrono le condizioni perché l’attivazione del rito sommario instaurato potrà essere avvalorata.
L’azione revocatoria ordinaria, ove esperita vittoriosamente ai sensi dell’art. 2902 c.c., non travolge l’atto di disposizione, posto in essere dal debitore nei confronti del terzo acquirente, ma semplicemente determina l’inefficacia nei confronti del creditore che l’abbia esperita per consentire allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell’atto, azioni necessarie per il soddisfacimento del proprio credito.
L’azione revocatoria giova, quindi, solo al creditore che l’ha proposta il quale, se ha regolarmente proceduto alla trascrizione della domanda di revocatoria ed alla annotazione della successiva sentenza, verrebbe a trovarsi nella posizione di titolare di una sorta di garanzia specifica, una vera e propria causa di prelazione rispetto ai creditori del terzo acquirente.
Di conseguenza il creditore può agire sul ricavato della vendita forzata con preferenza rispetto ai creditori del terzo acquirente espropriato fatti salvi i diritti maturati in virtù di un atto trascritto precedentemente alla trascrizione della domanda di revoca.
Solo in caso di anteriore trascrizione di un pignoramento vi sarà paritario concorso tra il creditore revocante ed i creditori dell’acquirente.
Questi i principi affermati dal Tribunale di Civitavecchia, Dott.ssa Maria Flora Febbraro, con l’ordinanza n. 3115 del 02.03.2017.
Nella fattispecie in questione, il creditore di una certa somma di denaro, non era riuscito ad ottenere soddisfazione da debitore, in quanto l’unico bene di proprietà di quest’ultimo (una motocicletta di grossa cilindrata) era stato trasferito ad un terzo, il quale, a sua volta, lo aveva ceduto ad altro soggetto nonostante la prima cessione, in danno del creditore, fosse stata revocata dal Tribunale con sentenza passata in giudicato.
Nel caso di specie, essendo certo il credito, divenuta definitiva la sentenza che aveva accolto la revocatoria del primo trasferimento, e risultando, inoltre, anche alla luce delle emergenze del Pubblico Registro Automobilistico, di valore presuntivo, che era stato effettuato un secondo trasferimento dopo la prima vendita della motocicletta (già dichiarata inefficace inter partes), il Tribunale di Civitavecchia escludeva che la causa necessitasse di particolari approfondimenti istruttori risultando le ragioni del ricorrente per tabulas, e, quindi, dichiarava ammissibile il procedimento ex art. 702 bis c.p.c., condannando il debitore, che aveva illegittimamente venduto la motocicletta, a restituire al creditore la somma di € 8.000,00, pari al prezzo di vendita del motoveicolo sottratto alla garanzia patrimoniale del creditore al quale sarebbe stato assegnato il ricavato fino alla soddisfazione del credito e delle spese di esecuzione.
La ordinanza in commento, interviene su questioni di una certa importanza, laddove si consideri l’impegno profuso, in questi ultimi anni, dagli operatori del diritto, nel tentativo di sperimentare strumenti processuali capaci di assicurare una più spedita conclusione della lite, nell’ottica di semplificazione del processo capace di accelerarne la definizione, particolarmente avvertita dal legislatore del 2009 e, di recente, con l’emanazione del DL 132/2014, che ha introdotto l’art. 183 bis c.p.c. prevedendo, nella accennata prospettiva, il passaggio dal rito ordinario a quello sommario di cognizione.
Come è noto, il rito sommario di cognizione è stato introdotto nel nostro Ordinamento processuale dalla legge 69/2009 ed inserito all’interno del Codice di Rito con gli artt. 702 bis, 702 ter e 702 quater, configurandolo in senso alternativo rispetto al processo ordinario; e, ciò, al fine di far conseguire alle parti, in tempi più rapidi di quelli richiesti dal rito ordinario, una decisione di merito costituente titolo esecutivo, suscettibile di produrre gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. .
Il principio ispiratore della introduzione del rito sommario di cognizione è quello che si riconnette alla ragionevole durata del processo, garantita costituzionalmente e che in questi anni, come accennato, ha mosso il legislatore su vari fronti con lo scopo di consentire la pratica attuazione della esigenza, particolarmente avvertita dal corpo sociale, di una giustizia veloce.
Come giustamente sostenuto dalla dottrina maggioritaria, i caratteri propri di un rito alternativo a quello ordinario, introdotto dal legislatore come modello generale per la decisione di quelle controversie non caratterizzate da particolare complessità, induce a ritenere che con il procedimento in questione possa essere proposta qualsiasi tipologia di domanda, quindi non solo quella di condanna (come, invece, ritenuto da una dottrina minoritaria), ma anche quelle costitutive e di accertamento ( così, ad esempio, Tribunale di Verona 05.02.2010 e Tribunale di Catanzaro 06.06.2011).
A ciò deve aggiungersi che, per espressa previsione legislativa, contenuta nell’art. 702 bis, comma 1, c.p.c., laddove si fa riferimento a “tutte le cause in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica”, deve ritenersi preclusa l’utilizzabilità del rito de quo rispetto alle controversie di competenza del Tribunale in composizione collegiale, a quelle di competenza del Giudice di Pace, alle cause di appello avverso le pronunce del Giudice di Pace, seppur promosse avanti il Giudice di Pace stesso, ovvero alle cause attribuite in unico grado alla Corte di Appello.
Sulla questione è intervenuta la stessa Corte Regolatrice, la quale, con sentenza 11.11.2011, n. 23691, ha chiarito che il procedimento sommario di cognizione non trova applicazione in tutte quelle controversie non appartenenti alla competenza dl Tribunale in composizione monocratica, ben individuando la ratio del nuovo istituto nella esigenza di introdurre un inedito elemento di flessibilità che possa superare la nota rigidità dello schema processuale ordinario, invero, ritenuto, nelle intenzioni legislative sovrabbondante per la decisione di cause di pronta spedizione.
Molteplici sono le questioni applicative dello strumento processuale in questione e, tra queste, un posto di primo piano va assegnato a quelle riguardanti la possibilità, o meno, di utilizzarlo in alcune controversie per cui è previsto uno speciale rito (quelle locatizie e di lavoro, soprattutto) ed a quelle in cui si discute sulla necessità o meno del preventivo espletamento della procedura media-conciliativa di cui alla Legge 28/2010.
Su entrambe le questioni si registrano in giurisprudenza orientamenti contrapposti e non poteva essere diversamente.
Per quanto riguarda la prima, prevalerebbe la tesi positiva proprio in considerazione della portata generale del rito sommario e della sua applicabilità a tutti i procedimenti di competenza del Tribunale monocratico (così v. ex multis Tribunale di Lamezia Terme 12.03.2010, Tribunale di Napoli 25.05.2010, Tribunale di Fassano 04.07.2010, Tribunale di Teramo 01.12.2010, Tribunale di Latina 03.03.2011 e da ultimo Tribunale di Savona 11.02.2016).
Viceversa, è stata esclusa detta compatibilità: a) sia per ragioni di carattere letterale e sistematico, dato che alla trasformazione del rito da sommario a ordinario ex art. 702 tre, laddove il Giudice ritenga necessaria una istruttoria non sommaria, consegue la fissazione della udienza ex art. 183 c.p.c. estranea al rito del lavoro; b) sia per ragioni di stretta opportunità in quanto il rito del lavoro offre già quelle caratteristiche di snellezza e celerità che possono portare a preferire il rito sommario a quello ordinario (così Tribunale Catanzaro 16.11.2009 in Giurisprudenza di Merito 2010, 2455; Corte di Appello di Lecce 16.03.2011, Corte di Appello di Reggio Calabria 01.03.2012, Tribunale di Modena Sez. II 17.01.2013).
Tale ultima argomentazione è stata considerata da una articolata pronuncia del Tribunale di Brescia, Sez. Lav., 15.10.2014 n. 1676, per sostenere la compatibilità tra i due riti, quello ordinario e quello sommario di cognizione.
Si legge in detta decisione che quest’ultimo rito “può trovare applicazione anche per le controversie nelle quali diversamente dovrebbe trovare applicazione il rito del lavoro e, ciò, in quanto: a) il secondo comma dell’art. 702 ter c.p.c. subordina la dichiarazione di ammissibilità della domanda alla ricorrenza della condizione di cui all’art. 702 bis, il quale si limita a stabilire che il rito sommario di cognizione è precluso per le cause che rientrano nella competenza decisoria del collegio, indipendentemente dal rito prescritto; b) la stessa collocazione sistematica del procedimento sommario di cognizione nel libro quarto dei procedimenti speciali lascia intendere la sua compatibilità sia con le cause instaurabili con il rito ordinario che con le cause che seguono il rito del lavoro; c) l’utilità del rito sommario può essere rintracciata anche in confronto alle cause di lavoro ed assimilabili, poiché la introduzione della procedura ex art. 702 bis e segg. c.p.c. si fonda sull’autonomo presupposto della sufficienza di una istruttoria sommaria, che garanti-sce una trattazione della causa ancora più snella e deformalizzata, e soprattutto una definizione del giudizio con modalità più elastiche e semplificate (decisione con ordinanza e non già con sentenza).
La prevalente dottrina (Luiso, Arieta, Balena, Carrata) esclude dall’ambito di operatività del procedimento de quo sia le controversie di lavoro, che quelle assoggettate a riti speciali.
Per quanto attiene il tentativo di media-conciliazione ex L. 28/2010, la circostanza che non è il rito a determinare l’obbligatorietà del procedimento conciliativo ma la natura della controversia, indurrebbe a ritenere necessaria, secondo una parte della giurisprudenza (così, Tribunale di Genova 18.11.2011 e Tribunale di Varese 20.01.2012), l’attivazione di detto procedimento.
Va segnalata, tuttavia, a tal proposito, una interessante pronuncia del Tribunale di Firenze 22.05.2012, secondo il quale le indubbie esigenze di celerità e prontezza dello strumento processuale de quo verrebbero frustrate dalla imposizione di un preliminare ricorso all’istituto della media-conciliazione, rendendolo inutile, salva l’ipotesi in cui il Giudice non ritenga di trasformare il rito alla prima udienza ex art. 702 ter c.p.c., in relazione alle difese svolte dalle parti sollecitanti una istruzione non sommaria: nel qual caso dovrà sospendere il processo in attesa dello svolgimento dell’iter di media conciliazione.
È bene anche ricordare che ulteriori limitazioni, alla applicabilità del rito sommario, sono state identificate con riferimento a specifiche tipologie di giudizi di competenza del Tribunale monocratico, come l’opposizione a decreto ingiuntivo, che, in quanto caratterizzata da istituti peculiari quali quelli previsti dagli artt. 648 e 649 c.p.c. (per la concessione della provvisoria esecuzione o per la sospensione della esecutività del decreto opposto), suggerirebbe una certa prudenza nel ricorrere al rito sommario di cognizione.
Sul punto è intervenuta recentemente una decisione del Tribunale di Vercelli (23.03.2016) il quale ha opinato per l’applicazione del nuovo art. 183 bis (introdotto con la novella del 2014 che prevede la possibilità del Giudice di disporre il passaggio dal rito ordinario a quello sommario) anche per la opposizione al decreto ingiuntivo.
Ed invero, secondo il Giudice piemontese “non ostano a tale interpretazione ragioni di carattere letterale (art. 645 c.p.c.), alla luce del fatto che l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione partecipa della stessa idoneità al giudicato, formale e sostanziale, che contraddistingue la sentenza; al contrario l’intento acceleratorio, perseguito dal legislatore con l’introduzione della norma, in pratica pensata specificatamente per le liti meno complesse, tra le quali rientrano sovente quelle incardinate a fini dilatori e defatigatori, rende pienamente percorribile la soluzione prospettata”.
In tal senso, non si vede come le stesse ragioni non possano adottarsi nel caso in cui l’opponente scelga fin dall’introduzione del giudizio di opposizione il rito sommario di cognizione.
È incompatibile con il procedimento sommario il procedimento di opposizione agli atti esecutivi perché tale giudizio si definisce con una sentenza non impugnabile mentre è controverso se il procedimento de quo sia utilizzabile per l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., posto che la sentenza è tornata appellabile.
Andrebbe parimenti esclusa l’applicabilità del procedimento sommario a quelli speciali tipizzati, quali la convalida di sfratto e di licenza per finita locazione nonché possessorio, poiché tali procedimenti sono connotati interamente da una loro peculiare disciplina processuale, sia con riferimento alla fase sommaria che a quella eventuale a cognizione piena.
Il procedimento sommario, secondo parte della la dottrina (v. Olivieri), deve ritenersi invece utilizzabile, in alternativa al giudizio ordinario, nei casi di instaurazione del giudizio di merito all’esito di un procedimento cautelare ante causam.
Lo stesso dicasi per quanto riguarda il giudizio di merito dopo che sia stato esperito l’accertamento tecnico preventivo o la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite (artt. 696 e 696 bis c.p.c.).
Il previo esperimento dei procedimenti di cui agli artt. 696 e 696 bis c.p.c. può anzi essere prodromico alla proposizione del giudizio sommario perché all’esito, una volta acquisita la consulenza tecnica preventiva, lo stesso potrebbe consentire la definizione del giudizio con il rito sommario in alternativa a quello ordinario.
Un particolare settore, nell’ambito del quale di recente è stato concretamente utilizzato il rito sommario di cognizione, è quello relativo agli obblighi informativi e di cooperazione in capo all’amministratore condominiale, il quale è tenuto, ex art. 63. disp. att. c.c., a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellano, i dati dei condomini morosi” dato che i creditori stessi “ non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti se non dopo l’esecuzione degli altri condomini” (cfr. Tribunale Pescara ord. 23.02.2016 e Tribunale Avezzano ord. 01.03.2016).
Ritornando alla fattispecie decisa dal Tribunale di Civitavecchia, attraverso la forma dell’art. 702 bis e segg. c.p.c. (per altro precedente, in materia di revocatoria fallimentare, v. Tribunale di Prato 11.11.2009) l’orientamento, chiaramente espresso attraverso l’enunciazione del principio sopra testualmente riportato, si inserisce nel solco di quella giurisprudenza di merito secondo cui l’applicabilità del procedimento sommario andrebbe valutata non con riferimento all’oggetto del processo ma piuttosto con riferimento alle prove necessarie per la decisione sulla base delle dife-se delle parti (v. ex multis, anche Tribunale di Torino 11.02.2010).
A tal riguardo, merita di essere segnalata una chiara ordinanza adottata dal Tribunale di Mondovì il 13.01.2009, n. 1891, molto citata nei primi commenti della legge 69/2009, secondo cui “ai fini del rito in esame le cause non devono essere divise tra cause oggettivamente complesse e cause semplici, ma tra cause in cui l’istruttoria può essere complessa e lunga ed altre cause in cui l’istruttoria può essere condotta in modo deformalizzato e con rapidità.
La differenza fra le due tipologie può dipendere dalla natura della lite (che non richiede accertamenti in fatto o li richiede in misura limitata) ovvero, spesso, dalla posizioni assunte dalle parti da momento che esse determinano la quantità o la qualità di domande ed eccezioni (che vanno ad integrare il thema decidendum) e, soprattutto, la quantità di istruttoria necessaria attraverso le contestazioni o meno dei fatti allegati dalla controparte. Poiché nel giudizio civile opera il principio di disponibilità della prova, è attraverso le difese delle parti che si può accrescere o diminuire il corso istruttorio della causa, cosicché anche un giudizio teoricamente complesso, quale potrebbe essere quello relativo ad una responsabilità professionale o come, nella specie, ad un’azione revocatoria, può essere deciso senza fare luogo ad una istruttoria lunga e “formale”.
Sintetizzando il pensiero della giurisprudenza sul punto, quale si coglie esattamente nella pronuncia appena citata, declina nel senso di ritenere che il legislatore del 2009 abbia voluto introdurre un procedimento semplificato nella forma e finalizzato alla decisione di tutte le controversie che, indipendentemente dalla loro astratta natura, presentino un carico istruttorio ridotto, ditalchè apparirebbe ridondante e superflua una trattazione non sommaria.
In questo senso, sono compatibili con il procedimento de quo la necessità dello espletamento esclusivamente di una CTU (come nel caso deciso dal Tribunale di Mondovì ove, in relazione alla domanda di revocatoria di una vendita, dovevasi effettuare una CTU), la possibilità che la lite possa essere decisa in punto di diritto, ancorché le relative questioni si presentino complesse (es. Tribunale di Varese ord. 18.11.2009), o con la acquisizione di documenti o prove fornite attraverso gli strumenti di cui agli artt. 118, 210, 213 c.p.c. o perché una decisione possa configurarsi “allo stato degli atti”, stante l’esistenza di prove documentali assorbenti o prevalenti in relazione alle eccezioni e richieste della parti.
Sono parimenti compatibili con il procedimento sommario di cognizione quelle cause che in concreto si presentino suscettibili di definizione immediata per la inammissibilità o la irrilevanza delle prove articolate dalle parti, essendo, altrimenti, agevole per la parte che abbia interesse ad un allungamento dei tempi del giudizio frustrare la maggiore celerità, propria del nuovo rito, mediante la prospettazione di una istruttoria lunga e complessa, da evincersi dalla mera indicazione di una molteplicità di richieste di prova (così Tribunale di Lamezia Terme 24.02.2012).
L’ordinanza in commento del Giudice civitavecchiese compendia in bonam partem le suddette ipotesi in cui non è richiesta una istruttoria non sommaria per il ricorso allo strumento processuale in esame, laddove afferma, expressis verbis , che la sommarietà sull’istruttoria deve essere intesa “non in senso superficiale, come tale ma compatibile con un sistema giudiziario di accertamento delle pre-tese azionate, bensì, più propriamente, come istruttoria marginale, snella e veloce”: con ciò potendosi intendere quale istruttoria compatibile con il rito sommario anche quella orale da espletare, ai fini della decisione, attraverso un numero esiguo di testi da escutere in limitate circostanze di fatto (in questo senso vedasi anche Tribunale di Bologna 29.10.2009).
Correttamente il Tribunale di Civitavecchia ha opinato, nel caso sottoposto al suo scrutinio, che questo poteva essere deciso sulla base della documentazione in atti e con il ricorso alle presunzioni in subiecta materia, considerata la mancata costituzione in giudizio della persona convenuta interessata dalla vicenda processuale.
Per concludere, va ricordato che il recente disegno di legge delega n 2953 approvato dalla Camera dei Deputati in data 10.03.2016, attualmente all’esame del Senato (n. 2284), rende obbligatorio il rito sommario di cognizione ( ridenominato “ rito semplificato di cognizione di primo grado”) per le cause in cui il giudice giudica in composizione monocratica, con la sola esclusione dei procedimenti assegnati al rito del lavoro, riducendo, nello stesso tempo, il numero delle cause in cui è prevista la riserva di collegialità.
Sulla base di quanto esposto, il Tribunale dichiarata l’ammissibilità e la procedibilità della domanda, accoglieva la pretesa attorea, condannando la convenuta al pagamento delle spese di lite.
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