La garanzia concessa a fronte dell’erogazione di un mutuo contratto per estinguerne precedenti ed ulteriori passività senza profili di erogazione di “nuova” liquidità” non può considerarsi contestuale al sorgere del credito garantito, e dunque deve qualificarsi a titolo gratuito ex art. 2901 c.c., comma 2.
L’azione revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e, quindi, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, III sez. civ., Pres. Armano, Rel. Guizzi, con la sentenza n. 7740 dell’8 aprile 2020.
LA NORMA
ART. 2901 C.C., COMMA 2
Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.
IL CASO
Il 2 febbraio 2008 una BANCA concedeva a una società un finanziamento fondiario ipotecario, utilizzabile mediante apertura di credito in conto corrente per l’importo di Euro 3.270.000,00, con obbligo di restituzione dell’importo finanziato entro il 12 febbraio 2011.
Il 4 giugno 2011, la società otteneva un secondo finanziamento, di importo pari al precedente, da rimborsare entro il 30 giugno 2018, finanziamento che veniva utilizzato per estinguere quello originario con una nuova iscrizione ipotecaria del 21 giugno 2011.
Il 21 dicembre 2015, il Tribunale con sentenza n. 1124 dichiarava lo stato di insolvenza della società. Con successivo decreto, il medesimo Tribunale capitolino dichiarava aperta la procedura di amministrazione straordinaria della società.
Il 10 marzo 2016, la BANCA proponeva istanza di insinuazione, chiedendo di essere ammessa al passivo, ed esattamente, in via privilegiata ipotecaria, quanto al mutuo del 2011, per la somma di Euro 3.373.070,79, per capitale, di Euro 184.294,05 per interessi, e di Euro 5.641,71, per spese di procedura esecutiva, nonchè, sempre in via privilegiata ipotecaria, quanto ad altro finanziamento ipotecario del 2009, per la somma di Euro 5.671,98, per spese di procedura esecutiva.
Il giudice delegato così provvedeva: ammetteva la richiedente allo stato passivo, in chirografo, per l’importo di Euro 3.551.811,51, inclusi gli interessi maturati fino all’insolvenza, escludendo il privilegio ipotecario, in quanto l’atto di concessione volontaria d’ipoteca era da revocare in via breve, ex art. 2901 c.c., poichè concesso in pregiudizio dei creditori e nella conoscenza di tale pregiudizio, ricavabile dal fatto che il finanziamento era stato erogato per ripianare un precedente debito scaduto.
Successivamente a seguito della opposizione allo stato passivo, il Tribunale capitolino, in accoglimento della stessa, collocava in via ipotecaria il credito di Euro 3.551.811,51 ammesso invece in chirografo dal giudice delegato.
A tale conclusione il collegio perveniva sul presupposto che l’atto di concessione di ipoteca del 2011 costituisse soltanto un riscadenziamento dei termini di rimborso del mutuo originario, e dunque presentasse natura onerosa, con la conseguenza che il credito, identico a quello iniziale, fosse già “ab origine” ipotecario.
Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione la società in amministrazione contestando il riconoscimento del privilegio in quanto la BANCA, in occasione del nuovo finanziamento del 2011, lungi dall’avvalersi dell’ipoteca, che le attribuiva un diritto di prelazione sul prezzo ricavabile dalla espropriazione dei beni ipotecati, ha preferito estinguere quel mutuo attraverso l’erogazione di un secondo finanziamento; all’estinzione del primo debito, pertanto, ha fatto seguito anche quella della accessoria garanzia ipotecaria, nonchè l’insorgenza di un nuovo rapporto obbligatorio assistito anch’esso da ipoteca.
La Corte ha ritenuto che nel nuovo finanziamento concluso tra la BANCA e la SOCIETÀ in data 4 giugno 2011 non vi fossero delle nuove condizioni negoziali (sotto forma di diversi tassi di interesse o diverse modalità di pagamento) rispetto a quello del 26 febbraio 2008, ma vi fosse una semplice dilazione del termine di restituzione della somma mutuata.
Di conseguenza, laddove non si ravvisino profili di erogazione di “nuova” liquidità, piuttosto che assistersi a “spostamenti di danaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, il “ripianamento” di un debito a mezzo di nuovo “credito”, che la banca già creditrice metta in opera con il proprio cliente, sostanzia propriamente un’operazione di natura contabile“, ovvero “con una coppia di poste nel conto corrente – una in “dare”, l’altra in “avere” – per l’appunto intesa a dare corpo ed espressione a una simile dimensione“.
Alla luce di quanto emerso, è stata ritenuta fondata la contestazione secondo la quale l’operazione negoziale posta in essere nel 2011 costituisse atto a titolo oneroso, circostanza che avrebbe dovuto indurre il Tribunale di Roma a ritenere del tutto indifferente – nell’esaminare, in sede di opposizione allo stato passivo – la revocatoria in via di eccezione fatta valere dalla curatela fallimentare in relazione alla sola costituzione della garanzia reale lo stato soggettivo del terzo, visto che “l’azione revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e, quindi, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore“.
In conclusione, un errore abnorme di gestione del processo di ristrutturazione del credito ha comportato la perdita della garanzia ipotecaria per effetto di una nuova (fittizia) erogazione.
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