Ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’ordinamento giuridico esige che il creditore dia prova sempre e comunque di tre elementi:
- a) la sussistenza di un credito;
- b) l’eventus damni, dovendo cioè l’atto dispositivo arrecare un vulnus alla garanzia patrimoniale generica del creditore;
- c) la scientia damni in capo al debitore disponente, consistente nella consapevolezza (o agevole conoscibilità) del carattere lesivo delle ragioni del credito, nel caso in cui l’atto dispositivo sia successivo al sorgere del credito, oppure, in caso di atti dispositivo antecedente, l’animus nocendi, vale a dire che l’atto dispositivo sia stato posto in essere con l’intenzione di pregiudicare il soddisfacimento del futuro creditore (la norma parla di “dolosa preordinazione”).
Nel caso in cui l’atto dispositivo revocando sia a titolo oneroso, i due presupposti (alternativi) sub c) devono investire anche il terzo con il quale viene concluso l’atto dispositivo, cosicché è onere del creditore dimostrare il consilium fraudis, in caso di atto successivo al sorgere del credito, oppure, in caso di atto antecedente, un vero e proprio concorso nella frode e- cioè- che questi abbia compartecipato alla preordinazione dolosa dell’atto in danno del creditore.
Passando alla disamina dell’eventus damni, giova preliminarmente osservare che, per giurisprudenza ormai da tempo granitica, esso ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio (come ad esempio la trasformazione di un immobile in denaro, più agevolmente sottraibile alla garanzia patrimoniale) che comporti, sulla base di una valutazione ex ante (e cioè astrattamente riportandosi alla data dell’atto dispositivo), una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito (cfr. Cass. 1896/2012); ne consegue che, una volta che il creditore abbia dimostrato l’esistenza di modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, spetta al debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (cfr. da ultimo Cass. 16221/2019).
Questi i principi ribaditi dal Tribunale di Arezzo, Giudice Federico Pani, nella sentenza n. 884 del 29.10.2021.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
Non occorre l’esigibilità del credito
Sentenza | Tribunale di Castrovillari, Giudice Raffaele Zibellini | 09.09.2021 | n.920
Non occorre il consilium fraudis in quanto è sufficiente il solo eventus damni
Sentenza | Tribunale di Torino, Giudice Edoardo Di Capua | 25.06.2020 | n.1993
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