ISSN 2385-1376
Testo massima
Poiché la conoscenza dell’altrui stato di insolvenza, meglio nota come scientia decotionis, è un atteggiamento meramente psichico ed interiore della persona è praticamente impossibile fornire una prova diretta della sua esistenza. Pertanto detta prova deve essere offerta necessariamente in modo indiretto attraverso la valorizzazione di elementi oggettivamente percepibili dal terzo con cui il fallito sia venuto in contatto e tali da far esprimere, in base a presunzioni, un giudizio di verosimile conoscenza dello stato di decozione del soggetto poi fallito secondo una valutazione improntata ai canoni di normale diligenza ed avvedutezza che animano le transazioni commerciali del tipo di quella posta in discussione con l’azione revocatoria.
Così si è pronunciato il Tribunale di Taranto in composizione monocratica, in persona del dott. Antonio Pensato, con la sentenza n. 815 del 19.4.2013 decidendo su una azione revocatoria intrapresa dalla Curatela del Fallimento di M. S. che aveva convenuto in giudizio la sig.ra S.A. e i signori D.D. e D.P. assumendo che il M.S. nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento aveva alienato il suo intero patrimonio immobiliare, di cui era nudo proprietario per un quinto, a S.A. Sosteneva il Fallimento che al momento della vendita M.S. versava in stato di insolvenza e che ciò era noto all’acquirente, anche a causa della pubblicazione di numerosi protesti elevati a nome del fallito e che, inoltre, il prezzo pattuito era eccessivamente sproporzionato rispetto al valore effettivo dei beni alienati. La curatela aveva pertanto proposto altro giudizio chiedendo la revoca dell’atto di vendita ex art. 67 del R.D. n. 267/1942 e che dopo la proposizione di detto giudizio si era scoperto che la S.A. aveva alienato ai terzi D.D. e D.P. il medesimo compendio immobiliare.
A seguito di tanto D.D. e D.P. dovevano subire gli effetti dell’inefficacia della precedente vendita in favore della loro dante causa S.A. poiché a loro volta a conoscenza della revocabilità di tale atto al momento del successivo acquisto.
Nel giudizio interveniva volontariamente anche M.F. dichiarando di voler aderire alle domande proposte dalla curatela fallimentare ritenendo di avervi interesse per avere a sua volta proposto altro giudizio diretto ad ottenere la risoluzione o la declaratoria di nullità della donazione fatta in favore del figlio M.S. dei beni oggetto della controversia al fine di rientrarne nella titolarità.
In particolare il giudice di merito ha ritenuto che la prova della scientia decotionis deve essere offerta in modo indiretto attraverso la valorizzazione di elementi oggettivamente percepibili dal terzo con cui il fallito sia venuto in contatto e tali da far esprimere, in base a presunzioni, un giudizio di verosimile conoscenza dello stato di decozione del soggetto poi fallito secondo una valutazione improntata ai canoni di normale diligenza ed avvedutezza che animano le transazioni commerciali del tipo di quella posta in discussione con l’azione revocatoria.
Nel caso de quo il giudice ha ritenuto fondamentali al fine della conoscenza della scientia decotionis i seguenti elementi: elevazione di numerosi protesti nei giorni immediatamente precedenti la stipula della vendita in favore di S.A., la circostanza che M.S. e S.A. operavano in settori economici contigui e nella stessa piccola cittadina, l’accollo da parte della S.A. in luogo di M.S. degli oneri di assistenza morale e materiale nei confronti dei genitori del M.S. che quest’ultimo si era assunto con il precedente atto di donazione con cui il padre M.F. gli aveva trasferito la nuda proprietà dei beni poi ceduti alla S.A., la vendita a terzi da parte di S.A., prima della scadenza del termine dei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento di M.S..
Interessante è poi la decisione del giudice di dichiarare l’inefficacia della vendita tra M.S. e S.A. opponibile anche ai convenuti D.D. e D.P., sub acquirenti di S.A. ritenendo il curatore del Fallimento di M.S. legittimato ad agire in revocatoria ordinaria anche nei loro confronti ai sensi dell’art. 2901 c.c. il cui ultimo comma rende opponibile la inefficacia dell’atto di vendita compiuto dal fallito anche ai terzi sub acquirenti ed aventi causa del primo acquirente allorché gli stessi abbiano acquistato in mala fede intesa come consapevolezza che il precedente atto concluso dal loro dante causa con il fallito fosse revocabile (in particolare la conoscenza da parte dei sub acquirenti dell’atto di donazione e la loro condizione di investitori del settore immobiliare).
Il giudice ha anche ritenuto inammissibile per carenza di legittimazione ad agire l’intervento di M.F. che con la sua distinta azione giudiziale intenderebbe recuperare al suo patrimonio, in tal modo sottraendoli anche alle ragioni dei creditori di M.S., i diritti oggetto dell’azione revocatoria.
Il Tribunale di Taranto ha quindi accolto, in toto, le domande proposte dalla curatela dichiarando l’inefficacia dei due atti di compravendita.
Testo del provvedimento
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