ISSN 2385-1376
Testo massima
Al giudice di merito spetta, pertanto, valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo.
Testo del provvedimento
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 30 gennaio 2009, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la ALFA s.p.a. al pagamento, in favore di F.M., a titolo di risarcimento del danno, di un importo pari a metà dell’ultima retribuzione di fatto percepita dalla dipendente per il periodo dal 15.9.2002 e fino alla cessazione del rapporto.
2. La Corte territoriale puntualizzava che:
– F.M., dipendente della ALFA s.p.a., dal 1979 come programmista regista, inquadrata nel 1° livello classe A quadro del contratto collettivo di categoria, esponeva che, a decorrere dalla soppressione (in data 15.9.2002) dell’ultimo programma da lei ideato e curato era stata ridotta in condizione di immotivata inattività; che le mansioni alle quali era stata assegnata, in ottemperanza all’ordinanza cautelare emessa dal Tribunale, pur in astratto riconducibili alla declaratoria contrattuale di appartenenza, erano in ogni caso riduttive rispetto a quelle già svolte- chiedeva, pertanto, accertarsi il perdurante demansionamento con condanna della società a reintegrarla in mansioni identiche a quelle in precedenza svolte e al risarcimento del danno, da liquidarsi equitativamente con riferimento alla retribuzione annuale del 2001;
– la società, premessa la procedibilità della domanda limitatamente alla pretese oggetto del tentativo obbligatorio di conciliazione (preteso demansionamento a seguito della soppressione del programma A.), deduceva, contestando la fondatezza della domanda, di aver provveduto a riorganizzare la programmazione radiofonica di R.2 e R.3 (confluite sotto la medesima direzione, con ridimensionamento delle rubriche a tema fisso riformulazione dell’intera fascia mattutina, soppressione della rubrica curata dalla F.) e che la lavoratrice, invitata a proporre nuovi programmi, non aveva aderito all’invito, ma piuttosto formulato richieste esulanti dalla nuova linea editoriale e come tali non condivise;
– il primo giudice, respinte le questioni di procedibilità, riconosceva il diritto della dipendente a vedersi assegnata a mansioni equivalenti a quelle svolte m precedenza e al risarcimento del danno per la prolungata inattività;
– la sentenza era gravata dalla ALFA s.p.a.
3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva, per quanto qui rileva:
– pur provata all’esito dell’istruttoria svolta, la sostanziale resistenza passiva della dipendente a ricollocarsi in trasmissione con caratteristiche differenti o a doverosamente formulare nuovi progetti successivamente all’eliminazione dal palinsesto della trasmissione a lei affidata, la ALFA non aveva offerto la prova dell’assegnazione a mansioni che, sebbene diverse, potessero essere considerate equivalenti a quelle in precedenza assolte, lasciando la lavoratrice inattiva per un considerevole periodo di tempo, anche successivo al provvedimento giudiziale cautelare, con situazione di fatto protrattasi per il tempo del giudizio e fino al pensionamento della dipendente;
– confermato, pertanto, il demansionamento per tutto il periodo in contestazione e provato il danno alta professionalità (all’identità personale e professionale) tenuto conto dei criteri di esperienza comuni, quali qualità e quantità dell’esperienza lavorativa pregressa (trent’anni di lavoro in ALFA e lunga esperienza in programmi radiofonici culturali dalla stessa curati ed organizzati), il tipo di professionalità colpita anche sotto il profilo della conoscenza da parte del pubblico attraverso suoi programmi, la durata del demansionamento e l’esito finale della dequalificazione (collocata a riposo in corso di causa senza avere mai ripreso le mansioni precedentemente assegnatele o altre analoghe);
– quanto alla liquidazione del danno, in considerazione dell’atteggiamento intransigente della lavoratrice, che non aveva agevolato soluzioni di compromesso o reciproco soddisfacimento, il risarcimento veniva quantificato equitativamente in misura proporzionata alle reciproche responsabilità, nella misura del cinquanta per cento della retribuzione mensile corrisposta alla F. per tutto il periodo del demansionamento e, dunque, fino alla cessazione del rapporto.
4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la ALFA s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L’intimata ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, cui ha resistito la ricorrente principale con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie ex art.378 cpc
Motivi della decisione
5. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ex art.335 cpc, perché proposti avverso la medesima sentenza,
6. Con il PRIMO MOTIVO di ricorso, la ALFA s.p.a. denuncia l’omesso esame del contenuto mansionistico della figura professionale di programmista regista e l’omesso collegamento tra il comportamento ostruzionistico della F. e le mansioni di programmista regista assegnatele; insufficiente motivazione circa il fatto controverso, come risultante dall’istruttoria; erronea motivazione sull’interpretazione del contratto collettivo ALFA ex art.360, n.3 cpc e violazione dell’art.1362 cc Assume che la sentenza impugnata ha violato i canoni interpretativi del CCNL ALFA del 1990, ripreso dal CCNL del 2000, non avendo la Corte correttamente interpretato le pattuizioni collettive richiamate dalle parti per regolamentare il contenuto mansionistico dell’attività svolta dalla dipendente, e per non avere sufficientemente motivato in ordine all’addebitabilità del rifiuto a svolgere le mansioni di competenza.
7. Osserva il Collegio che il motivo, pur superando l’evidente inidoneità del quesito di diritto ex art.366-bis cpc, applicabile ratione temporis, non coglie nel segno posto che la dedotta erronea lettura delle astratte mansioni previste dal contratto aziendale esula completamente dal thema decidendum, imperniato, invece, sulla valutazione dell’equivalenza tra le mansioni svolte in concreto dalla dipendente e quelle sostitutivamente offerte, e non introduce, pertanto, critiche alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
8. Peraltro il profilo della censura inerente al mezzo d’impugnazione previsto dall’art.360, n.3 cpc evoca, non brillando in chiarezza, il contratto collettivo nazionale nell’incipit della censura e, nella parte conclusiva dell’illustrazione, il contratto aziendale, come tale non censurabile, invece, con il mezzo prescelto.
9. Anche le doglianze svolte sul piano dell’ “omesso esame” non sono devolute alla Corte nelle forme di rito, e si risolvono piuttosto nella sovrapposizione di mezzi d’impugnazione distinti, quali l’insufficiente motivazione del fatto controverso come risultante dall’istruttoria e l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie con la critica al relativo apprezzamento da parte del Giudice del merito.
10. Con il SECONDO MOTIVO, denunciando violazione degli artt.1218, 1227, 2729 cc erronea determinazione della misura del risarcimento del danno e insufficiente motivazione, la parte ricorrente si duole che la Corte di merito abbia riconosciuto il danno da demansionamento senza richiamare elementi istruttori gravi, precisi e concordanti, presumendolo e determinandolo, senza alcun riferimento tecnico, nella misura del 50 per cento; abbia trascurato di considerare la condotta della lavoratrice, rifiutatasi di accettare le mansioni proposte non perché dequalificanti ma per prostituire una situazione conflittuale con l’azienda; e, in definitiva, non abbia fatto buon uso delle regole di comune esperienza poste a generica ed immotivata base della decisione.
11. Anche il secondo motivo non è meritevole di accoglimento.
12. Occorre premettere che la censura è imperniata su questione di fatto il preteso rifiuto della lavoratrice a svolgere mansioni assegnate che si pretenderebbe non adeguatamente valorizzata dalla Corte di mento, non dibattuta, invece, nelle precedenti fasi di merito.
13. Trattasi, pertanto, di questione improponibile nel giudizio di cassazione, giacché implicante una modificazione dei termini in fatto della controversia e non una novità concernente i soli profili di diritto (ex multis, Cass. 9812/2002).
14. Peraltro, il mezzo d’impugnazione articolato per violazione di legge e in diversi profili è, all’evidenza, inammissibile perché la censura dedotta risulta, per come svolta, priva della specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, non risultando in tal modo consentito alla Corte di legittimità di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.
15. Quanto al profilo della censura che investe la valutazione della prova per presunzioni, va al riguardo rammentato che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione.
16. Al giudice di merito spetta, pertanto, valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziano possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (ex multis, Cass. 21961/2010).
17. Tanto premesso, la motivazione della sentenza impugnata è esente da censure e da vizi logici per avere adeguatamente rivestito di contenuto pregnante le regole di comune esperienza evocate a suffragio del danno da demansionamento, sulla scorta delle emergenze istruttorie, e puntualmente descritte evocando la lunga e trentennale attività lavorativa con lunga esperienza in programmi radiofonici culturali dalla stessa lavoratrice curati ed organizzati, la professionalità colpita anche sotto il peculiare profilo della conoscenza, da parte del pubblico radiotelevisivo, attraverso i suoi programmi, la durata del demansionamento e l’esito finale della dequalificazione sfociato nel collocamento a riposo della lavoratrice, in corso di causa, senza aver mai ripreso le mansioni precedentemente assegnate o altre analoghe.
18. Con il TERZO MOTIVO, deducendo violazione degli artt.112 e 345 cpc, erronea attribuzione temporale del danno ed erronea quantificazione sino a data successiva all’ introduzione del giudizio di primo grado, la parte ricorrente si duole che la Corte di merito abbia riconosciuto il danno da demansionamento, e statuito di conseguenza sull’obbligazione risarcitoria fino ad epoca successiva al deposito del ricorso e, in particolare, fino alla cessazione del rapporto di lavoro, avvenuta nel marzo 2007. Assume, pertanto, che i Giudici del gravame avrebbero dovuto limitare il risarcimento del danno alla data del deposito del ricorso (20 dicembre 2003) ovvero all’offerta datoriale di assegnazione a nuove mansioni (4 febbraio 2004).
19. Anche l’ultimo motivo non è meritevole di accoglimento.
20. Osserva in proposito il Collegio che la ratio della disposizione di cui all’art.112 cpc è quella di impedire che possano trovare accoglimento domande sulle quali controparte non sia stata in grado di difendersi, perché proposte successivamente all’atto introduttivo del giudizio con il quale viene a delimitarsi il thema decidendum.
21. Siffatta esigenza non ricorre, invero, nel caso in esame in cui la domanda risarcitoria proposta con il ricorso ex art.414 cpc, comprendeva i danni patiti e patiendi per tutta la durata del demansionamento.
22. La pretesa risarcitoria in relazione ad un più ampio periodo temporale maturato dopo il deposito del ricorso e nel corso dello svolgimento del giudizio, non comporta, nella specie, alcuna immutazione dei fatti posti a fondamento della domanda, né introduce un nuovo tema di indagine sul quale la controparte non abbia potuto svolgere le proprie difese.
23. Non si ravvisa, pertanto, alcuna violazione del principio del contraddittorio o del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato.
24. Peraltro, delle conseguenze risarcitorie dipendenti dall’unico fatto dedotto con il ricorso introduttivo, e maturate nel corso dell’espletamento del giudizio, questa Corte ha già avuto occasione, a più riprese, di occuparsi, specie con riferimento all’ampliamento quantitativo della somma originariamente richiesta, riconoscendo che l’indagine del giudice possa spingersi alla disamina delle conseguenze risarete dipendenti dall’unico fatto dedotto con d ricorso introduttivo e maturate nel corso del giudizio, non trattandosi di eventi provocati da circostanze diverse e successive alla proposizione della domanda e sulle quali sarebbe necessaria un’ulteriore indagine in punto di fatto (ex multis, Cass. 17101/2009).
25. Ciò vale ancor più nella vicenda in esame ove, si ribadisce, le conseguenze risarcitone dipendenti dall’unico fatto dedotto con il ricorso introduttivo sono state domandate con l’atto introduttivo del giudizio ed hanno costituito, fin dalla proposizione dell’azione, il thema decidendum.
26. Si appalesa, pertanto, del tutto erroneo l’assunto della società ricorrente volto a riconnettere il danno da preteso demansionamento protrattosi in epoca successiva al deposito del ricorso tra i nuovi fatti implicanti un’autonoma indagine del giudice del merito.
27. Correttamente, pertanto, la Corte di merito, con motivazione immune da censure e da vizi logici, ha statuito sulle conseguenze risarcitone del demansionamento e del relativo danno protrattosi nel corso del giudizio di merito.
28. Per tutte le esposte considerazione il ricorso va, in definitiva, rigettato.
29. Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento di quello incidentale in quanto condizionato essendo stato proposto dalla parte interamente vittoriosa in appello.
30. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 50,00 per esborsi, oltre euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 525/2013