In caso di proposizione dell’impugnazione per revocazione e poi di quella di legittimità, opera il principio del c.d. “notum facere”. In base ad esso la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale, sia per la parte notificante che per la parte destinataria, alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell’art. 398, comma 4), c.p.c..
L’onere della prova dell’osservanza del termine d’impugnazione e, quindi, della sua tempestività e ammissibilità, anche in ragione della ricorrenza di cause ostative al decorso del termine stesso, incombe sulla parte impugnante, sicché il mancato assolvimento di tale onere comporta che il gravame debba essere dichiarato d’ufficio inammissibile.
Questo il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione Sez. III, Pres. De Stefano – Rel. Giaime Guizzi, con l’ordinanza n. 20054 del 13 luglio 2023.
Nella specie la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione di una sentenza d’appello, già impugnata per revocazione dallo stesso ricorrente, il quale aveva omesso di allegare e provare la data di notifica della citazione per revocazione, equivalente alla notificazione della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione.
Nel passaggio motivazionale, sul punto, si legge che “la ragione che in questi casi giustifica il decorso del termine c.d. breve a carico dell’impugnante è che, presupponendo l’esercizio della prima impugnazione la conoscenza della sentenza impugnata (…) ricorre esattamente la situazione di “notum facere” realizzata dalla notificazione della sentenza, cui allude l’art. 326 c.p.c., comma 1. Invero, se la conoscenza della sentenza per effetto della notificazione al difensore (art. 285 c.p.c., in relazione all’art. 170 c.p.c., comma 1) si realizza tramite la consegna da parte dell’ufficiale giudiziario fidefacente al riguardo della copia integrale della stessa, appare evidente che, quando il difensore della parte esercita per conto di questa il diritto di impugnazione, il “notum facere” relativo alla sentenza, idoneo al decorso del termine per impugnare, si realizza a maggior ragione nel momento in cui alla redazione dell’atto di impugnazione (atto interno alla sfera del mandato alle liti) segue l’esternazione nel processo con effetti per tutte le sue parti tramite la notificazione dell’impugnazione (e nel caso ve ne siano più con effetto dall’ultima notificazione)” (così, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. n. 21718 del 2012, cit.).
Orbene, gli Ermellini hanno rilevato che il ricorrente fosse tenuto a fugare la situazione di incertezza circa l’individuazione del “dies a quo” del termine ex art. 325 c.p.c., quindi circa l’effettivo rispetto dello stesso, con rituale allegazione e prova dei relativi presupposti, altrimenti sopportandone (in difetto di altre indicazioni certe sul punto, ricavabili dagli atti di causa) le relative conseguenze.
Non avendo, dunque, assolto al predetto onere probatorio, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per difetto di prova sulla tempestività della sua proposizione.
Le spese di lite hanno seguito la soccombenza.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:
CIÒ IN RAGIONE DEL NUMERUS CLAUSUS DELLE IPOTESI DI NULLITÀ DELLA NOTIFICAZIONE
Sentenza | Corte di Cassazione, Pres. Frasca – Rel. Iannello | 29.03.2022 | n.10138
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