Il ricorso, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa all’esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, deve offrire elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa, non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi atti, ivi compresa la sentenza impugnata.
Non risponde ai requisiti di cui all’art. 366, 1° co. n. 3 c.p.c., la sommaria esposizione dei fatti di causa risultando affidata ad una collazione di atti difensivi e provvedimenti giudiziali.
Questo è quanto espresso dalla Corte di Cassazione, terza sezione, Pres. Scarano, Rel. Moscarini con l’ordinanza 5795 del 9 marzo 2018, pubblicata il 28 febbraio 2019.
Nel caso di specie, un locatore convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia, un Istituto di credito, chiedendo, in via principale, la declaratoria della illegittimità della risoluzione del contratto di locazione di un immobile ad uso non abitativo con condanna al pagamento dei canoni non corrisposti e, in via subordinata, l’accertamento della occupazione sine titulo dell’immobile da parte della Banca con condanna al risarcimento del danno pari al valore locativo.
Il Tribunale non riconobbe l’esistenza dei presupposti atti ad accertare la suddetta illegittimità ma accolse la richiesta di risarcimento del danno.
La banca propose appello ed il giudice, in secondo grado, riformò la decisione, dichiarando risolto il contratto di locazione, per inadempimento del locatore, ai sensi dell’articolo 1453 cc (1) con condanna a restituire alla Banca la cifra riconosciutagli con la sentenza di primo grado.
Avverso tale decisione il locatore ha proposto ricorso per cassazione che è stato considerato inammissibile in quanto è stato rilevato che esso non rispondeva ai requisiti di cui all’articolo 366, comma 1, numero 3, c.p.c. (2).
Gli ermellini hanno osservato che il ricorso deve, di per sé, offrire elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa, non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi atti, ivi compresa la sentenza impugnata (3).
Per assolvere quanto prescritto dalla suddetta disposizione, non occorre l’esposizione dei fatti di causa con la pedissequa riproduzione degli atti processuali o di parti di essi. Non occorre, in sostanza, né il troppo e né il superfluo, come si legge nell’ordinanza in oggetto. E questo per due ragioni:
- in questo modo non verrebbe assolto il requisito della sintetica esposizione dei fatti;
- non è possibile gravare i Giudici della Corte di Cassazione di un compito che a loro non spetta, ossia la ricerca, negli atti del giudizio di merito, di ciò che possa servire per pervenire alla decisione da adottare (4).
E’ il ricorrente a dover rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quali richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema, il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito (5).
Si aggiunge, poi, che la soluzione di fare rinvio, per la sommaria esposizione dei fatti, alla sentenza impugnata non esime in ogni caso il ricorrente dall’osservanza del requisito previsto dall’articolo 366, comma 1, numero 6, c.p.c.: il ricorrente non deve limitarsi a richiamare atti e/o documenti del giudizio di merito, ma deve riprodurli nel ricorso oppure indicare puntualmente in quale sede processuale risultino prodotti, con esatta precisazione della loro collocazione (fascicolo d’ufficio oppure di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità). La mancanza di una sola di tali indicazioni rende, pertanto, il ricorso inammissibile (6).
Pertanto, la Corte di Cassazione, dichiarato inammissibile il ricorso, ha condanna il locatore al pagamento delle spese processali.
(1) Art. 1453 c.c. – Risolubilità del contratto per inadempimento: Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno. La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione. Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.
(2) Art. 366, comma 1, c.p.c. – Contenuto del ricorso: Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti; 2) l’indicazione della sentenza o decisione impugnata; 3) l’esposizione sommaria dei fatti della causa; 4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis; 5) l’indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto; 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.
(3) In merito, leggasi Cass. n. 16103/2016, Cass. n. 15478/2014, Cass. S.U. n. 11653/2006 e Cass. n. 22385/2006.
(4) In merito, leggasi Cass. n. 16254/2012, Cass., n. 2223/2012, Cass. n. 18646/2011, Cass. n. 21779/2010, Cass. n. 15180/2010, Cass. n. 20093/2009 e Cass. S.U. n. 16628/2009.
(5) In merito, leggasi Cass. S.U. n. 5698/2012 e Cass. n. 15180/2010.
(6) In merito, leggasi Cass. S.U. n.7701/2016.
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