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In tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione dei principi regolatori del giusto processo e cioè delle regole processuali, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Frasca – Rel. Cirillo, con l’ordinanza n. 32574 del 14 dicembre 2024.
Accadeva che la locatrice di un immobile intimava lo sfratto per morosità, con contestuale convalida, alla conduttrice, per il mancato pagamento di quattro mensilità dovute in virtù di un contratto di locazione sottoscritto nel 2012.
Si costituiva in giudizio la conduttrice, che si opponeva alla convalida chiedendo il rigetto della domanda.
L’intimata osservava, tra l’altro, che il rapporto contrattuale era sorto in realtà nel 2011, con una locazione verbale non registrata, per cui doveva essere applicata la previsione dell’art. 13 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, nel testo allora vigente.
Il Tribunale ordinava il rilascio dell’immobile ai sensi dell’art. 665 cod. proc. civ. e disponeva il mutamento del rito, concedendo i termini di cui all’art. 426 cod. proc. civ. per l’integrazione degli atti.
Con sentenza definitiva, il Giudice accoglieva la domanda della locatrice, dichiarando risolto, per inadempimento della conduttrice, il contratto del 9 gennaio 2012 e condannandola al pagamento di tutti i canoni maturati e da maturarsi fino alla materiale riconsegna dell’immobile, nonché degli oneri condominiali insoluti, con il carico delle spese di giudizio.
La decisione veniva impugnata dalla conduttrice innanzi alla Corte d’Appello di Roma, che rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.
La Corte territoriale affermava l’infondatezza delle domande della conduttrice basate sulla presunta invalidità del contratto del 2012, in quanto la nullità, per difetto di forma scritta, del primo contratto, stipulato nel 2011, non poteva travolgere la validità di quello successivo, “per l’assorbente rilievo che esso è stato redatto per iscritto ed è stato registrato“. Né poteva ritenersi che il secondo contratto fosse la continuazione del precedente o che lo avesse convalidato, “non operando l’istituto della convalida nelle ipotesi di nullità per mancanza di un elemento essenziale” (nella specie, la forma). Il secondo contratto, in altre parole, costituiva la rinnovazione del primo, con contestuale creazione di un nuovo negozio destinato a sostituirsi al primo.
La conduttrice proponeva ricorso in Cassazione contro la sentenza d’appello sulla base di due motivi, al quale resisteva la locatrice con controricorso.
Nel secondo motivo la ricorrente censurava la sentenza impugnata per non aver ammesso i mezzi istruttori articolati con la memoria di cui all’art. 426 cod. proc. civ. per la mancata reiterazione della relativa richiesta in grado di appello.
La conduttrice, infatti, aveva chiesto in primo grado l’ammissione dell’interrogatorio formale della locatrice sui capitoli della memoria citata finalizzati a dimostrare “l’abuso perpetrato dalla locatrice, sia con riferimento alla mancata registrazione, sia con riferimento alla stipula del secondo contratto” (capitoli trascritti nel ricorso).
Secondo l’appellante, poiché la prova richiesta non era stata ammessa in primo grado, la formula con la quale tale prova era stata sollecitata in appello doveva essere ritenuta sufficiente, “poiché alla fattispecie, pacificamente, si applica il rito del lavoro ed in tale rito l’impugnazione totale della sentenza di prime cure fa ritenere automaticamente correttamente richiesti i mezzi istruttori, senza bisogno di ulteriori attività“.
La Suprema Corte riteneva il motivo fondato, affermando che, come giustamente dedotto dalla ricorrente, nel rito del lavoro l’appellante che impugna in toto la sentenza di primo grado, insistendo per l’accoglimento delle domande, non ha l’onere di reiterare le istanze istruttorie pertinenti a dette domande, ritualmente proposte in primo grado, in quanto detta riproposizione è insita nella istanza di accoglimento delle domande, mentre la parte appellata, vittoriosa in primo grado, non riproponendo alcuna richiesta di riesame della sentenza, ad essa favorevole, deve manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l’istanza di ammissione della prova.
Gli Ermellini si richiamavano, però, anche a una giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione dei principi regolatori del giusto processo e cioè delle regole processuali, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia.
Nel caso di specie, la mancata ammissione dei mezzi di prova risultava irrilevante, trattandosi di capitoli di prova (trascritti nel ricorso) comunque privi di una valenza decisiva ai fini del giudizio, siccome inidonei a giustificare l’unicità del contratto.
Per tal motivo, la Corte ha rigettato il ricorso, con condanna della conduttrice al pagamento delle spese del giudizio.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
NECESSARIA L’ESPOSIZIONE LINEARE DELLE VICENDE DI FATTO E DEI MOTIVI DI GRAVAME
Ordinanza | Corte di Cassazione, Pres. Lombardo – Rel. Varrone | 16.03.2023 | n.7600
RICORSO PER CASSAZIONE: INAMMISSIBILE SE SI PROPONE UN “NON MOTIVO”
IL RICORSO È IDONEO SOLO SE CONTIENE LE RAGIONI PER LE QUALI SI IMPUGNA LA DECISIONE DI MERITO
Ordinanza | Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. Cristiano – Rel. Di Marzio | 24.02.2020 | n.4787
RICORSO PER CASSAZIONE: “PUNITO” CON L’INAMMISSIBILITÀ L’USO DI PAROLE OSCURE
LA CORTE BOCCIA UN AVVOCATO CHE HA PRESENTATO UN RICORSO INCOMPRENSIBILE, CAOTICO E INCOERENTE
Ordinanza | Corte di Cassazione, VI sez. civ., Pres. Frasca – Rel. Rossetti | 28.05.2020 | n.9996
RICORSO PER CASSAZIONE: SE LUNGO 100 PAGINE È INAMMISSIBILE
SPETTA AI GIUDICI DI MERITO VALUTARE PEDISSEQUAMENTE TUTTI I DOCUMENTI DIFENSIVI
Sentenza | Cassazione civile Sezione lavoro | 30.09.2014 | n.20589
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