ISSN 2385-1376
Testo massima
LA MASSIMA
In sede di ricorso per cassazione, la mancata valutazione, da parte del giudice del merito, di una prova documentale offerta va dedotta quale errore processuale, da censurare ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. e non, a pena di inammissibilità, quale vizio di motivazione di cui al n. 5 della medesima disposizione.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso n. 13501/08 proposto da:
P.M. e B.M.;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate,;
– intimata –
avverso la sentenza n. 128/33/06 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, depositata il 19 marzo 2007;
Svolgimento del processo
Si legge nel ricorso che i contribuenti P.M. e B. M.G., eredi di B.D., questo deceduto il (OMISSIS), avevano presentato, il 27 ottobre 1999, dichiarazione di successione n. 11037/1999, con indicati valori solo “provvisori”, in attesa dell’esito dell’inventario; ma che, l’Ufficio, appena quindici giorni dopo, cioè l’11 novembre 1999, senza quindi tener conto del carattere “provvisorio” dei suddetti valori, aveva notificato avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni n. (OMISSIS); avviso, peraltro, impugnato davanti alla Commissione Tributaria di Milano, che, con sentenza n. 132/33/00, del 6 aprile 2000, aveva accolto il ricorso dei contribuenti; ma, che, tuttavia, la sentenza della CTP era stata “riformata” dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con decisione n. 79/29/02, depositata il 28 giugno 2002; dopo di ciò, i contribuenti esponevano, altresì, di aver presentato una seconda dichiarazione n. 1374/2000, nominata, in ricorso, come “sostitutiva della precedente”.
Con l’impugnata sentenza n. 128/33/06, depositata il 19 marzo 2007, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, respinto l’appello dei contribuenti eredi di B.D., confermava la decisione n. 63/11/04 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che aveva respinto il ricorso ancora avverso l’avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni n. (OMISSIS) SUCCESSIONE 1999.
Secondo la CTR, la posteriore dichiarazione di successione doveva esser ritenuta semplicemente integrativa della prima, non sostitutiva, questo perchè nessuna modificazione era sopravvenuta; e l’inventario, redatto oltre il termine di cui all’art. 485 c.c., non poteva esser preso in considerazione, “anche perchè i contribuenti non hanno minimamente provato l’enorme differenza di valore esistente tra la prima e la seconda dichiarazione”; correttamente, pertanto, sempre a giudizio della CTR, l’Ufficio aveva mantenuto la liquidazione dell’imposta sui valori della prima dichiarazione, senza tener conto di quelli, molto più bassi e indimostrati, stabiliti in sede d’inventario;
per la CTR, infine, esattamente l’Ufficio, in mancanza di documentazione, aveva escluso le passività indicate dai contribuenti.
Contro la sentenza della CTR, i contribuenti proponevano ricorso per cassazione affidato a due mezzi.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva al solo dichiarato fine di partecipare alla discussione.
Motivi della decisione
1. Col complesso primo motivo di ricorso, i contribuenti censuravano la sentenza sia per violazione del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 31, comma 3; art. 28, comma 6, oltrechè degli artt. 485, 487 e 2697 c.c.; sia per omessa motivazione “su un punto fondamentale della controversia”; deducendo, dapprima, che la CTR, giudicando irrilevante l’inventario “prodotto in grado d’appello” perchè redatto oltre il termine di cui all’art. 485 c.c., norma che, nella specie, sarebbe stata peraltro non applicabile per mancanza di prova del possesso dei beni, aveva sbagliato a non considerare la seconda dichiarazione sostitutiva della prima, ritenendo inapplicabile il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 28, comma 6, disposizione per la quale, quando sopravviene un evento diverso che da luogo a un mutamento della devoluzione ereditaria, gli obbligati sono tenuti a presentare una dichiarazione integrativa o sostitutiva; secondo i contribuenti, del resto, oltre all’applicabilità del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 28, il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 31, comma 3, per il quale ultimo, entro il termine prescritto per la dichiarazione, gli obbligati alla stessa possono sempre modificarla, avrebbe comunque consentito di far la dichiarazione sostitutiva, giacchè per i ridetti contribuenti, che avevano accettato con beneficio d’inventario, il termine per far la dichiarazione di successione era da ritenersi ex lege allungato di sei mesi dalla morte del de cuius, nella specie avvenuta il 9 settembre 1999, laddove, pertanto, la dichiarazione sostitutiva, essendo stata presentata il 15 febbraio 2000, era stata tempestiva; i contribuenti, altresì, evidenziavano come la costante giurisprudenza di questa Corte fosse nel senso che, al di là dei termini stabiliti dalla legge per la presentazione della dichiarazione di successione o sostitutiva o integrativa, sulla scorta del principio per cui nessuno può esser sottoposto ad un’imposta non dovuta, ai contribuenti doveva andare sempre riconosciuto il diritto di emendare errori di fatto o diritto comportanti l’assoggettamento ad un’ingiusta imposizione, e, ciò, anche nel caso in cui, come era nella specie in effetti avvenuto, l’impugnato avviso fosse stato notificato prima della presentazione della dichiarazione sostitutiva; al termine dell’illustrazione del motivo, venivano formulati i seguenti plurimi motivi: “1) se il chiamato all’eredità possa modificare la precedente dichiarazione di successione, dichiarando una consistenza inferiore all’asse ereditario, con una seconda dichiarazione presentata entro il termine di cui alla L. n. 346 del 1990, art. 31, ed anche al di fuori dei presupposti di cui all’art. 28, comma 6 della stessa legge o se tale norma trovi applicazione anche nel caso di denuncia sostitutiva o integrativa presentata successivamente al decorso di detto termine”; “2) se è sostenuta da idonea motivazione la sentenza che ritenga l’inventario non redatto nel termine di cui all’art. 485 c.c., senza indicare gli elementi di fatto dai quali poter evincere che il dichiarante chiamato all’eredità fosse nel possesso dei beni pur in presenza di una successiva dichiarazione dell’eredità beneficiata seguita da successivo tempestivo inventario”; “3) se sia qualificabile come dichiarazione sostitutiva di cui alla L. n. 346 del 1990, art. 28, comma 6, con conseguente facoltà di diminuire l’ammontare dell’asse ereditario, quella presentata dall’erede a seguito dell’inventario redatto ai sensi dell’art. 487 c.c., dal quale sono emerse diverse consistenze dell’asse ereditario, rispetto alla precedente dichiarazione e prima della redazione dell’inventario”.
Il motivo è inammissibile.
E’ vero che la giurisprudenza di questa Corte si è consolidata nel senso che l’emissione di un avviso di liquidazione divenuto definitivo, come avvenuto in questo caso, almeno secondo la narrazione contenuta in ricorso, non preclude al contribuente, in sede contenziosa, la dimostrazione di errori di fatto o diritto o di sopravvenuti mutamenti della devoluzione che comportino sottoposizione ad una minore imposta di successione (Cass. sez. trib.n. 6609 del 2011; Cass. sez. trib. n. 4755 del 2008; Cass. sez. trib.n. 20852 del 2007); tuttavia va osservato che la CTR, in motivazione, con ulteriore ratio decidendi, non oggetto di specifica contestazione, ha avuto cura di precisare che, anche a voler considerare l’inventario, “i contribuenti non hanno minimamente provato l’enorme differenza di valore esistente tra la prima e la seconda dichiarazione”; cosicchè, in assenza d’impugnazione, è passata in giudicato la declaratoria di mancanza di prova di esistenza di mutamenti di devoluzione o errori che comportino una minore imposizione, con la conseguente perdita, come noto, dell’interesse processuale ex art. 100 c.p.c., a coltivare il mezzo all’esame e la derivata sua inammissibilità (Cass. sez. un. n. 14297 del 2007; Cass. sez. 3 n. 21490 del 2005).
2. Col complesso secondo motivo di ricorso, i contribuenti censuravano la sentenza, sia per violazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 33, comma 2, oltrechè dell’art. 116 c.p.c. e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, comma 2; sia per “difetto” di motivazione su “un punto fondamentale della controversia”; deducendo, a riguardo, dapprima, che i contribuenti avevano impugnato l’avviso “anche per la mancata detrazione delle passività esposte”; e, che, pur se solo in appello, era stato prodotto il contratto di mutuo che “attestava l’esistenza del debito”; documento che, tuttavia, la CTR non aveva preso in considerazione, fors’anche ritenendolo implicitamente inammissibile; erano, quindi, formulati i plurimi quesiti: “4) se ricorre la violazione dell’art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, ed il vizio di omessa motivazione nel caso in cui la CTR non abbia valutato il documento prodotto dal contribuente solo in grado d’appello”; “5) se sussiste la violazione della L. n. 346 del 1990, art. 33, nel caso in cui, in tema d’imposta di successione, venga esclusa la detrazione in presenza del contratto di mutuo avente data certa precedente l’apertura della successione e se la relativa passività sia stata inserita nell’inventario”.
Il motivo è inammissibile, intanto, per difetto di autosufficienza, questo perchè non viene riportato il tenore del contratto di mutuo, con ciò impedendo alla Corte, in radice, la verificazione del fatto, e, quindi, ogni tipo di intervento nomofilattico; ed è, il motivo, altresì inammissibile perchè dai contribuenti non viene assolutamente precisata la regula iuris che la Corte dovrebbe essere chiamata a pronunciare (Cass. sez. 3 n. 17792 del 2011; Cass. sez. 3 n. 8555 del 2010); in effetti, da tale ultimo punto di vista, i detti contribuenti hanno lamentato la violazione dell’art. 116 c.p.c., senza però precisare se la norma che si assume violata sia quella contenuta all’art. 116 c.p.c., comma 1, che dispone in tema di valutazione della prova, ovvero sia quella contenuta all’art. 116 c.p.c., comma 2, che, invece, dispone circa la disciplina dei cosiddetti argomenti di prova; infine, deve esser rilevato come i ridetti contribuenti abbiano censurato sotto il profilo del vizio motivazione à sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, comma 5, quindi inammissibilmente, quello che sarebbe stato, in realtà, un vero e proprio errore processuale, questo consistente nel non aver valutato la prova documentale offerta, errore processuale che perciò avrebbe dovuto essere, semmai, denunciato à sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. sez. 2 n. 1063 del 2005; Cass. sez. 2 n. 1317 del 2004).
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2013
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Numero Protocolo Interno : 681/2013