ISSN 2385-1376
Testo massima
“La presentazione dell’istanza di ricusazione non sospende mai, di per sé sola, il procedimento nel quale è avanzata. Ne consegue che, ove la decisione sulla medesima dia intervenuta in un momento anteriore alla scadenza dei termini già fissati dal giudice ricusato ai sensi dell’art. 190 cpc, questi ben può decidere la causa senza alcun bisogno di una formale riassunzione“..
IL COMMENTO
La tematica che la Cassazione affronta, con la recente pronuncia del 13 dicembre 2012, concerne l’istanza di ricusazione di cui all’art.52 cpc (a seguito di riassunzione del procedimento) dopo la cessazione della sospensione, determinata dalla pronuncia di rigetto o dalla dichiarazione di inammissibilità della stessa.
Orbene, la sentenza in questione riconferma alcuni assunti in materia, già consolidati nel tempo ed espressi dal Supremo Consesso; altresì, rispetto alle pregresse pronunce, pone l’attenzione in maniera più accentuata sui principi base e sulle linee operative procedurali da seguire, onde evitare un uso scorretto, distorto e strumentale dell’istituto della ricusazione.
L’orientamento così espresso, in linea con le tendenze evolutive del moderno processo civile, appare volto in primis ad evitare la frequente e sconsiderata prassi, ahimè ancora “in voga” o per meglio dire la pessima strategia difensiva di utilizzare l’istituto della ricusazione quale strumento volto a conseguire indebite sospensioni.
La Cassazione, pertanto, in tal modo, cerca ancora una volta di creare un contemperamento tra le due sottese e contrapposte esigenze ovvero:
1) la tutela delle parti nell’assicurare l’imparzialità del giudizio nella specifica controversia;
2) la tutela dal fenomeno dell’ “abuso del diritto” derivante dalla distorsione e strumentalizzazione dell’istituto della ricusazione.
La fattispecie in oggetto concerneva l’opposizione all’espropriazione ex artt. 602 ss del cpc (in seguito a giudizio vittorioso dell’attore ex art.2932 cc).
La creditrice procedente e la debitrice effettiva, indi, chiedevano in primo grado il rigetto dell’opposizione, in secondo il rigetto dell’appello.
L’opponente proponeva, pertanto, ricorso in Cassazione; altresì la creditrice procedente e la debitrice effettiva resistevano con controricorso.
L’opponente, in primo grado aveva eccepito l’illegittimità derivante dalla presunta, mancata sospensione del processo a seguito dell’istanza di ricusazione; egli nel ricorso in Cassazione evidenziava, altresì, i suoi motivi di doglianza.
Invero, una delle controricorrenti eccepiva l’inammissibilità del ricorso “in quanto tendente a conseguire un riesame del materiale istruttorio e comunque l’insussistenza dei dedotti vizi motivazionali, precisando che l’eventuale sospensione derivante dalla ricusazione avrebbe dovuto riferirsi al solo processo esecutivo e che comunque quest’ultima era successiva al momento in cui l’opposizione era stata trattenuta in decisione ed era stata dichiarata inammissibile prima della scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c.”.
Su quest’ultimo motivo, il Supremo Consesso si sofferma ampiamente ed in modo chiaro.
Innanzitutto la Cassazione rileva come, nel caso de qua, la causa di opposizione in oggetto fosse stata trattenuta a sentenza con la concessione dei termini di cui all’art. 190 cpc ( ridotti a trenta e venti giorni); successivamente l’opponente aveva formalizzato l’istanza di ricusazione; la stessa era stata poi dichiarata inammissibile.
Alla scadenza dei termini concessi, quindi, era stata pronunciata la sentenza sull’opposizione.
Ebbene, sull’effetto sospensivo dell’istanza di ricusazione, il principio che la Cassazione ribadisce é ormai ben consolidato cioè che : la sola proposizione dell’istanza di ricusazione non può determinare ipso iure la sospensione del procedimento e la sua riassunzione al giudice competente, poiché l’accertamento della sua ammissibilità spetta pur sempre al giudice avanti al quale l’istanza stessa è proposta. Tutte le pregresse pronunce, anche le più datate, del Supremo Consesso si esprimono in modo conforme(Cass. 1/04/1995 n. 3825; Cass. 29/05/1998 n. 5307; Cass. 02/07/2003 n. 10406; Cass. 30/11/2005 n. 26089; Cass. 10/03/2006 n. 5236; Cass. Ord. 06/12/2011 n. 26267).
Circa l’eventuale riassunzione, la Cassazione, prendendo spunto da un orientamento già espresso nel 2006 afferma che in ogni caso, laddove (come nel caso di specie) il rigetto dell’istanza di ricusazione sia avvenuto con ordinanza recante data anteriore alla fissazione della eventuale udienza, successiva di trattazione, non è necessario alcun nuovo impulso o riassunzione, alcuna formalità ne comunicazione alle parti(Cass. 10/03/2006 n. 5236).
A ben vedere, il Supremo Consesso aveva già delineato i contorni dell’istituto allorquando sancì che: “l’istanza di ricusazione ha natura decisoria ma manca del carattere della definitività e l’ordinanza, reiettiva dell’istanza di ricusazione, segna automaticamente anche il dies ad quem dell’effetto sospensivo, ricollegato alla proposizione di cui all’art. 52 del cpc effetto che mai può essere ripristinato ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento che ha deciso sulla ricusazione”. (Cass.25/05/2005 n. 11010).
Con questa pronuncia la Cassazione aveva già detto
abbastanza!
Difatti, nella stessa, si ritenne impugnabile con istanza di regolamento di competenza anche il provvedimento di sospensione del processo, adottato ex art. 52 cpc a seguito di ricusazione del giudice.
Il Supremo Consesso pose l’accento su una interpretazione “costituzionalmente orientata” mettendo così in rilievo il pari interesse della parte ad ottenere il controllo di effettiva rispondenza allo schema legale di riferimento, onde evitare che si avesse un “ingiustificato e “non altrimenti rimediabile” arresto sia pur temporaneo dell’iter processuale.
Già negli anni ottanta la Cassazione aveva definito la sospensione del processo (con onere di riassunzione) una caratteristica eccezionale e propria solo della ricusazione rappresentando, comunque, un “diniego seppur temporaneo di giustizia”.
Sotto questo aspetto, pertanto, va letta la recentissima pronuncia posta all’attenzione, riallacciandosi cioè all’esposto orientamento giurisprudenziale oggi evoluto.
Una notazione appare, però, doverosa e una domanda è abbastanza legittima:
Alla luce di una lettura ed interpretazione “costituzionalmente orientata”, nel contemperamento di interessi richiamato dalla Cassazione, la tutela della parte non dovrebbe essere assicurata anche mediante la comunicazione (oltre che dell’esito di rigetto dell’istanza di ricusazione) prima dell’udienza di trattazione anche della prosecuzione del processo e innanzi a quale giudice??
Seppur essa costituisca una “mera formalità” di certo non arrecherebbe alcun arresto all’iter procedurale, ma costituirebbe maggiore espressione di garanzia laddove, spesso, l’istituto della ricusazione è stato distorto e abusato attraverso illegittime ed ingiustificate dilatazioni di tutta la tempistica processuale.
Altrimenti opinando non sarebbe anche questo un “diniego seppur temporaneo di giustizia?“
04/01/2012
Dott.ssa Valentina Zirafa
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10430-2009 proposto da:
M.M.;
RICORRENTE
contro
BETA SRL;
GAMMA SRL
CONTRORICORRENTI
avverso la sentenza n. 5281/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/12/2008, R.G.N. 3060/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1. La corte di appello di Roma, con sentenza n. 5281 del 18.12.08 e notificata il 6.3.09, respinse il gravame avverso la sentenza del tribunale di Tivoli n. 186/04, con a quale era stata rigettata l’opposizione di M.M., proprietario in seguito a vittorioso giudizio ex art. 2932 cod. civ. nei confronti della BETA SRL, avverso l’espropriazione ex artt. 602 ss. cod. proc. civ. intentata nei suoi confronti dalla I. C. R. SRL, succeditrice dell’originario unitario creditore assistita da ipoteca iscritta, sul complessivo fabbricato di cui facevano parte gli Immobili di esso opponente, prima della trascrizione della sua domanda giudiziale.
1.2. In particolare, il M.: aveva in primo grado eccepito il difetto di legitimatio ad causam e l’inesistenza di un titolo esecutivo nei propri confronti, pure chiedendo il risarcimento dei danni nei confronti tanto del creditore procedente che dei debitore effettivo e suo dante causa; aveva poi impugnato la sentenza di primo grado adducendo – oltre all’illegittimità derivante da presunta mancata sospensione dopo un’istanza di ricusazione – contestazioni sulla procura dei cessionari, sulla notifica del titolo e del precetto, sui vizi di questo in punto di descrizione del bene, sul mancato accollo del mutuo, sul diritto di sequela del creditore ipotecario, sulla mancata richiesta del frazionamento da parte del debitore originario, sull’anteriorità dell’erogazione del mutuo rispetto alla trascrizione della sua domanda giudiziale.
1.3. Sia la creditrice procedente che la debitrice effettiva avevano chiesto il rigetto, in primo grado, dell’opposizione e, in secondo, dell’appello.
1.4. Per la cassazione della sentenza della corte capitolina ha proposto ricorso il M., affidandosi a cinque motivi corredati da quesiti; resistono con controricorso sia tale GAMMA SRL e per essa la P.R.C.S. SPA, presupponendo evidentemente la sua qualità di succeditrice nel credito posto a base dell’opposta esecuzione, sia la debitrice effettiva BETA SRL; e, per la pubblica udienza del dì 8.11.12, depositata dal ricorrente altresì memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., il suo difensore e quello della controricorrente P.R. prendono parte alla discussione orale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Il ricorrente articola cinque motivi, dolendosi:
2.1. con il PRIMO – rubricato “violazione dell’art.360 cpc, nn. 4 e 5 in relazione all’art.52 cpc – inesistenza e/o nullità della sentenza di primo grado – violazione dell’art.360 cpc, n.5 per insufficiente e contraddittoria “motivazione su un punto decisivo della controversia conseguente nullità della sentenza di appello” – della ritenuta nullità della sentenza di primo grado, siccome resa in pendenza della necessaria sospensione dovuta alla presentazione di istanza di ricusazione del giudice; e concludendo con il seguente quesito: dica la Suprema Corte di Cassazione:
1) che la proposizione del ricorso per ricusazione del giudice determina à sensi dell’art.52 cpc, comma 3 la sospensione del processo sino alla riassunzione;
2) che la sentenza pronunciata dal giudice ricusato prima della definizione del subprocedimento avanti il giudice competente per la ricusazione e la conseguente riassunzione (in caso di rigetto) del processo è inesistente e/o nulla;
3) che parimenti inesistente è la sentenza pronunciata nel periodo di sospensione del processo;
4) che l’inesistenza e/o la nullità della sentenza emessa nel processo sospeso e non riassunto deve essere dichiarata dal giudice di appello avanti il quale è stata ritualmente dedotta;
2.2. con il SECONDO – rubricato “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in riferimento all’art. 1708 c.c. erronea motivazione – nullità assoluta” – del mancato rilievo della carenza di potere di agire in giudizio in capo all’amministratore unico della Servizi Immobiliari Banche da parte della I.C. R., con conseguente vizio radicale dell’esecuzione; e concludendo con il seguente quesito: dica la Suprema Corte di Cassazione che il giudice dell’opposizione all’esecuzione deve procedere di ufficio all’esame pregiudiziale del potere del creditore procedente di agire in executivis, dichiarando, in caso di inesistenza di detto potere, la nullità degli atti compiuti;
2.3. con il TERZO – rubricato “violazione dell’art. 360 cpc, nn. 3 e 5 in relazione all’art.603 cpc – omessa insufficiente e contraddittoria motivazione” dell’erroneità della dichiarata irrilevanza della notifica di titolo esecutivo e precetto al terzo proprietario e delle altre carenze formali del precetto stesso; e concludendo con il seguente quesito: dica la Suprema Corte di Cassazione che l’atto di precetto ex artt. 602 e 603 c.p.c. deve contenere la descrizione del bene del terzo che si intende sottoporre ad espropriazione nonchè l’invito allo stesso di provvedere ai pagamento del credito precettato in luogo del debitore ed in caso di inadempimento di lui, nonchè l’avvertimento che in difetto si procederà all’espropriazione del bene descritto;
2.4. con il QUARTO – rubricato “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 2825-bis cc. e art. 602 cpc – erronea e contraddittoria motivazione” – della ritenuta irrilevanza del mancato consenso di esso acquirente al frazionamento dell’originario mutuo concesso sul complessivo immobile di cui facevano parte i suoi beni; e concludendo con il seguente quesito: dica la Suprema Corte di Cassazione che il creditore ipotecario non ha diritto di procedere esecutivamente ex art. 602 cpc nei confronti dei terzo che dopo l’iscrizione dell’ipoteca ma prima del pignoramento abbia trascritto sul bene sentenza costitutiva della proprietà ex art. 2932 cc ma debba procedere con l’esecuzione diretta nei confronti del debitore;
2.b. con il QUINTO – rubricato “violazione dell’art. 360 cpc, nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 1477, 2932 e 2866 c.c.; – omessa e contraddittoria motivazione – danno grave” – dei mancato accoglimento della domanda nei confronti del suo dante causa, concludendo con il seguente quesito: dica la Suprema Corte di Cassazione che il terzo proprietario può esperire l’azione di cui all’art. 2866 c.c. per ottenere dal debitore l’indennizzo di quanto preteso dal creditore ed il risarcimento per l’evizione con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cpc, essendo il debitore litisconsorte necessario.
3. Dal canto loro, dei controricorrenti:
3.1. la GAMMA SRL e per essa la sua mandataria P.R. C. S. SPA, dedotta la sua qualità di succeditrice della I. C. R. SRL:
eccepisce l’inammissibilità del ricorso, in quanto tendente a conseguire un riesame dei materiale istruttorio e comunque per l’insussistenza dei dedotti vizi motivazionali; precisa che l’eventuale sospensione derivante dalla ricusazione avrebbe dovuto riferirsi al solo processo esecutivo e che comunque quest’ultima era successiva al momento in cui l’opposizione era stata trattenuta in decisione ed era stata dichiarata inammissibile prima della scadenza dei termini ex art.190 cpc; lamenta, per tutti i motivi L’inammissibilità, per violazione dell’art.366-bis cpc;
deduce l’infondatezza nel merito degli altri motivi: del secondo, per la presenza di valide prove documentali del potere della mandante a conferire alla mandataria il potere di agire in giudizio, nonchè del poteri processuali delle altre parti e delle successioni nei crediti;
del terzo, alla stregua dell’art.41, comma 1, t.u.l.b. (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385); del quarto, per l’evidente anteriorità dell’ipoteca rispetto alla trascrizione della domanda del M. e la sua idoneità a colpire comunque, a prescindere perfino dal frazionamento, anche gli immobili ricavati dalla maggioro consistenza di quello oggetto dell’erigi narici iscrizione, ma comunque con efficacia meramente dichiarativa del l’annotazione del frazionamento intermedio;
3.2. la BETA SRL sommariamente contesta l’ammissibilità e la fondatezza dell’avverso ricorso ed in particolare della domanda ai sensi dell’art.2866 cc.
4. Va a questo punto premesso che alla fatti specie si applica l’art. 366-bis cod. proc. civ.:
4.1. tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e resta applicabile – in virtù del comma 2, art. 27, medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma 5, di quest’ultima (con ultra-attività ritenuta conforme a Costituzione, tra le altre, da Cass., ord. 14 novembre 2011, n. 23800);
4.2. i criteri elaborati per la valutazione della rilevanza dei quesiti vanno applicati anche dopo la formai e abrogazione, nonostante i motivi che l’avrebbero determinata, attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultra-attività alla norma (per tutte, v. espressamente: Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 3 agosto 2012, n. 13935);
4.3. quanto ai quesiti previsti dal primo comma di tale norma, in generale, essi:
– non devono risolversi in un’ enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire a causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420);
– non devono risolversi in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. Sez. Un., 8 maggio 2008, n. 11210);
– devono al contempo comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, tanto che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inanimissibile (Cass. 30 settembre 2008, n. 24339);
– devono essere formulati, in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata;
– in altri termini, devono compendiare:
a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;
b) la sintetica indicazione dei la regola di diritto applicata dal quel giudice;
c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704);
4.4. quanto poi al capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ., va rilevato che per le doglianze di vizio di motivazione, occorre la formulazione – con articolazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso – di un momento di sintesi o di riepilogo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v., tra le ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure – se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione; tale requisito non può ritenersi rispettato ove solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure.
5. in applicazione di tali principi alla fattispecie:
5.1. dei motivi di ricorso, quelli di vizio motivazionale sono del tutto carenti di un momento finale di riepilogo o sintesi, oltretutto in linea coi principi di cui al precedente punto 4.4;
5.2. quanto ai motivi di ricorso diversi dal primo, di quelli riconducibili ai nn.3 o 4, art.360 cpc sono del tutto evidenti il carattere tautologico o apodittico delle affermazioni indicate come regulae iuris e comunque la carenza di tutti e tre gli elementi – e soprattutto di quelli sub a) e b – indicati all’ultimo alinea del punto 4.3.
6. Inoltre, sempre in punto di rito:
6.1. quanto al SECONDO MOTIVO risulta non rispettato il disposto dell’art.366 cpc, n.6, mancando la trascrizione dei documenti da cui, al di là delle espressioni contenute nel ricorso (facciata sei, righe decima e quattordicesima), desumere il completo tenore testuale delle procure pure indicate, come pure degli atti processuali (con ulteriore analitica indicazione della sede in cui rinvenirli) che hanno contenuto le relative contestazioni, tutti invece indispensabili (quanto al contenuto dei documenti che si assumono malamente interpretati, con principio affermalo ai sensi dell’art.360-bis cpc, comma 1: Cass., ord. 30 luglio 2010, n.17915; quanto alla non novità della questione implicante accertamenti di fatto: Cass. 20 ottobre 2006, n.22540; Cass. 27 maggio 2010, n.12992); inoltre, non risulta censurata la ratio decidendi della corte di appello, che ha definito tali censure diverse e quindi nuove rispetto a quelle originariamente dispiegate;
6.2. quanto ai TERZO MOTIVO, oltre a quanto già indicato al punto immediatamente precedente, va osservato che le relative contestazioni, quali risultano consacrate nel quesito finale, integrano di certo un’opposizione agli atti esecutivi e, in quanto tali, le relative statuizioni di primo grado non potevano essere neppure portate alla cognizione del giudice di appello (essendo al riguardo, se ritualmente dispiegate le questioni, necessario il ricorso immediato per cassazione) ed a maggior ragione non possono essere esaminate in questa sede (non se per la prima volta, per la conseguente novità della questione; non se per l’erroneo esame da parte della corte territoriale, perchè esso era a quella precluso e sarebbe oramai tardivo davanti a questa corte); e tanto a tacere del fatto che in ogni modo la corte territoriale ha argomentato sulla sussumibilità della domanda entro il paradigma dell’art.617 cpc, mentre è stata correttamente rilevata l’applicabilità del D.Lgs. n.385 del 1993, art.41, in materia di non necessità della notifica del titolo ed esclusa la necessità di una intimazione di pagamento al terzo, il quale risponde coi suoi beni del debito altrui, ma non appunto di quest’ultimo; e senza considerare che comunque manca la trascrizione delle espressioni testuali degli atti impugnati, dalle quali sarebbe risultata con evidenza l’insufficienza della descrizione dei beni aggrediti;
6.3. quanto al QUARTO MOTIVO, è evidente il difetto di pertinenza della questione (come consacrata nei quesito) con la sola ratio decidendi esplicitata nel la sentenza impugnata, che si incentra sull’inapplicabilità della norma invocata in dipendenza dell’entrata in vigore di essa in tempo successivo ai fatti per cui è causa e comunque per l’insussistenza dei relativi presupposti nella specie (come la trascrizione del preliminare in una certa data);
6.4. quanto al QUINTO MOTIVO, non sono forniti gli elementi per valutare la non novità della domanda sulla base della specifica causa petendi addotta in questa sede e comunque è evidente che la questione (come consacrata nel quesito) non è neppur essa pertinente alla ratio decidendi di infondatezza ed inammissibilità della domanda risarcitoria verso la venditrice, siccome in origine fondata esclusivamente sull’inesistenza di un titolo e non già sull’indisponibilità de bene derivante dalla mancata estinzione dell’ipoteca o sugli altri presupposti oggi invocati.
7. Resta da esaminare il PRIMO MOTIVO di ricorso; ed al riguardo, in disparte dubbi analoghi a quelli già visti per gli altri quesiti circa la rispondenza del quesito ai rigorosi requisiti di cui sub 5.3, si osserva, alla stregua della successione degli atti prospettata da tutte le parti;
7.1. la causa di opposizione all’esecuzione fu trattenuta a sentenza, con la concessione dei termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ. (ridotti peraltro a trenta e venti giorni), all’udienza del 9.2.04;
l’istanza di ricusazione fu formalizzata dal M. soltanto il 12.2.04, con l’annotazione, in calce ad essa, della sospensione del processo da parte de giudice ricusato; l’istanza stessa fu dichiarata inammissibile con provvedimento collegiale del 10-15.3.04; soltanto alla scadenza dei già concessi termini fu poi pronunciata la sentenza sull’opposizione, in data 19.4.04;
7.2. è ben vero che il rigetto dell’istanza di ricusazione non è impugnabile di per sè, poichè soltanto il vizio causato dall’incompatibilità del giudice invano ricusato si tradurrebbe in vizio di nullità dell’attività da lui dispiegata e quindi della sentenza resa al termine del relativo grado di giudizio: sicchè tale vizio andrebbe fatto valere soltanto con il gravame avverso quest’ultima (per tutte: Cass., Sez. Un. 20 novembre 2003, n. 17636;Cass. 12 luglio 2006, n. 15780; Cass. 12 marzo 2012, n. 3866);
7.3. è altrettanto vero, peraltro, che la presentazione dell’istanza di ricusazione non sospende mai, di per sè sola considerata, il procedimento nel quale è presentata: la sola proposizione del ricorso per ricusazione non determina ipso iure la sospensione del procedimento e la devoluzione della questione al giudice competente a decidere della questione stessa, in quanto spetta pur sempre al giudice a quo una sommaria delibazione della sua ammissibilità, all’esito della quale, ove risultino ictu oculi carenti i requisiti formali di legge per l’ammissibilità dell’istanza, il procedimento può continuare, giacchè l’evidente inammissibilità della ricusazione, pur non potendo impedire la rimessione del ricorso al giudice competente, esclude l’automatismo dell’effetto sospensivo (Cass., ord. 6 dicembre 2011, n.26267; Cass. 10 marzo 2006, n.5236; Cass. 2 luglio 2003, n.10406; Cass. 24 aprile 1993, n.2804; Cass. Sez. Un., 20 dicembre 1972, n.3672);
7.4. ancora, la riassunzione dopo la cessazione della sospensione, che si determina in base alla mera pronuncia dell’ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile l’istanza di ricusazione, può aver luogo senza formalità, proseguendo di ufficio ed automaticamente il processo dopo detta pronuncia, tanto che le parti non hanno diritto ad alcuna comunicazione, ove fosse stato già disposto, con provvedimento anteriore alla presentazione dell’istanza, un rinvio ad altra udienza, successiva però alla data di definizione dell’istanza stessa (Cass. 10 marzo 2006, n. 5236);
7.5. tali principi – di assenza di automatica efficacia sospensiva e di immediata efficacia dell’ordinanza che definisce negativamente l’istanza di ricusazione – sono chiaramente ispirati all’esigenza di contemperare le i contrapposte esigenze, sottese all’istituto, di assicurare I alle parti l’imparzialità del giudizio nella specifica controversia di cui trattasi e di impedire, nel contempo, un uso distorto e strumentale dell’istituto: e segnatamente di suo abuso per conseguire indebite sospensioni del processo o pressioni altrettanto indebite sulla formulazione del giudizio;
7.6. i medesimi principi consentono allora di concludere, sviluppando l’enunciato di cui sub 7.4, che, poichè l’istanza di ricusazione non sospende automaticamente il processo e comunque la sua definizione negativa ha efficacia automatica, nell’ipotesi di fissazione di termini perentori per l’espletamento di attività delle parti, pendenti i quali il giudice non solo non può, ma – di norma – neppure deve adottare atti o provvedimenti (e non ha in concreto adottato nella specie), permane in capo ad esse, compresa quella che ha presentato l’istanza di ricusazione in tempo successivo alla fissazione, l’onere di dar corso, nei termini fissati, alle attività di loro spettanza: e tanto senza che vi sia bisogno, a tal fine, di alcuna comunicazione dell’avvenuta definizione in senso negativo dell’istanza di ricusazione o di alcun atto di riassunzione; e con l’ulteriore conseguenza che, intervenuta tale definizione in tempo anteriore alla scadenza del termine fissato alle parti, legittimamente il giudice ricusato riprende, senza alcun bisogno di formale riassunzione, a svolgere i suoi compiti, quali impostigli dallo sviluppo del processo, tra cui la pronuncia della sentenza all’esito dei termini già fissati ex art.190 cpc;
7.7. in applicazione di tanto, correttamente il giudice ricusato ha reso la sentenza, siccome il termine per le attività di parte, cioè quello finale previsto dall’art.190 cpc, era scaduto in tempo successivo alla pronuncia dell’ordinanza di declaratoria di inammissibilità dell’istanza di ricusazione; e, pertanto, il relativo motivo di ricorso è infondato.
8. Il ricorso, essendo infondato il primo motivo ed inammissibili gli altri, va pertanto rigettato; ed il soccombente ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di ciascuna delle controricorrenti.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna M.M. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate: per la controricorrente P. R. C. S. SPA, nella qualità in atti e in pers. del leg. rappr.nte p.t., in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi; per la BETA SRL, in pers. del leg. rappr.nte p.t., in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 28/2012