A seguito della riforma in vigore dal 1 marzo 2006, i procedimenti di opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione sono stati strutturati in due fasi distinte, di cui la prima ha natura pre-contenziosa ed è finalizzata soltanto alle pronunce endoesecutive previste dagli artt.624 co. I, 618 co. II e 619 co. III c.p.c., essendo il giudizio di merito successivo ed eventuale, perché affidato alla volontà della parte interessata. Il giudice dell’esecuzione, investito di opposizione ex art. 615 co. II c.p.c., è tenuto unicamente a provvedere sull’istanza di sospensione ex art. 624 co. II c.p.c., e ad individuare il giudice competente per il merito, assegnando alle parti il termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito, dinanzi al diverso giudice ritenuto competente.
Il giudizio di merito, quindi, è solo eventuale e la sua introduzione è affidata all’iniziativa della “parte interessata”, ovvero del soggetto che, dopo l’intervento del giudice dell’esecuzione, mantiene o acquista – a seconda del contenuto del provvedimento interlocutorio – interesse concreto ed attuale alla definizione del conflitto in sede contenziosa. Il giudizio di opposizione ha dunque inizio con il ricorso al giudice dell’esecuzione, ma l’omesso rispetto del termine per l’introduzione della fase di merito a cognizione piena ad opera della parte interessata comporta l’improcedibilità della relativa azione.
Ne consegue per il caso di rigetto della sospensiva, che la parte interessata alla instaurazione della fase di merito è solo l’opponente (debitore o terzo) dal momento che il diniego della sospensiva fa naturalmente proseguire la procedura esecutiva a vantaggio del creditore procedente che, pertanto, rimane inattivo. E se il debitore non introduce la fase di merito, dimostra di non avere interesse sostanziale ad un accertamento definitivo sui motivi di opposizione. A fortiori ne consegue che non ha interesse sostanziale ad un provvedimento, quale quello che potrebbe essere reso in questa sede di reclamo, che anche se in ipotesi favorevole (in riforma del rigetto della sospensiva) produrrebbe effetti solo interinali e, non avendo natura anticipatoria, non avrebbe alcuna possibilità di stabilizzazione, in mancanza di tempestiva introduzione della fase di merito.
La carenza di interesse sostanziale dell’opponente si traduce in pronuncia di inammissibilità del reclamo.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Bologna, Pres. Florini – Rel. Rimondini con l’ordinanza del 16.05.2019.
Nella vicenda esaminata i debitori proponevano reclamo avverso l’ordinanza con cui il GE rigettava l’istanza di sospensiva dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c. dagli stessi avanzata nell’ambito dell’opposizione all’esecuzione.
Il creditore resistente contestava che nelle more del reclamo era spirato il termine per la instaurazione del giudizio di merito assegnato ex art. 616 c.p.c. e chiedeva di dichiararsi l’improcedibilità del reclamo.
Il Collegio ha osservato che nell’ambito dell’opposizione ex art. 615 co. II c.p.c., il giudizio di merito, è solo eventuale e la sua introduzione è affidata all’iniziativa della “parte interessata”, ovvero del soggetto che, dopo l’intervento del giudice dell’esecuzione, mantiene o acquista – a seconda del contenuto del provvedimento interlocutorio – interesse concreto ed attuale alla definizione del conflitto in sede contenziosa.
Ne consegue che in ipotesi di rigetto della sospensiva, la parte interessata alla instaurazione della fase di merito è solo l’opponente – che sia debitore o terzo – dal momento che la mancata sospensione fa proseguire la procedura esecutiva a vantaggio del creditore procedente che, pertanto, rimane inattivo; se quindi il debitore non introduce la fase di merito, dimostra di non avere interesse sostanziale ad un accertamento definitivo sui motivi di opposizione e, dunque, nemmeno ad un provvedimento, quale quello reso in sede di reclamo, che – in mancanza del giudizio di merito – sarebbe idoneo a produrre effetti solo interinali senza alcuna possibilità di stabilizzazione.
In ragione di tali rilievi il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità del reclamo e condannato i debitori al pagamento delle spese di lite ed all’ulteriore contributo previsto dall’ art. 13 del TU sulle spese di giustizia.
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