Nelle azioni ripetizione è onere dell’attore indicare i pagamenti ripetibili ed il difetto della loro prova comporta una violazione dell’onere di allegazione e di prova dei fatti costitutivi della domanda, cui deve conseguire il rigetto della stessa per infondatezza.
L’azione di condanna proposta da parte attrice deve essere ricondotta al paradigma di cui all’art. 2033 c.c., sicché elemento costitutivo della domanda è l’esistenza di un pagamento; pertanto colui che agisce per la ripetizione di somme indebitamente pagate (in forza di clausole nulle contenute in un contratto di conto corrente bancario) ha l’onere di allegare e provare tutti i fatti costitutivi della domanda rappresentati dall’attribuzione patrimoniale di cui chiede la restituzione e non solo dall’inesistenza di un’idonea causa debendi, poiché ripetibile è la somma pagata e non il debito di cui si predica l’illegittimità.
Tale carenza documentale non può essere superata mediante richiesta di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. avente ad oggetto gli estratti conto poiché si tratta di documentazione nella disponibilità del correntista, che poteva acquisirla ai sensi dell’art. 119 T.U.B.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Treviso, Giudice Francesca Vortali, nella causa promossa da un correntista nei confronti della banca che lamentava, tra le altre, l’applicazione di tassi superiori a quanto pattuito fra le parti ed al tasso soglia usura, commissione di massimo scoperto non pattuita o prevista da clausola nulla per mancanza di causa ed arbitrario esercizio da parte della convenuta dello jus variandi, previo accertamento dell’ammontare dei rapporti di dare ed avere fra le parti.
Il correntista, pertanto, chiedeva la condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite previa dichiarazione di nullità parziale o totale del contratto di apertura di credito e di conto corrente.
La banca si costituiva tempestivamente respingendo le doglianze relative all’usura e contestando la genericità e l’assenza di prova con riguardo all’eccepita usura.
La causa veniva istruita mediante produzione documentale e consulenza tecnica d’ufficio.
Il Tribunale trevigiano dirime la controversia chiarendo innanzitutto, sulla scorta della sentenza n. 24418 del 23 novembre 2010 delle Sezioni Unite della Suprema Corte, che l’azione di condanna proposta da parte attrice deve essere ricondotta al paradigma di cui all’art. 2033 c.c. e, pertanto, elemento costitutivo della domanda è l’esistenza di un pagamento.
Da tale assunto, pertanto, deriva che colui che agisce per la ripetizione di somme indebitamente pagate, in forza di clausole nulle contenute in un contratto di conto corrente bancario, ha l’onere di allegare e provare tutti i fatti costitutivi della domanda rappresentati dall’attribuzione patrimoniale di cui chiede la restituzione e non solo dall’inesistenza di un’idonea causa debendi, poiché ripetibile è la somma pagata e non il debito di cui si predica l’illegittimità.
Il Giudicante prosegue poi chiarendo che, di conseguenza, il difetto della prova dei pagamenti ripetibili comporta una violazione dell’onere di prova dei fatti costitutivi della domanda, cui consegue il rigetto della stessa per infondatezza non avendo dimostrato l’attore la diminuzione patrimoniale subita.
Tale onere di allegazione e prova sarebbe stato rispettato qualora il correntista avesse prodotto gli estratti conto integrali da cui emergono le precise indicazioni sui singoli pagamenti effettuati dal correntista (le rimesse effettuate, contabilizzate come accrediti), non limitandosi a produrre i soli estratti conto scalari ed i prospetti di riepilogo delle competenze, che forniscono dati utili unicamente al fine di determinare, seppure con metodo sintetico, l’ammontare del debito contabilizzato dall’istituto di credito a titolo di interessi, commissioni e spese.
Infine, poiché gli estratti conto integrali sono documentazione nella disponibilità del correntista, che ben avrebbe potuto acquisirli ai sensi dell’art. 119 T.U.B, tale carenza documentale non può essere superata da parte attrice mediante richiesta di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c..
Sulla scorta di tali determinazioni, quindi, il Tribunale di Treviso, Giudice Francesca Vortali, ha rigettato le domande di condanna proposte dal correntista, che rappresentavano la vera ragione della proposta iniziativa giudiziaria, e dichiarato il difetto di interesse ad agire in capo a parte attrice per quanto concerne tutte le restanti domande di accertamento delle nullità contrattuali nonché dell’azione di accertamento dell’ammontare del dare ed avere fra le parti.
Il Tribunale ha condannato quindi il CORRENTISTA a rimborsare in favore di BANCA le spese del giudizio che si liquidano complessivamente in Euro 13.430,00, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a. come per legge oltre alle spese della espletata CTU.
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