In tema di ripetizione di indebito bancario, qualora l’avvenuta stipulazione fra le parti del contratto di apertura di credito non sia in contestazione, la natura ripristinatoria delle rimesse è presunta: spetta dunque alla banca che eccepisce la prescrizione di allegare e di provare quali sono le rimesse che hanno invece avuto natura solutoria; con la conseguenza che, a fronte della formulazione generica dell’eccezione, indistintamente riferita a tutti i versamenti intervenuti sul conto in data anteriore al decennio decorrente a ritroso dalla data di proposizione della domanda, il giudice non può supplire all’omesso assolvimento di tali oneri, individuando d’ufficio i versamenti solutori.
Così si è espressa la Corte di Cassazione, VI sezione civile, Pres. Dogliotti – Rel. Cristiano, con ordinanza del 7 settembre 2017 n. 20933, pronuncia che ritorna sul tema della formulazione dell’eccezione di prescrizione nelle azioni di ripetizione di indebito bancario, mostrando di “trascurare” i recenti arresti della medesima sezione (su tutti Cass. Civ., VI sez., 30 gennaio 2017, n.2308), pervenuti a risultati opposti.
La vicenda processuale trae origine dalla domanda proposta innanzi al Tribunale di Lecce da un correntista che aveva richiesto la ripetizione delle somme – a suo dire indebitamente – percepite dalla Banca (per interessi ultralegali non pattuiti e trimestralmente capitalizzati) nel corso di un longevo rapporto di conto corrente, assistito da apertura di credito, intrattenuto tra le parti sin dal novembre del 1983.
In accoglimento della domanda attorea, il giudice di prime cure aveva condannato la banca convenuta al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 277.833,48, oltre interessi legali dalla data di messa in mora al saldo effettivo.
La sentenza, appellata dalla Banca, era stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Lecce, che, per ciò che in questa sede rileva, aveva accolto – in relazione ai soli versamenti “solutori” effettuati dalla correntista in data anteriore al decennio 15/2/95 – 15/2/05 (decorrente a ritroso dalla della domanda) – l’eccezione della Banca di prescrizione del diritto azionato, ritenendo irrilevante la genericità della formulazione di quest’ultima (riferita a “tutte le rimesse affluite sul conto”), attesa peraltro la “novità” dell’orientamento espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 24418/2010 (*); aveva inoltre ritenuto fondato il motivo di gravame con il quale l’appellante aveva dedotto il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado, per aver riconosciuto alla correntista gli interessi creditori maturati nel corso del rapporto, nonostante la mancanza di una specifica domanda sul punto.
Avverso tale decisione, il correntista ha dunque proposto ricorso per cassazione, dolendosi della circostanza che la Corte di merito avesse accolto l’eccezione di prescrizione genericamente formulata dalla creditrice con riferimento a tutte le rimesse affluite sul conto, senza indicazione di quelle aventi natura solutoria, implicitamente ed erroneamente applicando il principio c.d. dell’overruling, enunciato da Cass. S.U. n. 15144/2011 con esclusivo riguardo al mutamento di un consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di interpretazione di norme processuali (**), ad una fattispecie in cui venivano in rilievo – invero – norme di diritto sostanziale.
Richiamando l’insegnamento della “storica” pronuncia delle Sezioni Unite n. 24418/2010, la Suprema Corte ha premesso che l’azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito regolato in conto corrente bancario, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nel caso in cui i versamenti abbiano avuto solo natura ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di chiusura del rapporto.
Sulla scorta di tale premessa, in accoglimento del primo motivo di ricorso, l’ordinanza in commento ha sancito che, qualora la stipulazione fra le parti del contratto di apertura di credito non sia in contestazione, la natura ripristinatoria delle rimesse è presunta: spetta dunque alla banca che eccepisce la prescrizione allegare e provare quali sono le rimesse che hanno invece avuto natura solutoria, con la conseguenza che l’eccezione di prescrizione deve essere specifica e non generica (e cioè indistintamente riferita a tutti i versamenti intervenuti sul conto in data anteriore al decennio decorrente a ritroso dalla data di proposizione della domanda) ed il giudice non può supplire d’ufficio a tale onere di “individuazione”.
Gli Ermellini hanno peraltro confermato che il principio dell’overruling, impropriamente richiamato dalla Corte di merito per giustificare l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione in ragione del mutato orientamento di legittimità all’indomani della sentenza a SS.UU. n. 24418/2010, può trovare applicazione solo allorquando il mutamento di un consolidato orientamento giurisprudenziale riguardi l’interpretazione di norme processuali, e non di norme di diritto sostanziale.
Accogliendo altresì il secondo motivo di ricorso, la Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione per la decisione nel merito.
IL COMMENTO
La decisione in commento riaccende il dibattito sulla prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito nei rapporti bancari di conto corrente, operando un revirement – con scelta non immune da criticità – dell’orientamento di recente espresso in Cass. Civ., VI sez., 30 gennaio 2017, n.2308 (http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/ripetizione-indebito-leccezione-di-prescrizione-formulata-dalla-banca-e-ammissibile-anche-se-generica), pronuncia in cui la medesima sezione del Supremo Consesso aveva ritenuto pienamente legittima ed efficace l’eccezione formulata dalla Banca in termini generici, a fronte di una domanda giudiziale parimenti generica.
A destare le maggiori perplessità, invero, è la lacunosità dell’iter motivazionale, che perviene alla laconica presunzione della natura ripristinatoria delle rimesse – ed alla semplicistica conclusione per la quale è la banca a dover fornire la prova della solutorietà delle stesse – dalla sola premessa della non contestazione di esistenza tra le parti di un contratto di apertura di credito.
In altri termini, la S.C. sembra sancire la seguente apodittica equazione: (non contestazione della) apertura di credito = presunzione di natura ripristinatoria delle rimesse = onere di individuazione delle rimesse solutorie a carico della banca.
Sembra, invero, mancare in tale percorso argomentativo un importante discrimen, che, in ossequio al contemperamento delle regole processuali con le emergenze sostanziali, tenga conto della modalità con la quale il correntista abbia formulato – “a monte” – la domanda di ripetizione.
È evidente infatti che non può trascurarsi, in una prospettiva che rispetti l’onere di specifica deduzione ed allegazione della parte attrice nel processo civile, la circostanza che il correntista abbia introdotto il giudizio di ripetizione con una domanda generica (“tutte le rimesse…”) ovvero con una domanda specifica (individuando i singoli versamenti oggetto di contestazione).
La decisione in commento non pare in alcun modo valutare tale aspetto, giungendo a conclusioni che prestano il fianco a non poche criticità.
A fronte, infatti, di una domanda di ripetizione che non individui le singole rimesse “contestate”, non può negarsi alla parte convenuta – per un principio di “parità delle armi” processuali – la facoltà di formulare l’eccezione di prescrizione in termini parimenti generici.
Peraltro, se la giurisprudenza ammette che il principio “iuxta alligata et probata” possa trovare deroga per la posizione del correntista-attore, relegando l’onere di individuare le rimesse “indebite” al consulente tecnico d’ufficio, non si vede perché debba trovare diverso trattamento la posizione processuale della banca convenuta, che si vedrebbe di converso gravata (essa solo e sin dalla prima difesa) dall’onere di individuare le rimesse prescritte (rectius, per le quali il diritto di agire in ripetizione è prescritto), non potendosi avvalere della individuazione officiosa.
E d’altronde, andando ancor più a fondo sino alla “radice” del problema, non si comprende neppure quale sia la regula juris che consenta al correntista-attore di sottrarsi al generale onere di specificazione (e di prova) dei fatti primari della propria domanda processuale (i versamenti che si intendono contestare), sfuggendo alla censura di “nullità” della domanda che miri a ripetere “tutte le rimesse” asseritamente indebite.
In tale ultima (e più rigida) direzione sembra muoversi qualche pronuncia di merito – e precisamente la sentenza n. 107 del 13/01/2017 del Tribunale di Napoli Nord, Giudice dott. Arminio Salvatore Rabuano (http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/indebito-bancario-nulla-la-domanda-che-rinvia-a-relazione-tecnica-senza-lindicazione-delle-singole-rimesse), oggetto di pubblicazione su questa rivista – di seguito massimata:
“E’ nulla in forma insanabile la domanda di ripetizione di indebito che non indichi le singole rimesse di cui chiede la restituzione nell’atto introduttivo della lite e tale mancanza non può essere sopperita dal deposito della perizia di parte a cui la domanda di indebito rinvia atteso he l’omessa esposizione dei fatti di causa pregiudica il potere di cognizione del giudice e il diritto di difesa del convenuto.
Nel giudizio promosso dal cliente di un istituto bancario che eserciti l’azione di ripetizione dell’indebito deducendo la contrarietà a norme imperative di determinate condizioni contrattuali, parte attrice ha l’onere, sotto il profilo delle allegazioni, di rappresentare: la clausola contrattuale illegittima o il comportamento illegittimo della banca, la rimessa compiuta in esecuzione della clausola o del comportamento illegittimo, la natura solutoria della rimessa, la data della rimessa e il procedimento matematico tramite il quale perviene all’indicazione della somma complessiva di cui domanda la restituzione.
L’allegazione implicita compiuta tramite il rinvio con l’atto di citazione alla relazione tecnica depositata in giudizio è dunque inammissibile atteso che, in base al principio del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., le dichiarazioni che rappresentano gli elementi fondamentali dell’azione e, in particolare, la causa petendi, devono essere portate a conoscenza, unitamente all’atto di citazione, del convenuto per consentire allo stesso di esercitare immediatamente, nel termine libero di cui all’art. 163 bis c.p.c., il proprio diritto di difesa, che comprende anche la facoltà di non costituirsi in giudizio e di rimanere inerte, avendo piena e completa cognizione dei fatti che la controparte pone a sostegno della pretesa fatta valere dinanzi al Tribunale.
La banca convenuta deve essere messa in condizione di difendersi: esaminando l’effettiva esecuzione della rimessa; la natura ripristinatoria o solutoria della rimessa; e di eccepire, con riferimento a ogni singola rimessa solutoria (siano esse eseguite su conto scoperto ovvero su conto non scoperto e definitivamente acquisite dall’istituto bancario alla data di chiusura del rapporto) la prescrizione; verificando la correttezza del calcolo della somma richiesta a titolo di ripetizione di indebito”.
A ben vedere, la linea “dura” segnata dalla decisione appena citata non sembra priva di una precisa coerenza, nella misura in cui mostra di affrontare il problema “a monte”, non trascurando le regole processuali che impongono all’attore di individuare specificamente i fatti e le ragioni poste a fondamento della propria domanda.
Diversamente opinando, ritenere valida ed ammissibile una domanda di ripetizione fondata unicamente sulla generica contestazione della legittimità degli addebiti e non accompagnata dalla puntuale indicazione di voci contabili e di periodi temporali contestati (che non possono non ricavarsi già dagli atti processuali), comporta l’inevitabile conseguenza di demandare al consulente tecnico d’ufficio quella attività di specificazione che, invero, dovrebbe rappresentare sin dal principio il “nucleo” della parte espositiva dell’atto introduttivo del giudizio.
Peraltro, nel sorvolare sulla censura di nullità, un simile orientamento incide nettamente sulle stesse possibilità del convenuto di difendersi compiutamente dalla domanda, sin dal primo scritto processuale utile, anche mediante “l’arma” della eccezione di prescrizione.
Proprio su tale aspetto si è recentemente soffermata la Corte d’Appello di Milano, Pres. Santuosso – Rel. Bonaretti con la sentenza n.1752 del 25/04/2017 (http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/indebito-ammissibile-leccezione-di-prescrizione-senza-indicazione-delle-singole-rimesse-solutorie), che si è nei termini che seguono:
In tema di ripetizione di indebito, ove la Banca eccepisca la prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme, la mancata individuazione da parte dell’Istituto creditizio delle specifiche rimesse solutorie non è causa di invalidità della stessa, in quanto l’eccezione di prescrizione pur richiedendo l’individuazione del diritto che ne costituisce l’oggetto, non necessita anche dell’elencazione analitica dei singoli elementi che lo costituiscono, ove detti elementi, rilevanti ex art. 2935 c.c., possano comunque desumersi dal complesso degli atti, dall’esito dell’istruttoria processuale e dalle discussioni tra le parti sulle questioni determinanti della causa.
In materia di restituzione di indebito, il criterio legale d’imputazione dei pagamenti postula la contemporanea liquidità e l’esigibilità delle somme dovute a titolo di capitale e di quelle dovute a titolo di interessi, e sebbene tale requisito non riscontrabile ordinariamente nel rapporto di conto corrente, è tuttavia presente nel caso in cui il correntista abbia effettuato versamenti o su conto in passivo a cui non acceda un’apertura di credito o, se al c./c. acceda un’apertura di credito ex art. 1842 c.c., in quanto, essendo tali versamenti destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento il credito per scoperto di conto o extra-fido è, oltreché sicuramente liquido, anche immediatamente esigibile.
La natura, solutoria o ripristinatoria delle rimesse bancarie deve essere individuata non limitatamente al singolo trimestre dell’intervenuto versamento, ma anche in riferimento all’intero saldo passivo risultante nei trimestri precedenti; inoltre, in virtù del principio ex art. 821 cc. co.3 in quanto non implica un mutamento della struttura unitaria del contratto di conto corrente deve ritenersi che le rimesse debbano essere imputate a tutti gli interessi maturati nel trimestre in cui è incorso il pagamento.
E non può tacersi che la (medesima) sesta sezione civile della Corte di Cassazione, (Pres.Ragonesi,- Rel. Bisogni del 30.01.2017, n.2308 http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/ripetizione-indebito-leccezione-di-prescrizione-formulata-dalla-banca-e-ammissibile-anche-se-generica) in un caso analogo aveva ritenuto valida ed ammissibile l’eccezione di prescrizione formulata dalla banca in forma generica, sul presupposto che l’atto introduttivo fosse altrettanto generico (***).
A fronte di una laconica motivazione, non appaiono pertanto chiare le ragioni dell’odierno revirement.
Ma vi è di più.
La decisione in commento ha affermato apoditticamente che, allorquando “non sia in contestazione” la stipulazione tra le parti del contratto di apertura di credito, la natura ripristinatoria delle rimesse va presunta.
A destare perplessità è l’applicabilità del principio di non contestazione in una fattispecie nella quale, discorrendosi di rapporti bancari, occorre misurarsi necessariamente con le rigide previsioni in termini di validità e prova dei contratti, imposte dalla legislazione bancaria.
Sul punto, richiamando ancora la pronuncia della Corte d’Appello di Milano, sopra citata, “la mancanza di forma scritta di un contratto di affidamento rende nullo il rapporto bancario, per cui in assenza di un valido contratto di affidamento, le rimesse destinate a ripianare un’esposizione debitoria del cliente in assenza di fido, devono considerarsi di natura solutoria”.
Detto altrimenti, la mancata contestazione del rapporto bancario non può supplire alla mancata produzione in giudizio del documento necessario ai fini della prova della validità del rapporto stesso, non trascurando che l’art. 117 T.U.B. impone la forma scritta a pena di nullità.
Sicché pare che la Corte di Cassazione, con la decisione in commento, abbia finito per conferire rilevanza ad un accordo “nullo”, facendovi discendere effetti, almeno al fine di presumere la natura ripristinatoria delle rimesse.
Senza considerare che la natura solutoria o ripristinatoria può discendere, non solo dalla circostanza che il versamento sia avvenuto in assenza od in assenza di qualsivoglia affidamento, ma anche dal fatto che le rimesse siano avvenute a conto “scoperto” ovvero nei limiti del fido.
Come individuare pertanto il limite dell’affidamento, in assenza del contratto? Come giustificare l’inversione dell’onere della prova a carico della banca?
Proprio su tale ultimo punto appare utile la lettura di alcune recenti decisioni di merito (Sentenza del Tribunale di Bari, dott. Savino Gambatesa del 21.05.2015, n.2353 – http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/indebito-se-il-cliente-non-prova-l-affidamento-le-rimesse-si-intendono-solutorie – Sentenza del Tribunale di Torino, dott.ssa Maurizia Giusta del 24.11.2014 – http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/ripetizione-indebito-in-mancanza-della-prova-dell-affidamento-le-rimesse-si-presumono-solutorie) le quali hanno precisato che è onere del cliente fornire la prova, tanto dell’affidamento che dei il limite dello stesso, non potendosi presumere, sic et simpliciter, la natura ripristinatoria delle rimesse.
Non poche, in conclusione, le contraddizioni in cui sembra essere incorsa la Suprema Corte nella pronuncia in commento, alimentando di fatto oscillazioni intorno ad un tema che, come detto, coinvolge “a monte” le stesse regole che sottendono allo svolgimento del processo civile (minandovi alla radice) e, solo “a valle”, gli aspetti sostanziali delle dinamiche banca-cliente.
Si passano in rassegna, di seguito, i precedenti richiamati in commento:
INDEBITO BANCARIO: NULLA LA DOMANDA CHE RINVIA A RELAZIONE TECNICA SENZA L’INDICAZIONE DELLE SINGOLE RIMESSE
La banca è lesa nel diritto di difesa in quanto non può eccepire la prescrizione rispetto ad una domanda con contenuto generico
Tribunale di Napoli Nord, Giudice dott. Arminio Salvatore Rabuano, con sentenza n.107 del 13/01/2017
INDEBITO: NON È ONERE BANCA PROVARE NATURA SOLUTORIA RIMESSE DIMOSTRANDO CHE IL CONTO NON ERA AFFIDATO
Ove manchi la prova del fido le rimesse si intendono solutorie
Corte d’Appello di Milano, Pres. Santuosso – Rel. Bonaretti con la sentenza n.3776 del 30/08/2017
INDEBITO: AMMISSIBILE L’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE SENZA INDICAZIONE DELLE SINGOLE RIMESSE SOLUTORIE
La mancata individuazione non è causa di invalidità ove voci non siano specificamente indicate dall’attore
Corte d’Appello di Milano, Pres. Santuosso – Rel.Bonaretti con la sentenza n.1752 del 25/04/2017
RIPETIZIONE INDEBITO: L’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE FORMULATA DALLA BANCA È AMMISSIBILE ANCHE SE GENERICA
L’ISTITUTO DI CREDITO NON HA L’ONERE DI INDICARE LE SINGOLE RIMESSE PRESCRITTE
Ordinanza | Cassazione Civile, sez. sesta, Pres.Ragonesi,- Rel. Bisogni | 30.01.2017 | n.2308
INDEBITO: SE IL CLIENTE NON PROVA L’AFFIDAMENTO LE RIMESSE SI INTENDONO SOLUTORIE
LA PRESCRIZIONE DECENNALE DECORRE DAL SINGOLO VERSAMENTO
Sentenza | Tribunale di Bari, dott. Savino Gambatesa | 21.05.2015 | n.2353
RIPETIZIONE INDEBITO: IN MANCANZA DELLA PROVA DELL’AFFIDAMENTO LE RIMESSE SI PRESUMONO SOLUTORIE
Il termine di prescrizione decennale decorre dalla data del versamento
Sentenza | Tribunale di Torino, dott.ssa Maurizia Giusta | 24.11.2014 |
NOTE:
(*) L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'”accipiens”. Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 02/12/2010, n. 24418
(**) Il mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia (c.d. “overruling”), il quale porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, opera – laddove il significato che essa esibisce non trovi origine nelle dinamiche evolutive interne al sistema ordinamentale – come interpretazione correttiva che si salda alla relativa disposizione di legge processuale “ora per allora”, nel senso di rendere irrituale l’atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base all’orientamento precedente. Infatti, il precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) impedisce di attribuire all’interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto, sicché essa, nella sua dimensione dichiarativa, non può rappresentare la “lex temporis acti”, ossia il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con l’affermarsi dell’esegesi del giudice. Tuttavia, ove l'”overruling” si connoti del carattere dell’imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante “ex post” non conforme alla corretta regola del processo) e l’effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che – in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111 Cost.), volto a tutelare l’effettività dei mezzi di azione e difesa anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito – deve escludersi l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall'”overruling” nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell’arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo. Ne consegue ulteriormente che, in siffatta evenienza, lo strumento processuale tramite il quale realizzare la tutela della parte va modulato in correlazione alla peculiarità delle situazioni processuali interessate dall'”overruling”. (Fattispecie relativa a mutamento di giurisprudenza della Corte di cassazione in ordine al termine di impugnazione delle sentenze del TSAP; nella specie, la tutela dell’affidamento incolpevole della parte, che aveva proposto il ricorso per cassazione in base alla regola processuale espressa dal pregresso e consolidato orientamento giurisprudenziale successivamente mutato, si è realizzata nel ritenere non operante la decadenza per mancata osservanza del termine per impugnare e, dunque, tempestivamente proposto il ricorso stesso).
Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 11/07/2011, n. 15144
(***) Nel caso di specie, era stato poi il consulente tecnico d’ufficio, nel corso del giudizio di merito, ad individuare le rimesse, distinguendo quelle solutorie da quelle ripristinatorie.
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