ISSN 2385-1376
Testo massima
Se il conto si è chiuso in passivo con passaggio a sofferenza, a fronte di prelevamenti e versamenti, il cliente che agisce in ripetizione ha l’onere di provare sia la sussistenza e l’entità dei versamenti, sia che gli stessi assumano funzione solutoria e non meramente ripristinatoria della provvista.
Questo il principio affermato dal Tribunale di Treviso, dr. Casciarri, con la sentenza del 30 novembre 2013.
Nel caso in esame, l’attore introduceva il giudizio chiedendo alla banca la restituzione di somme a titolo di ripetizione di indebito, per illegittimo anatocismo, interessi ultralegali non pattuiti e usurai, spese non dovute, riferibili a un indicato conto corrente. Ai fini della quantificazione della pretesa, l’attore si avvaleva di una consulenza allegata alla domanda introduttiva.
Resisteva la banca, eccependo da principio la nullità dell’atto di citazione ai sensi degli artt. 163 nn. 3 e 4 e 164 c.p.c., rilevando come la domanda attorea risultasse indeterminata non contenendo l’indicazione specifica delle somme in contestazione e delle rimesse a contenuto solutorio.
Accolta dal Giudice l’eccezione e dichiarata la nullità della citazione con ordinanza, l’attore entro il termine perentorio assegnato per l’integrazione della domanda depositava memoria integrativa, avverso la quale la banca ribadiva l’eccezione di indeterminatezza, non risultando l’integrazione soddisfare i requisiti di cui sopra ritenuti comunque mancanti .
Il Tribunale di Treviso, nel dichiarare la nullità della citazione, ha ritenuto non sufficiente, in caso di domanda di ripetizione di somme, un generico riferimento al conto corrente o ai risultati di una consulenza allegata, dal momento che “se il conto si è chiuso in passivo con passaggio a sofferenza, a fronte di prelevamenti e versamenti, il cliente che agisce in ripetizione ha l’onere di provare sia la sussistenza ed entità dei versamenti, sia che gli stessi assumono funzione solutoria e non meramente ripristinatoria della provvista”. È dunque onere dell’attore si precisa nel provvedimento in commento – indicare il dies a quo della pretesa, specificare se il saldo si sia chiuso a saldo ‘zero’ o in attivo (condizione per poter affermare che tutti gli addebiti sono stati pagati) e, in difetto, individuare i versamenti con funzione solutoria.
Quando dunque neppure gli esiti della consulenza di parte chiariscano tali requisiti, la domanda non può che risultare indeterminata e pregiudizievole per il convenuto, il cui diritto di difesa viene leso dalla difficoltà di individuare esattamente “quanto l’attore richiede” e “le ragioni per cui lo fa” (in tal senso Cass. 22.04.2008, n. 10361).
La sentenza in esame si ispira, evidentemente, alla nota decisione delle SS.UU. 2.12.2010 n. 24418, ove – tra l’altro – si chiarisce che il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito ha ragion d’essere se tale pagamento sia stato provato e sia individuabile. Secondo la Corte, infatti, non v’è dubbio che “il pagamento, per dar vita ad un’eventuale pretesa restitutoria di chi assume di averlo indebitamente effettuato, debba essersi tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (l’accipiens); lo sì può pertanto dire indebito – e perciò ne consegue il diritto di ripeterlo, a norma dell’art. 2033 c.c. – quando difetti di una idonea causa giustificativa”.
Laddove la domanda attorea risulti genericamente argomentativa e sganciata dalle annotazioni del conto, tale limite impedisce di per sé non solo la possibilità di esaminare da subito eventuali profili di prescrizione delle pretese, ma preclude anche una ulteriore valutazione e cioè se la singola rimessa sia oggetto di pretesa ripetizione in tutto o solo in parte, vale a dire costituisca pagamento nel suo intero oppure solo per una sua frazione. Pensiamo magari a quei “pagamenti”, nell’ottica delle Sezioni Unite, che intervengono non solo su interessi, ma pro quota anche su spese e su capitale.
Vero è che simile impostazione evoca note questioni in materia di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente ampiamente trattate, con alterni esiti, dalla passata giurisprudenza, che, seppur con vari profili di ‘tolleranza’, poteva dirsi comunque orientata a sancire un determinato livello di individuazione delle rimesse solutorie, se non altro in ragione del periodo preso in esame o comunque adeguatamente evidenziate negli estratti conto prodotti in causa (es: Cass. 3.8.2007 n. 17049; Cass. 31.3.2006 n. 7667).
Per approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
INDEBITO: SE IL CLIENTE NON PROVA L’AFFIDAMENTO LE RIMESSE SI INTENDONO SOLUTORIE
LA PRESCRIZIONE DECENNALE DECORRE DAL SINGOLO VERSAMENTO
ANATOCISMO E INTERESSI. L’IRRIPETIBILITA’ DELLE RIMESSE “RIPRISTINATORIE”: PROBLEMATICHE APPLICATIVE
INDEBITO BANCARIO: L’ONERE DI PROVARE L’EFFETTUAZIONE DI RIMESSE SOLUTORIE GRAVA SUL CORRENTISTA ATTORE
SPETTA ALL’ATTORE CORRENTISTA L’ONERE DI ALLEGARE E DI PROVARE GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’AZIONE PROMOSSA DEL DIRITTO FATTO VALERE
RIPETIZIONE INDEBITO: SE IL CONTO CORRENTE È A DEBITO LE RIMESSE HANNO NATURA SOLUTORIA
LA PRESCRIZIONE DELL’AZIONE DECORRE DALLA DATA DELLE SINGOLE OPERAZIONI
RIPETIZIONE INDEBITO: IN MANCANZA DELLA PROVA DELL’AFFIDAMENTO LE RIMESSE SI PRESUMONO SOLUTORIE
IL TERMINE DI PRESCRIZIONE DECENNALE DECORRE DALLA DATA DEL VERSAMENTO
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 277/2014