ISSN 2385-1376
Testo massima
Nelle azioni di ripetizione di indebito, l’onere della prova grava anzitutto sul correntista-attore in ripetizione, non potendo essere supplito dall’esperimento di una CTU, da intendersi in tal caso meramente esplorativa e, dunque, inammissibile.
Grava, in particolare, sul cliente l’onere di produrre il c.d. estratto conto zero, senza che possa farsi applicazione del principio di “vicinanza della prova”, elaborato dalla giurisprudenza con riferimento al diverso caso in cui attore è l’istituto di credito.
Esprimendo tali principi di diritto, il Tribunale di Pesaro, in persona della Dott.ssa Carla Fazzini, con sentenza n. 775 del 8 ottobre 2015, ha rigettato in toto l’azione di ripetizione promossa da un correntista in danno dell’istituto di credito, risolvendo un problema “classico” del contenzioso bancario, in maniera conforme ai generali criteri di ripartizione dell’onere della prova.
Nel caso di specie, il correntista aveva convenuto in giudizio la banca con la quale intratteneva un rapporto di conto corrente, chiedendo al giudice l’accertamento della nullità della commissione di massimo scoperto, contestualmente all’accertamento del superamento dei tassi soglia usurari, senza produrre gli estratti conto e formulando richiesta di CTU al fine di procedere anche eventualmente all’acquisizione della documentazione bancaria.
Secca la risposta del Giudicante:
“Nella fattispecie attore è il correntista; la citazione ha contenuto generico; sono stati prodotti solo alcuni estratti conto, richiedendo la parte attrice la nomina di un consulente che ‘eventualmente chiedendo alle parti opportuna integrazione’ della documentazione prodotta, determini ‘se nel corso del rapporto l’istituto bancario abbia superato…i limiti fissati dalla legge 108/1996″.
È evidente come, in casi del genere, la consulenza sia da ritenersi meramente esplorativa (tanto era stato già stabilito dal Tribunale con l’ordinanza che aveva rigettato le istanze istruttorie), tenuto conto che, in base al principio dell’onere della prova, la mancanza della documentazione necessaria per l’espletamento della consulenza ricade sulla parte attrice, non essendo possibile integrare attraverso una consulenza la documentazione non prodotta nei termini di decadenza.
Va peraltro sottolineato che, nel giudizio de quo, parte attrice, non solo non aveva prodotto tutti i documenti necessari, ma peraltro non aveva mai negato di aver regolarmente ricevuto gli estratti conto, né li aveva richiesti prima del giudizio alla banca come era suo diritto.
Per tale ragione, il Tribunale non ha potuto che prendere atto della necessità di applicare rigidamente il principio cardine in tema di ripartizione dell’onere della prova, cristallizzato nell’art. 2697 ccc, per il quale grava sull’attore la prova a fondamento della sua domanda, senza che possano far eccezione le azioni di ripetizione di somme addebitate in conto corrente (ex multis Tribunale di Milano del 24 settembre 2013, Tribunale di Rimini del 28 ottobre 2014, Tribunale di Firenze del 14 ottobre 2014, ordinanze del Tribunale di Genova del 23 luglio 2014 e 10 giugno 2014).
In tale ottica, il Giudice marchigiano ha richiamato un importante precedente conforme degli Ermellini, per il quale: “L’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, in tal caso la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo. Ne segue che la banca deve dimostrare l’entità del proprio credito mediante la produzione degli estratti conto a partire dall’apertura del conto, e ove ne manchi la completa documentazione, a partire dal c.d. saldo zero e del pari il correntista, pur agendo per l’accertamento negativo, dovrà fornire la prova della fondatezza della propria domanda, producendo l’estratto conto zero, tanto più ove si tenga conto che tale estratto conto, inviato per legge ai correntisti, fa sì che gli stessi si trovino in posizione paritaria rispetto alla banca sotto il profilo della possibilità di produrre il documento” (Cassazione civile, sezione prima, 7 maggio 2015, n. 9201).
Per tali ragioni, il Tribunale ha respinto la domanda del correntista, compensando le spese di lite.
IL COMMENTO
La decisione conferma un orientamento che sta divenendo assolutamente maggioritario in giurisprudenza, ribadendo il principio della “parità di armi processuali“, a scapito di quel criterio di “vicinanza della prova” che alcuni Tribunali hanno applicato in maniera acritica, senza porsi il problema del rispetto dell’ordinaria ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 cc.
Nel solco della decisiva pronuncia n. 9201/2015 della Corte di Cassazione, il principio della “vicinanza della prova” viene correttamente confinato ai soli giudizi in cui sia la banca ad agire per l’accertamento (e la successiva condanna al pagamento) del proprio credito, non potendo viceversa trovare applicazione nelle azioni di ripetizione di indebito, dove la schiacciante previsione codicistica (art. 2697 cc) esclude che sia sempre l’istituto di credito ad essere gravato dall’onere di produrre tutta la documentazione contabile dei rapporti con il cliente.
Il principio richiamato, elaborato dalla giurisprudenza per quelle ipotesi in cui la prova non possa esser data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare viene invocato, come nel caso di perdita, mancanza o insufficienza di dati in un documento, ovvero nei casi in cui lo impongano i doveri di correttezza e buona fede nell’adempimento delle obbligazioni è, sotto il profilo processuale, espressione del principio costituzionale del “giusto processo” e dei doveri di lealtà e probità di cui all’art. 88 cpc e si esplicita nella regola per la quale l’onere probatorio viene posto a carico della parte “prossima” (dunque più “vicina”) alla fonte di prova.
Tuttavia, questo non può che costituire un “correttivo” in singole e peculiari vicende processuali, costituendo appunto una deroga al generale principio di cui all’art. 2697 cc, dal momento che una sua applicazione indiscriminata comporterebbe il verificarsi di un vero e proprio “paradosso” processuale.
Nel particolare ambito del contenzioso bancario, ancor prima della dirimente decisione della Suprema Corte, la regolamentazione dell’onere della prova era stata ben chiarita, ex multis, da una decisione del Tribunale di Arezzo (sez dist. Montevarchi, dott. Carlo Breggia. 30-05-2013 n.91 – http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/saldo-zero-regolamentazione-della-ripartizione-dell-onere-della-prova.html ), nella quale si precisava che nell’azione per la ripetizione dell’indebito proposta dal cliente di una banca, l’onere probatorio è sempre a carico dell’attore, in quanto la banca, in questo tipo di causa, non è attore né sotto l’aspetto processuale né sotto l’aspetto sostanziale, con la conseguenza che è la parte attrice (il cliente) a dover dimostrare l’esatto andamento del conto corrente, quando, come nel caso in esame, agisca per la restituzione delle somme che affermi essere state indebitamente percepite dall’istituto.
Ragionare in termini diversi, capovolgendo l’art. 2697 cc, significherebbe attribuire un “premio” e non una “sanzione” a chi a tale onere non ha adempiuto, pur avendone l’obbligo.
E d’altronde, in conclusione, la pronuncia qui in analisi non confligge neppure con il generale principio per il quale non può darsi prova dei “fatti negativi“, in quanto per richiamare ancora una volta le chiarissime parole della Suprema Corte “la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; [
] in tal caso la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo”.
Tra i tanti procedenti conformi pubblicati sulla Rivista si segnala:
CONTO CORRENTE: È ONERE DEL CORRENTISTA FORNIRE L’ESTRATTO CONTO ZERO
IL CLIENTE È TENUTO A CONSERVARE LA DOCUMENTAZIONE CONTABILE INVIATAGLI EX LEGE DALLA BANCA
Sentenza Cassazione civile, Sezione Prima, Pres. Rordorf Rel. Ragonesi 07-05-2015 n.9201
CTU: INAMMISSIBILE SE FINALIZZATA AD INDAGINE ESPLORATIVA SU FATTI NON PROVATI
NON PUÒ ESSERE DISPOSTA PER SOPPERIRE ALLE CARENZE PROBATORIE DELLE PARTI
Ordinanza Tribunale di Latina, dott. Raffaele Miele 12-01-2015
OPPOSIZIONE DECRETO INGIUNTIVO: LA CTU MERAMENTE ESPLORATIVA NON VA AMMESSA
L’OPPONENTE HA L’ONERE DI SOSTANZIARE L’OPPOSIZIONE CON L’INDICAZIONE DI CONCRETI ELEMENTI PROBATORI
Sentenza Tribunale di Ferrara, Giudice Unico Dott.ssa Caterina Arcani, 13-02-2014 n. 167
CTU: È ESPLORATIVA SE MANCA L’ALLEGAZIONE DEGLI ERRORI DELLA CONTABILIZZAZIONE DEL CONTO CORRENTE
E’ ONERE DELLA PARTE ATTRICE ALLEGARE E PROVARE I FATTI PRIMARI SU CUI BASARE L’ACCERTAMENTO
Ordinanza Tribunale di Pisa, dott. Fabrizio Nicoletti 30-01-2014
SALDO ZERO: REGOLAMENTAZIONE DELLA RIPARTIZIONE DELL’ONERE DELLA PROVA
NEL GIUDIZIO PER LA RIPETIZIONE DELL’INDEBITO L’ONERE DI PRODURRE TUTTI GLI ESTRATTI CONTO È A CARICO DEL CORRENTISTA
Sentenza Tribunale di Arezzo, sez dist. Montevarchi, dott. Carlo Breggia. 30-05-2013 n.91
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 519/2015