In tema di restituzione indebito non è possibile stabilire se un pagamento da parte del correntista vi sia stato, finché il rapporto relativo al conto corrente bancario, ontologicamente formato da poste di dare e avere, non sia stato chiuso, pertanto, ai fini della restituzione delle somme indebito è necessario dapprima dimostrare che un eventuale versamento da parte del correntista ha avuto funzione solutoria e non ripristinatoria della provvista messa a disposizione dalla banca con l’apertura del fido.
Ove in pendenza di apertura di credito il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, non può configurarsi alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato.
L’annotazione in conto di una posta di interessi (o di c.m.s.) illegittimamente addebitati dalla Banca al correntista non può considerarsi alla stregua di un pagamento, in quanto tratta di un incremento del debito dello stesso correntista, ovvero una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, per cui il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa, ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo.
Il rigetto della domanda di accertamento dell’indebito, travolge anche le domande cd. presupposte aventi ad oggetto la richiesta di accertamento della nullità di alcune clausole del contratto e di conseguente rideterminazione del saldo, atteso che l’esame di queste ultime e l’interesse ad esse sotteso non può essere isolato e non può prescindere dalla richiesta restitutoria, essendo la domanda di accertamento strumentale all’accoglimento della domanda di condanna.
Questi i principi espressi dalla Corte d’Appello di Potenza Pres. Nesti, Rel Iodice con la sentenza n. 130 del 10.03.2017.
Nella fattispecie in esame, un attore conveniva in giudizio una Banca, e malgrado avesse in corso un rapporto di conto corrente bancario, con affidamento per la scopertura, deduceva che in merito al suddetto rapporto, l’istituto di credito avesse applicato interessi trimestrali a debito e commissione di massimo scoperto non pattuita.
Nello specifico, parte attrice chiedeva la condanna dell’istituto per ingiustificato arricchimento, per somme illecitamente percepite.
Il Giudice di primo grado, all’esito di una contestata CTU, accoglieva parzialmente la domanda attorea, condannando, per l’effetto la Banca convenuta.
Avverso la suddetta pronuncia di prime cure proponeva appello l’istituto bancario, evidenziando, nello specifico, che il saldo del rapporto di c/c così come calcolato dal CTU, nel corso del giudizio di primo grado, non fosse un debito, costituendo, tuttavia, un credito della Banca oggetto di domanda di accertamento.
La Corte d’Appello di Potenza, ha accolto il ricorso e si è pronunciata in totale riforma della sentenza di primo grado.
In merito alla domanda di “restituzione di indebito”, la Corte, evidenziando che alla data della proposizione della domanda giudiziale, il rapporto bancario era ancora in corso, ha ritenuto non configurabile l’esistenza di eventuali pagamenti, specificando che ove in pendenza di apertura di credito il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, non può configurarsi alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla Banca il denaro in concreto utilizzato.
Il collegio, ha chiarito che per principio consolidato, non è possibile stabilire se un pagamento da parte del correntista vi sia stato, finché il rapporto relativo al conto corrente bancario, ontologicamente formato da poste di dare e avere, non sia stato chiuso; pertanto, ai fini della domanda di restituzione è necessario dapprima dimostrare che un eventuale versamento da parte del correntista ha avuto funzione solutoria e non ripristinatoria della provvista messa a disposizione dalla banca con l’apertura del fido.
A supporto di tale argomentazione, la Corte di Appello di Potenza ha altresì richiamato la pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite (n. 24418/2010) che, partendo dal presupposto che “è ripetibile la somma indebitamente pagata e non già il debito sostenuto come illegale”, e che l’indebito, in tanto può definirsi tale allorché difetti di una idonea causa giustificativa, ha operato la distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca, al fine di stabilire se e quando sia o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una pretesa restitutoria ad opera del solvens.
In conclusione, a parere della Corte, l’annotazione in conto di una posta di interessi (o di c.m.s.) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista non può considerarsi alla stregua di un pagamento, in quanto tratta di un incremento del debito dello stesso correntista, ovvero una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, per cui il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa, ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo.
In applicazione di tali principi, la Corte di Appello di Potenza accoglieva l’appello della Banca riformando in toto la sentenza del Tribunale di prime cure, condannando, altresì, i correntisti, soccombenti in secondo grado, al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rimanda ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
RIPETIZIONE INDEBITO: IL CLIENTE DEVE PROVARE LA FUNZIONE SOLUTORIA DEI VERSAMENTI
INSUFFICIENTE LA SOLA PRODUZIONE DEGLI SCALARI
Sentenza | Tribunale di Treviso, dott. Casciarri | 30.11.2014 | n.2430
L’ISTITUTO DI CREDITO NON HA L’ONERE DI INDICARE LE SINGOLE RIMESSE PRESCRITTE
Ordinanza | Cassazione Civile, sez. sesta, Pres.Ragonesi,- Rel. Bisogni | 30.01.2017 | n.2308
INDEBITO: SE IL CLIENTE NON PROVA L’AFFIDAMENTO LE RIMESSE SI INTENDONO SOLUTORIE
LA PRESCRIZIONE DECENNALE DECORRE DAL SINGOLO VERSAMENTO
Sentenza | Tribunale di Bari, dott. Savino Gambatesa | 21.05.2015 | n.2353
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