ISSN 2385-1376
Testo massima
In presenza di un conto affidato, ogni versamento intervenuto su conto con saldo passivo non ha effetto solutorio, ma meramente ripristinatorio della provvista della banca, in virtù del contratto di apertura di credito.
La ripetizione con consequenziale condanna alla restituzione può essere chiesta solo con riferimento a rimesse solutorie.
Questi i principi ribaditi dal Tribunale di Padova, dott.ssa Maria Antonia Maiolino, nella sentenza pronunciata il 31.07.2014, resa in un giudizio avente ad oggetto un’azione di ripetizione di asseriti pagamenti indebiti.
Nel caso di specie, un correntista citava in giudizio la banca, lamentando l’addebito di interessi anatocistici, spese fisse di chiusura conto non dovute, commissioni di massimo scoperto conteggiate su montante superiore al dovuto, nonché interessi superiori al tasso soglia ex legge 108/1996; chiedeva, pertanto, accertato il carattere indebito degli asseriti pagamenti, che la Banca convenuta fosse condannata alla ripetizione delle somme incassate.
Risultava pacifico che vertevasi di conto corrente affidato e che la causa era stata introdotta dal correntista in pendenza del rapporto.
Il Giudice ha respinto le domande attoree, sul presupposto dell’esclusione che vi fossero pagamenti (indebiti) da ripetere.
Il Tribunale ha, infatti, correttamente notato in ossequio all’orientamento giurisprudenziale dominante come debba necessariamente concludersi nel senso che ogni versamento intervenuto su conto affidato con saldo passivo non ha effetto solutorio, ma meramente ripristinatorio della provvista messa a disposizione dalla banca in virtù del contratto di apertura di credito: in pratica, quei versamenti non costituiscono pagamenti.
Il correntista avrebbe, pertanto, potuto chiedere la rideterminazione del saldo assistito da facilitazione creditizia, ma non la restituzione di pagamenti, ai sensi dell’art. 2033 c.c. che, in casi come quelli di specie, non vi sono stati.
La pronuncia è conforme, tra l’altro, all’orientamento delle Sezioni Unite (sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418) secondo cui “un versamento eseguito dal cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso dalla banca con l’apertura di credito non ha né lo scopo né l’effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento, non sarebbe scaduto né esigibile), bensì quello di riespandere la misura dell’affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista. Non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà d’indebitamento del correntista; e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin lì computati si traduce in un’indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto“.
Da ultimo è stato affermato (Cass. 798/2013), inoltre, che “l’annotazione in conto di una posta di interessi (o di c.m.s.) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria nei termini sopra indicati in favore della banca; con la conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa (allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli), ma non potrà agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto“.
Sul punto, per ulteriori approfondimenti, si rinvia alle seguenti pronunce, già oggetto di approfondimento su questa rivista.
ANATOCISMO: SOLO I VERSAMENTI SOLUTORI SONO DA CONSIDERARSI PAGAMENTI SUSCETTIBILI DI RIPETIZIONE
INDEBITO BANCARIO: L’ONERE DI PROVARE L’EFFETTUAZIONE DI RIMESSE SOLUTORIE GRAVA SUL CORRENTISTA ATTORE
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Numero Protocolo Interno : 615/2014