Un’azione di ripetizione di indebito con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, proposta dal cliente di una banca, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.
Contrariamente, una diversa finalizzazione dei singoli versamenti (o di alcuni di essi) deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste relative agli interessi passivi anatocistici.
Se durante il contenzioso la parte attrice contesti altresì l’applicazione di interessi usurari deve provvedere alla tempestiva produzione in giudizio dei decreti ministeriali rilevanti per la determinazione del TEGM, necessario per la determinazione del tasso soglia. In assenza di tale necessaria produzione, è inibito al giudicante l’accertamento (mediante consulenza tecnica contabile) della fondatezza o meno dell’eccezione di usurarietà. In particolare, infatti, la Corte di cassazione, a sezioni semplici e poi a sezioni unite, ha chiarito che trattandosi di atti amministrativi, non può riguardo ad essi trovare applicazione il principio iura novit curia (art. 113 primo comma c.p.c.), dovendo tale norma essere letta ed applicata con riferimento all’art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale contiene l’indicazione delle fonti del diritto, le quali, non comprendono gli atti suddetti con la conseguente inammissibilità delle censure basate sulla asserita violazione di tali decreti.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Castrovillari, Giudice Gaetano Laviola, con la sentenza n.225 del 14/03/2018.
Nella fattispecie in esame una Società conveniva in giudizio una Banca deducendo di aver intrattenuto con la medesima il rapporto di conto corrente, l’avvenuta applicazione di interessi anatocistici e usurari illeciti e la nullità per difetto di causa della commissione di massimo scoperto. Chiedeva, quindi, previa declaratoria di nullità delle clausole illecite, l’accertamento del rapporto dare/avere tra le parti.
La Banca, con la costituzione in giudizio ha eccepito, la prescrizione del diritto del correntista ad agire in ripetizione dell’indebito.
Il Tribunale ha respinto tale eccezione in virtù della natura ripristinatoria dei versamenti per la quale la prescrizione decennale decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.
In considerazione dell’onere gravante sulla Banca di dimostrare l’esistenza di versamenti aventi natura solutoria, e non ripristinatoria provando il limite degli affidamenti concessi e individuando i singoli versamenti oltre detti limiti, e come tale qualificabili come pagamenti e non come ripristino della provvista, nel caso in ispecie la parte convenuta non ha mai indicato e provato in concreto i singoli versamenti aventi funzione solutoria, limitandosi ad eccepire genericamente la prescrizione.
In merito alle doglianze mosse in relazione all’apertura di credito in conto corrente, il Giudice ha rilevato l’impossibilità di procedere all’esame dei profili di usurarietà dedotti stante l’omesso deposito da parte della correntista dei decreti ministeriali relativi ai periodi in cui sarebbe stato superato il tasso soglia e rilevanti per la determinazione del TEGM, necessario per la determinazione del tasso soglia. In assenza di tale necessaria produzione, è inibito al giudicante l’accertamento (mediante consulenza tecnica contabile) della fondatezza o meno dell’eccezione di usurarietà
Il Tribunale, infine, non ha ritenuto meritevole di accoglimento sia il motivo relativo all’applicazione di interessi anatocistici in virtù dell’entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000, con cui è stata stabilita la legittimità della capitalizzazione a condizione che la stessa fosse applicata con uguale periodicità dal lato attivo e dal lato passivo, come nel caso in ispecie e sia il motivo inerente la nullità della CMS per difetto di causa in quanto la previsione della CMS trova giustificazione nella funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione del correntista una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo.
Alla luce delle sue esposte considerazioni, il Tribunale rigettava la domanda con condanna al pagamento delle spese processuali.
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