ISSN 2385-1376
Testo massima
Si ringrazia l’Avv. Giorgio A. Marsano
del Foro di Lecce
per la segnalazione della sentenza
e per la redazione della massima
Nel caso in cui il correntista agisca in ripetizione, previo accertamento positivo del presunto credito da esso vantato nei confronti della Banca, è sull’attore che grava l’onere di dimostrare, ai sensi dell’art.2697 0.1 c.c., il fondamento della sua pretesa.
Nell’azione di ripetizione di indebito, l’inesistenza del credito della Banca deve qualificarsi non come fatto impeditivo della pretesa azionata dal correntista – il cui onere probatorio incomberebbe, allora sì, sul convenuto, ai sensi dell’art.2697, co. 2 c.c.-, ma piuttosto come fatto costitutivo della pretesa attorea- il cui onere grava, secondo la regola generale di cui all’art.2697, co.1 c.c., su chi fa valere in giudizio il diritto.
A fronte di una azione di ripetizione di indebito, in difetto di prova circa la provenienza del primo saldo debitore da clausole ed addebiti rispettivamente invalide ed illegittimi, il saldo iniziale da cui effettuare il ricalcalo dei rapporti dare avere tra le parti deve coincidere con quello effettivamente risultante dal primo estratto conto prodotto in atti. (Avv. Giorgio A. Marsano – © Riproduzione riservata)
Cosi si è espresso il Tribunale di Brindisi, dott.ssa Sara Foderaro, con sentenza del 13.01.2014, chiarendo i rapporti processuali tra correntista ed istituto di credito, in materia di ripartizione dell’onere probatorio.
La decisione è stata assunta a definizione di un’azione di ripetizione di indebito di somme illegittimamente corrisposte, per interessi praticati a tassi determinati con rinvio agli usi su piazza e capitalizzazione trimestrale degli stessi, proposta da una società correntista nei confronti dell’Istituto di credito.
Il Tribunale ha avuto, anche in questo caso, la possibilità di precisare ulteriormente i termini dell’onere probatorio incombente sulle parti in questo tipo di azione, ribadendo che, laddove il correntista agisca in ripetizione, previo accertamento positivo del presunto credito da esso vantato nei confronti della banca, è sull’attore che grava l’onere di dimostrare, ai sensi dell’art. 2697, co. 1 cc, il fondamento della sua pretesa e, dunque, tra l’altro, che il saldo negativo eventualmente risultante dal primo estratto conto disponibile derivi da condizioni contrattuali e addebiti, rispettivamente, invalide ed illegittimamente applicati dalla banca.
Nel caso in esame la parte attrice aveva prodotto gli estratti conto per un periodo limitato e, comunque, non dalla data dell’impianto del rapporto.
Va evidenziato che la questione in ordine alla produzione degli estratti conto ha assunto ancor più rilievo nel giudizio de quo, poiché il primo estratto conto disponibile agli atti riportava un saldo iniziale negativo e, cioè, a debito del correntista, di cui quest’ultimo, in mancanza di produzione degli estratti conto per il periodo precedente da parte della Banca, pretendeva fosse portato a zero nel ricalcolo affidato al CTU nominato.
Il Giudicante non ha ritenuto decisiva la argomentazione fondata sulla implicita continenza di una domanda di accertamento negativo del credito della banca in ogni domanda di ripetizione di indebito e tanto rilevando che nell’azione di ripetizione di indebito, l’inesistenza del credito della banca debba qualificarsi non come fatto impeditivo della pretesa azionata dal correntista – il cui onere probatorio incomberebbe, allora sì, sul convenuto, ai sensi dell’art. 2697, co. 2 cc, ma piuttosto quale fatto costitutivo della pretesa attorea- il cui onere grava, secondo la regola generale di cui all’art. 2697, co. 1 c.c., su chi fa valere in giudizio il diritto.
In virtù di tale principio che il Tribunale di Brindisi ha espressamente affermato che, in caso di ripetizione di indebito in materia bancaria, sul correntista grava in realtà l’onere non di provare fatti inesistenti, bensì di provare il fatto positivo degli addebiti illegittimamente a suo carico effettuati dalla banca, mediante la produzione di documenti – gli estratti conto – dotati di indiscutibile oggettività materiale.
E’ da tanto che discende, quindi, che il saldo iniziale non può essere modificato se il correntista non prova che lo stesso è stato determinato per effetto di illecite pratiche contrattuali dell’Istituto di credito.
Medesima questione è già stata trattata dalla presente rivista nel commento alla Sentenza del Tribunale di Arezzo, sez dist. Montevarchi, dott. Carlo Breggia del 30-05-2013 n. 91 con la quale è stata risolta allo stesso modo la questione in ordine all’onere probatorio incombente su ciascuna delle parti.
È da rilevare che anche la decisione del Tribunale di Arezzo, con la sentenza innanzi richiamata, è stata assunta in un caso di azione di ripetizione per indebito e, anche in tale giudizio, i documenti prodotti dall’attore riguardavano un periodo parziale dei rapporti in cui il primo saldo disponibile era a debito del correntista.
Il Tribunale non ha condiviso, anche in questo caso, la tesi difensiva dell’attore, volta ad ottenere la rideterminazione del saldo con l’azzeramento del saldo iniziale passivo, secondo cui l’onere probatorio debba ricadere sul creditore in senso sostanziale ossia sulla Banca e non sul creditore che agisce al solo fine di far dichiarare non dovuto quanto illegittimamente preteso dall’Istituto di credito.
Il Tribunale ha correttamente – e in modo specifico – motivato l’infondatezza della pretesa attorea, precisando che l’azione proposta non è qualificabile come accertamento negativo di una altrui pretesa coltivata anche in sede stragiudiziale, ma quale azione di restituzione di indebito oggettivo di somme che si assumerebbero pagate o trattenute illegittimamente, per cui l’onere non può che ricadere sul correntista che deve ricostruire per intero l’andamento del conto pena l’assoggettamento ai diversi dati risultanti dalle prove disponibili.
In ordine alla pretesa di sanzionare con il cd “saldo zero” la mancata produzione da parte della Banca degli estratti conto in quanto in possesso di quest’ultima, il Giudice, nella richiamata decisione, precisa ulteriormente che “porre a saldo zero lo stato del conto corrente a una certa data successiva al suo inizio, anziché, come risulterebbe dalla documentazione di causa, un saldo negativo, costituisce una manifesta violazione del principio che regola l’onere della prova, perché, appunto premia chi l’onere non ha adempiuto pur avendone l’obbligo e sanziona chi l’onere non era tenuto a rispettare: con il cd saldo zero si abbuona al cliente, in definitiva, un saldo sicuramente negativo a una certa data, senza avere la prova che fosse negativo per colpa di illecite pratiche contrattuali dell’istituto piuttosto che per colpa della condotta morosa del cliente, e senza neppure avere la possibilità di esperire accertamenti in proposito”.
In entrambe le decisioni in commento, poi, i Giudicanti hanno ritenuto impropriamente invocato il principio della vicinanza della prova per affermare un onere della Banca di produrre la documentazione in possesso della stessa.
Anche sotto tale profilo è corretta la statuizione ampiamente motivata, osservando che, pur a voler considerare che la Banca è contraente forte rispetto al correntista, tale circostanza non ha alcuna incidenza sull’accesso alla prova della parte che ha ricevuto o poteva pretendere gli estratti del conto corrente, per cui non può ritenersi eccessivamente difficile fornire la prova, specie nel caso in cui il correntista ha disperso i documenti ricevuti o si sia disinteressato ad averli.
Il principio di vicinanza della prova come affermato dai Giudice delle decisione in commento è stato elaborato in giurisprudenza per dare concreta attuazione dell’art. 24 della Costituzione, e lo stesso soccorre solo nel caso di difficoltà oggettiva nel dare la prova di un fatto mentre non può trovare applicazione laddove la difficoltà dipende da una condotta negligente della parte.
In conclusione, alla luce delle decisioni richiamate, la giurisprudenza è unanime e costante nel ritenere che in caso di azione di ripetizione di indebito, in difetto di prova circa la provenienza del primo saldo debitore da clausole ed addebiti rispettivamente invalide ed illegittimi, il saldo iniziale da cui effettuare il ricalcolo dei rapporti dare-avere tra le parti deve coincidere con quello effettivamente risultante dal primo estratto conto prodotto in atti.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI BRINDISI
SEZIONE DISTACCATA DI FASANO
in persona del giudice unico dott.ssa Sara Foderaro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
TIZIO
ATTORE
BANCA
CONVENUTA
avente ad oggetto: nullità contrattuale e ripetizione indebito
CONCLUSIONI: all’udienza del
parte attrice: “precisa le conclusioni riportandosi a quelle rassegnate negli scritti difensivi di parte attrice, con peculiare riferimento all’atto di citazione, alle memorie istruttorie ed alla comparsa di costituzione in prosecuzione di nuovo difensore del 7 luglio 2011; … si riporta ai motivi di impugnazione della CTU integrativa, depositata il 23.9.2012, già dedotti … alla odierna udienza”;
parte convenuta: “chiede … che il CTU sia richiamato a chiarimenti, Precisa le proprie conclusioni riportandosi a quelle della propria comparsa di costituzione e nei successivi scritti difensivi con … impugnativa della CTU”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Si omette lo svolgimento del processo ai sensi dell’art. 132, co. 2 n. 4 cpc, come modificato dall’art. 45, co. 17 legge n. 69/2009, applicabile ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore (4.7.2009) della L n. 69 eit,, ai sensi dell’art. 58 , co. 2 legge cit..
MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
Preliminarmente va precisato, in fatto, che tra la Banca e TIZIO è intercorso il contratto di conto corrente n. (M, acceso in data 30.8.1991 ed estinto il 23.11.2006 con un saldo a debito del correntista pari a (OMISSIS).
Nel corso del giudizio, parte attrice si è limitata a produrre i soli estratti conto relativi ai periodi dal 1.1.2003 al 31.03.2003 e dal 1.7.2003 al 31.12.2003. Parte convenuta ha prodotto, tra l’altro, il contratto di conto corrente stipulato in data 30.8.1991, le richieste di fido a firma del 26.8.1991, 23.11.1994, 15.05.1996 e 4.3.1997, nonché gli estratti conto dal 1.1.1995 (con saldo a debito del correntista di sino al termine del rapporto.
Orbene, premesso che la domanda spiegata da parte attrice in citazione era volta esclusivamente alla declaratoria di nullità “delle clausole relative all’anatocismo trimestrale ed al tasso di interesse praticato su piazza nonché, la nullità della pattuizione di interessi superiori al limite usurario”, dal materiale istruttorio complessivamente acquisito, opportunamente esaminato attraverso l’ausilio di apposita CTU, sì é potuto rilevare che il contratto di conto corrente rinvia all’uso piazza per la determinazione dei tassi d’interessi debitori e prevede la capitalizzazione trimestrale dei medesimi; che, nelle domande di fido sottoscritte dal è espressamente indicata la misura del tasso d’interesse debitore(rispettivamente del 20%, poi del 19%, quindi di nuovo del 20% ed infine del 18%); che la banca non ha mai applicato interessi superiori al tasso-soglia di cui alla 1, n. 108/96 e si è infine adeguata al disposto dell’art, 7 della delibera CICR del 9.2.2000.
Va poi rammentato che, a fronte della nullità delle clausole contrattuali e della illegittimità degli addebiti lamentate dal correntista a sostegno della propria domanda di ripetizione di indebito, la banca convenuta non ha sollevato alcuna eccezione di prescrizione né decadenza, non ha proposto domande riconvenzionali, e si è limitata a contestare nel merito le doglianze di parte attrice.
E’ evidente, pertanto, che il thema decidendum della presente controversia è circoscritto alle sole domande avanzate dall’attore in citazione, con esclusione di questione relativa a c.m.s., spese di tenuta conto e giorni valuta, tutte tardivamente e dunque inammissibilmente invocate da parte attrice soltanto nei successivi atti processuali.
2. Tanto premesso, e passando ad analizzare le censure attore; ritiene anzitutto questo Giudicante che non abbia pregio la doglianza relativa alla nullità della clausola contrattuale di determinazione del tasso d’interesse passivo mediante rinvio all’uso piazza.
Si è già precisato, infatti, che, benché il contratto di conto corrente del 30.8.1991 contempli proprio un tale rinvio all’uso piazza, pur tuttavia le domande di fido sottoscritte dal «TIZIO dal 26.8,1991 (dunque, in data anteriore finanche alla stipula del contratto di conto corrente), ed evidentemente accolte dalla banca, stabiliscono in modo chiaro la misura degli interessi passivi. Ne consegue che, nel caso di specie – senza che neppure venga in rilievo l’esercizio dello ius variandi a sfavore del correntista, pur previsto in favore della banca dall’art. 16 del contratto di conto corrente -, vanno senza dubbio applicati i tassi d’interesse convenzionali, salva in ogni caso l’applicazione da parte della banca di condizioni più favorevoli al cliente
In ordine al lamentato superamento del tasso-soglia, deve precisarsi che i tassi-soglia riportati da parte attrice in comparsa conclusionale (v. pag. 4) al fine di dimostrare la presunta intervenuta applicazione di interessi usurari ad opera della banca convenuta, non sono corretti.
Ed invero, il tasso-soglia cui va raffrontato ex art. 2, co. 4 I. n. 108/96 il tasso effettivo globale (T.E.G.) medio applicato di volta in volta dalla banca, non coincide sic et simpliciter con il tasso medio su base annua risultante nelle tabelle allegate ai decreti ministeriali di attuazione, ma è dato da detto tasso opportunamente aumentato secondo criteri normativamente predeterminati, come chiarito sia dall’art. 2, co. 4 cit., che dai singoli decreti ministeriali di attuazione.
Pertanto, considerato che il CTU ha correttamente determinato i tassi-soglia (ad es., per il 2 trimestre 1998, ha calcolato un tasso-soglia del 17,28% aumentando di 1/2 ex art. 2, co. 2 d.m. n. 327100/98 il tasso medio su base annua dell’ 11,52% riferito alle operazioni di apertura di credito in conto corrente; per il 30 trimestre 1998, ha analogamente calcolato un tasso-soglia del 16,89% a fronte di un tasso medio annuo del 26% e cosi via); e considerato altresì che, per espressa previsione dei decreti di attuazione, le commissioni di massimo scoperto non rientrano nel calcolo del T.E.G., comprensivo invece di altre commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo pretese dalla banca e spese (criteri, questi, che non risultano essere stati disattesi dal CTU); tutto ciò considerato, va escluso da un lato che sia necessaria una ulteriore integrazione peritale e, dall’altro, che la banca abbia mai superato il tasso-soglia ex lege n. 108/96.
Quanto poi alla capitalizzazione trimestrale dei soli interessi debitori, la giurisprudenza più autorevole è giunta da tempo alla conclusione della natura meramente negoziale del relativo uso, inidoneo come tale a derogare alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. (si veda, ex plurirnis, Casa. 21095/2004).
Orbene, espunta la capitalizzazione trimestrale dei soli interessi debitori, deve applicarsi, secondo la più recente giurisprudenza – qui pienamente condivisa – la cd. capitalizzazione semplice dei medesimi, non potendo fondarsi la eventuale capitalizzazione annuale degli interessi debitori né sull’art. 1284, co. 1 c.c. (che contempla esclusivamente il computo annuale degli interessi e non riguarda invece la loro capitalizzazione), né sulla estensibilità agli interessi debitori della periodicità di capitalizzazione prevista per gli interessi creditori (atteso che l’art. 7, co. I e 2 del contratto in esame, prevede espressamente la capitalizzazione annuale peri soli interessi creditori, per cui cfr. Casi. SS.U11. 24418/2010), né infine su un uso normativa o negoziale (il primo dei quali va escluso per mancanza della necessaria opinio iuris, analogamente a quanto più volte rilevato dalla giurisprudenza in punto di capitaliz7azione trimestrale, il secondo perché a sua volta inidoneo a derogare la nonna imperativa di cui all’art. 1283 c.c.).
Nel caso di specie, giacché la banca opposta ha dimostrato di essersi adeguata al disposto dell’art. 7 della delibera C1CR. del 9.2,2000 (v. relazione peritale depositata il 6.7.07), sul conto oggetto di causa va pertanto applicata sino al 30.6.2000 la capitalizzazione semplice degli interessi passivi, e per il periodo successivo la capitalizzazione trimestrale.
Va invece esclusa la capitalizzazione degli interessi debitori successivamente alla chiusura dei conti, stante il chiaro disposto dell’art. 2, co. 3 della delibera CICR cit.
Quanto poi agli ulteriori criteri seguiti dal CTU per il ricalcolo dei rapporti dare-avere tra le parti, è necessario a questo punto esaminare la questione del saldo a partire dal quale vanno sviluppati i conteggi.
Ebbene, ritiene l’odierno Giudicante – pur consapevolmente discostandosi dall’indirizzo giurisprudenziale oramai prevalente – che laddove, come nel caso di specie, il correntista agisca in ripetizione, previo accertamento positivo del presunto credito da esso vantato nei confronti della banca, è sull’attore che grava l’onere di dimostrare, ai sensi dell’art. 2697, co. 1 cc, il fondamento della sua pretesa e, dunque, tra l’altro, che il saldo negativo eventualmente risultante dal primo estratto conto disponibile derivi da condizioni contrattuali e addebiti, rispettivamente, invalide ed illegittimamente applicati dalla banca.
Ed invero, non paiono a questo Giudicante decisive né le argomentazioni in senso contrario fondate sul ed, principio di vicinanza della prova, né quelle relative alla implicita continenza di una domanda di accertamento negativo del credito della banca in ogni domanda di ripetizione di indebito.
Sotto il primo profilo, infatti, non può trascurarsi che ai sensi dell’art. 119, cc. 2 d. lgs. 385/93 – e, comunque, secondo le pattuizioni negoziali contenute usualmente nei contratti di conto corrente (v., nel caso di specie, l’art.8 del contratto del 30.08.1991) – il correntista è destinatario dell’invio di estratti conto periodici, conservando opportunamente i quali può senza dubbio assicurarsi la prova dì eventuali partite addebitate illegittimamente dalla banca.
D’altro canto, spostare invece a carico della banca l’onere di conservare e produrre in giudizio anche oltre il limite di cui agli arti. 119, ce. 4 d, 1gs. 385/93 e 2220, co. I c.c. – tutti gli estratti conto dall’inizio di ogni rapporto, in vista della eventuale domanda di ripetizione di indebito che ciascun correntista potrebbe in ipotesi avanzare, significa sostanzialmente onerarla della conservazione della documentazione relativa all’intera durata – anche ultradecennale – di tutti i rapporti in corso, nonché di tutti quei rapporti dalla cui estinzione non sia ancora decorso il termine decennale — eventualmente anche interrotto o sospeso – di cui all’art. 2946 c.c.. Un onere che sembra francamente eccessivo, nonostante il diffuso utilizzo di strumenti e metodi di archiviazione informatici.
Quanto poi all’argomento secondo il quale la domanda di ripetizione di indebito conterrebbe un’implicita domanda di accertamento negativo del credito vantato dalla banca, pare all’odierno Giudicante che, nell’azione di ripetizione di indebito, l’inesistenza del credito della banca debba qualificarsi non come fatto impeditivo della pretesa azionata dal correntista – il cui onere probatorio incomberebbe, allora sì, sul convenuto, ai sensi dell’art. 2697, co. 2 c.c, tua piuttosto quale fatto costitutivo della pretesa attorea- il cui onere grava, secondo la regola generale di cui all’art. 2697, co. 1 c.c., su chi fa valere in giudizio il diritto -. Si è affermato, infatti, in giurisprudenza che “poiché l’inesistenza della causa debendi è un elemento costitutivo (unitamente all’avvenuto pagamento e al collegamento causale) della domanda di indebito oggettivo, la relativa prova incombe sull’attore”(cfr. Cass. 5896/06).
In relazione poi alla paventata difficoltà di provare un fatto negativo, la giurisprudenza costante ritiene che “l’onere probatorio gravante, a norma dell’ari.2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetti fatti negativi, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario” (cfr. Cass. 12700/07), o anche “mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo” (cfr. Cass. 15162/08, Cass. 384/07, CaSS, 21831/05, Cass. 5427/02).
Peraltro, nel caso specifico della ripetizione di indebito in materia bancaria, sul correntista grava in realtà l’onere non di provare fatti inesistenti, bensì di provare il fatto positivo degli addebiti illegittimamente a suo carico effettuati dalla banca, mediante la produzione di documenti – gli estratti conto – dotati di indiscutibile oggettività materiale.
In conclusione, ritiene l’odierno Giudicante che, a fronte di una azione di ripetizione di indebito, in difetto di prova circa la provenienza del primo saldo debitore da clausole ed addebiti rispettivamente invalide ed illegittimi, il saldo iniziale da cui effettuare il ricalcolo dei rapporti dare-avere tra le parti deve coincidere con quello effettivamente risultante dal primo estratto conto prodotto in atti.
Infine, in ordine al criterio di imputazione dei pagamenti di cui all’art. 1194 c.c., ritiene l’odierno Giudicante che esso non sia applicabile al rapporto di conto corrente.
Ed invero, in tale rapporto, non è il correntista ad imputare gli eventuali versamenti con carattere solutorio al capitale o agli interessi, ma è la banca stessa – secondo quanto ordinariamente previsto dalle clausole contrattuali (si veda, nel caso di specie, l’art. 7, co. 2 del contratto del 30.08.1991) – ad imputare il relativo importo in conto capitale, provvedendo poi ad addebitare e capitalizzare gli interessi a carico del correntista solo al momento della chiusura periodica del conto; cosicché, in ogni momento del rapporto negoziale, il conto dare-avere tra le parti è individuato da un unico saldo – a debito o a credito dell’una o dell’altra parte e non da due diversi saldi, uno in conto capitale ed uno in conio interessi.
6. Tutto ciò considerato, ritiene l’odierno Giudicante che, esclusa l’utilizzabilità del ricalcolo operato dal CTU nella prima relazione peritale (perché falsato dalla capitalizzazione annuale degli interessi debitori), debba farsi riferimento alla relazione integrativa depositata il 29.9.2012, al cui saldo tuttavia andrà aggiunto a debito del correntista l’importo di 11245,20 per c.m.s. (si veda la relazione peritale depositata il 6.7.07, pag. 8), erroneamente espunto anche dal ricalcalo effettuato con la relazione peritale depositata il 29.9.2012 (v. pag. 6), pur in mancanza di una apposita e tempestiva domanda atto (si veda quanto già chiarito supra al punto 1).
In conclusione, il saldo a debito del correntista risulta pari ad E 19.872,26 (E 8.627 6 ÷ E 11.245,20).
Considerato che, in ragione del parziale accoglimento della domanda attorea, il saldo del conto corrente – rimasto comunque a debito del correntista – è stato tuttavia notevolmente ridotto, le spese di lite possono essere integralmente compensate.
Le spese della CTU vanno poste in via definitiva a carico di ciascuna parte in ragione della metà.
PQM
Il Tribunale dì Brindisi, Sezione Distaccata di Fasano, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da e contro Banca in persona del legale rapp.te p,t ogni diversa istanza disattesa, cosi provvede:
1 accoglie la domanda attorea nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, accerta, il credito vantato da Banca nei confronti di TIZIO in ;
2. compensa integralmente le spese di lite tra le parti;
3. pone definitivamente le spese di CTU a carico di ciascuna parte in ragione della metà.
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Numero Protocolo Interno : 45/2014