Il tema della crisi finanziaria degli Istituti di credito italiani è di grande attualità. Anzi, sta divenendo una costante, insieme alla paura ed all’incertezza che dilagano fra la clientela, senza alcuna distinzione tra il piccolo risparmiatore e l’esperto sottoscrittore di prodotti finanziari.
Tutto parte a gennaio di quest’anno, quando è entrata in vigore una nuova disciplina in tema di gestione delle crisi bancarie. L’origine è di stampo europeo: parliamo, difatti, della direttiva europea, la così detta direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), a cui il nostro legislatore ha voluto dare attuazione con due decreti legislativi approvati il 13 novembre scorso.
L’obiettivo principe è quello di limitare il sorgere di tali crisi ed assicurarne, ad ogni modo, una risoluzione rapida ed efficiente. Ma cosa si intende per risoluzione? Si tratta di un processo di ristrutturazione, che vuole evitare interruzioni nell’erogazione dei servizi essenziali bancari (si pensi, ad esempio, ai servizi di pagamento) e ripristinare le condizioni di sostenibilità economica: l’intento è quello di dare stabilità al sistema e scongiurare difformità a danno di tutti i mercati e dell’intero sistema economico, al fine di salvaguardare l’interesse pubblico.
Da un punto di vista preventivo, ogni istituto di credito deve adottare al suo interno un piano di azioni da intraprendere nel caso in cui sopraggiungano delle difficoltà tali da far ipotizzare un dissesto finanziario. Qualora esso non sia sufficiente, dovrà essere messo in atto quanto previsto dall’Autorità nazionale di risoluzione, che per l’Italia è la Banca d’Italia, la quale potrà nominare anche uno o più amministratori temporanei. E’ stata, tra l’altro, prevista, per l’istituto di credito in crisi, la possibilità di attingere alle risorse del Fondo di risoluzione nazionale, finanziato dalle banche presenti sul territorio nazionale.
Nel caso in cui la situazione non migliori, sarà necessaria l’adozione dei meccanismi di risoluzione: tra questi vi è il bail in (letteralmente, salvataggio interno), ossia la possibilità di richiedere l’intervento dei privati nel risanamento della crisi dell’ente. Esso si basa sul presupposto che chi possiede strumenti finanziari più rischiosi debba sostenere, prima di altri, le eventuali perdite o la conversione in azioni. In primis, vengono sacrificati gli interessi degli azionisti, riducendo od azzerando il valore delle loro azioni. Solo dopo aver esaurito le risorse della categoria più rischiosa si passa alla categoria successiva, proseguendo sugli altri creditori.
Per l’appunto, viene fissato un preciso ordine da rispettare: 1. azioni e strumenti di capitale; 2. titoli subordinati; 3. obbligazioni ed altre passività ammissibili; 4. depositi superiori a centomila euro; 5. il fondo di garanzia dei depositi, il quale interviene al posto dei depositanti protetti. Invece, tutti i depositi (ossia, conti correnti e libretti di deposito) fino a centomila euro sono tutelati e non possono mai essere assoggettati al predetto bail-in. Sono, altresì, salvaguardate: a. le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela (si pensi, ad esempio, al contenuto delle cassette di sicurezza) od in virtù di una relazione fiduciaria (come i titoli detenuti in un conto apposito); b. le passività interbancarie, ad esclusione dei rapporti infragruppo e con durata originaria inferiore a sette giorni; c. le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a sette giorni; d. i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali, a patto che siano privilegiati dalla normativa fallimentare; e. le passività garantite (come i covered bonds) ed altri strumenti garantiti.
Si noti, però, che, anche per la parte eccedente i centomila euro, i depositi ricevono un trattamento preferenziale: saranno presi in considerazione solo nel caso in cui il bail-in di tutti gli strumenti con un grado di protezione minore nella gerarchia fallimentare non fosse sufficiente a coprire le perdite ed a ripristinare il capitale. I depositi al dettaglio eccedenti i centomila euro possono, per di più, essere esclusi dal bail-in in via discrezionale, purché vi siano le condizioni previste.
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