ISSN 2385-1376
Testo massima
Si ringrazia per la segnalazione della sentenza l’Avv. Francesco Fiore del Foro di Avellino
Il contratto di apertura di credito con cui è stato erogato un prestito al terzo beneficiario non richiede la prova scritta ad substantiam se risulta regolato nel suo contenuto normativo dal contratto di conto corrente al quale accedeva, ben potendo la stipulazione del contratto di apertura di credito essere provata per facta concludentia. Pertanto, costituisce garanzia sufficiente per il cliente che il contenuto normativo del contratto di conto corrente sia redatto per iscritto.
Ove il correntista opponga in compensazione all’istituto di credito, che agisce in base ad un altro rapporto, le somme illegittimamente incassate da quest’ultimo a causa dell’applicazione d’interessi anatocistici o usurari incombe sul correntista, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di allegare i fatti posti a base della domanda ossia dimostrare l’esistenza di specifiche poste passive del conto corrente rispetto alle quali viene contestata l’applicazione di interessi illegali.
Ove il correntista deduca il pagamento di somme indebitamente versare sul conto corrente in ragione della nullità di determinate clausole contrattuali, incombe sullo stesso l’onere di produrre l’intera sequenza degli estratti conto al fine di ricostruire in maniera puntuale il rapporto tra le parti e verificare la concreta applicazione di interessi anatocistici o usurari.
In mancanza della produzione del contratto di conto corrente e degli estratti di conto relativi a tutto il rapporto contrattuale il saldo da cui partire per l’analisi contabile deve essere quello a debito risultante dal primo estratto conto disponibile e non il “saldo zero”, in quanto il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del cliente non può ricadere sulla banca.
Questi gli interessanti principi affermati dal Tribunale di Nola, in persona del dott. Fabio Maffei, con la pronuncia del 2 gennaio 2015.
Nel caso di specie, una banca agiva in giudizio per il recupero del credito risultante dal saldo a debito di conto corrente, al quale accedeva un’apertura di credito (nella specie, prestito d’uso d’oro). Il debitore, dal canto suo, contestava il mancato deposito del contratto di apertura di credito (e quindi la nullità per mancanza di forma scritta) e deduceva l’applicazione da parte dell’istituto di credito di interessi in misura ultralegale, anatocistici e/o usurari. Sosteneva, inoltre, di aver effettuato rimesse solutorie sul conto, mediante la sottoscrizione e la consegna di effetti cambiari alla banca. Delle somme illegittimamente addebitate, il cliente chiedeva in via riconvenzionale – la ripetizione, in compensazione con l’eventuale credito della banca.
Quanto alla prima contestazione, il debitore affermava che il contratto in questione (l’apertura di credito) avrebbe dovuto essere stipulato per iscritto a pena di nullità, così come previsto prima dall’art. 3 della legge 154/1992 e successivamente dall’art. 117 t.u.b. e che, a tal fine, alcun rilievo avrebbe avuto il deposito in originale del contratto di conto corrente, cui accedeva l’operazione di apertura di credito mediante la quale era stato erogato il prestito.
Il Tribunale ha, invece, rilevato conformandosi alla consolidata giurisprudenza di legittimità che il contratto di apertura di credito (di per sé) non richiede la forma scritta e può risultare anche da fatti concludenti (Cass., sez. I, 23 aprile 1996, n. 3842, m. 497239, Cass., sez. III, 9 marzo 1995, n. 2752, m. 491027).
Invero, nel caso di specie, l’apertura di credito era disciplinata dal contratto di conto corrente, stipulato per iscritto e depositato in originale, ragion per cui il Giudice ha ritenuto non necessaria per la banca la dimostrazione dell’avvenuta stipulazione per iscritto della detta operazione, costituendo sufficiente garanzia per il cliente la stipulazione per iscritto del contratto di conto corrente, cui il secondo accedeva sotto il profilo del contenuto normativo.
Dunque, a fronte dell’adempiuto onere probatorio da parte della banca, nulla aveva provato il debitore circa l’applicazione d’interessi anatocistici e/o usurari non avendo lo stesso depositato in giudizio la documentazione bancaria attestante l’affermata applicazione di interessi illegali. Né il cliente aveva depositato gli effetti cambiari asseritamente consegnati all’istituto al fine di restituire tutta o parte della somma ricevuta a prestito (peraltro così non dimostrando neppure l’adempimento dell’obbligazione cambiaria mediante il principio secondo cui il possesso del titolo cambiario da parte del debitore vale a stabilire una presunzione juris tantum di pagamento del titolo stesso).
Orbene afferma il Tribunale nel caso in cui il correntista agisca in giudizio per la ripetizione delle somme indebitamente versate alla banca a titolo di interessi anatocistici e/o usurari, ovvero opponga in compensazione alla banca le somme illegittimamente incassate da quest’ultima, in base ad altro rapporto (come nel caso di specie), incombe sullo stesso correntista l’onere di l’onere di allegare i fatti posti a base della domanda, ossia dimostrare l’esistenza di specifiche poste passive del conto corrente rispetto alle quali viene contestata l’applicazione di interessi illegali.
Ebbene, tale onere probatorio va assolto mediante la produzione del contratto di conto corrente, nonché degli estratti di conto relativi a tutto il rapporto contrattuale, atteso che solo la produzione dell’intera sequenza degli estratti conto consente di ricostruire in maniera precisa e puntuale il rapporto intercorso tra le parti e, quindi, di verificare la concreta applicazione di interessi illegali.
Ne consegue che in conformità alla consolidata giurisprudenza di merito qualora il correntista “non abbia prodotto l’intera sequenza degli estratti conto, il saldo da cui partire per l’analisi contabile deve essere quello a debito risultante dal primo estratto conto disponibile e non saldo zero; ciò in quanto il mancato assolvimento dell’onere della prova, in tale ipotesi, non può che ricadere su parte attrice (rectius, sul cliente, n.d.r.)“.
Peraltro, sul correntista grava in realtà l’onere, non già di provare fatti inesistenti, bensì di provare il fatto positivo degli addebiti illegittimamente effettuati dalla banca, mediante la produzione di documenti – gli estratti conto – dotati di indiscutibile oggettività materiale.
Altro Tribunale, in ordine alla pretesa di sanzionare con il cd “saldo zero” la mancata produzione da parte della Banca degli estratti conto, in quanto in possesso di quest’ultima, ha precisato che “porre a saldo zero lo stato del conto corrente a una certa data successiva al suo inizio, anziché, come risulterebbe dalla documentazione di causa, un saldo negativo, costituisce una manifesta violazione del principio che regola l’onere della prova, perché, appunto premia chi l’onere non ha adempiuto pur avendone l’obbligo e sanziona chi l’onere non era tenuto a rispettare: con il cd saldo zero si abbuona al cliente, in definitiva, un saldo sicuramente negativo a una certa data, senza avere la prova che fosse negativo per colpa di illecite pratiche contrattuali dell’istituto piuttosto che per colpa della condotta morosa del cliente, e senza neppure avere la possibilità di esperire accertamenti in proposito” (cfr. Tribunale di Arezzo, sez dist. Montevarchi, dott. Carlo Breggia del 30-05-2013 n. 91)
In conclusione, in difetto di prova circa la provenienza del primo saldo debitore da clausole ed addebiti rispettivamente invalide ed illegittimi, il saldo iniziale da cui effettuare il ricalcolo dei rapporti dare-avere tra le parti deve coincidere con quello effettivamente risultante dal primo estratto conto prodotto in atti.
È da notare che spesso il principio del c.d. “saldo zero”, sviluppato dalla giurisprudenza per contemperare la codicistica ripartizione dell’onere della prova con il criterio della “vicinanza” della prova, trova applicazione acritica, soprattutto in quelle pronunce che non distinguono la posizione processuale “formale” del cliente-convenuto dalla sua posizione “sostanziale”.
In altri termini, se appare equo applicare il saldo zero quando il cliente convenuto si limiti a richiedere sic et simpliciter il rigetto della domanda della banca (che risulti sfornita di prova), altrettanto non può dirsi nel caso in cui il cliente convenuto formuli domanda riconvenzionale, con la quale richieda la restituzione di somme a suo dire indebitamente addebitate. In tale ultimo caso, infatti, appare ragionevole ritornare all’applicazione pura e semplice dell’art.2697 cc (Onere della prova), non “mitigata” dal principio (più favorevole al cliente e di derivazione giurisprudenziale) della vicinanza della prova.
Tornando al decisum del giudice campano, le argomentazioni sopra analizzate hanno condotto all’accoglimento della domanda della banca ed al rigetto della riconvenzionale spiegata dal cliente, con condanna di quest’ultimo (e dei fideiussori) al pagamento spese processuali.
Per approfondimenti sul controverso tema del “saldo zero”, si segnalano i seguenti articoli:
SALDO ZERO: REGOLAMENTAZIONE DELLA RIPARTIZIONE DELL’ONERE DELLA PROVA
NEL GIUDIZIO PER LA RIPETIZIONE DELL’INDEBITO L’ONERE DI PRODURRE TUTTI GLI ESTRATTI CONTO È A CARICO DEL CORRENTISTA
RIPETIZIONE INDEBITO: NON SI APPLICA IL SALDO ZERO IN CASO DI OMESSA PRODUZIONE DEGLI ESTRATTI DALL’INIZIO DEL RAPPORTO
IL PRINCIPIO DELLA VICINANZA DELLA PROVA NON PUÒ INVERTIRE L’ONERE DELLA PROVA EX ART. 2697 CC
Testo del provvedimento
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