ISSN 2385-1376
Testo massima
È inammissibile il ricorso d’urgenza ex art. 700 cpc nel caso di illegittima segnalazione di un correntista presso la Centrale di Allarme Interbancaria (C.A.I.), essendo questa fattispecie soggetta al procedimento disciplinato dall’art. 152 D.lgs. 30.6.2003, n. 196 in materia di Protezione dati personali e, quanto alla tutela in forma cautelare, dall’art. 10, comma 4, D.lgs. 1.9.2011, n. 150.
Il Tribunale di Verona, con ordinanza del 14/01/2013 si è così pronunciato avverso la doglianza mossa dal correntista all’indirizzo della banca intermediaria per erronea e illegittima segnalazione a sofferenza del proprio nominativo in Centrale Rischi (CAI), in violazione del codice della privacy.
Costituitasi la banca resistente, deduceva l’eccezione pregiudiziale di rito di inammissibilità del rimedio cautelare atipico ex art. 700 cpc , stante la presenza di specifico rimedio tipico a presidio della fattispecie sub iudice.
Il Tribunale, in persona del Giudice Unico dott. Andrea Mirenda, richiamando l’insegnamento della Cassazione del 1.4.2009 n. 7958 (per il quale La Banca d’Italia è legittimata passiva in ordine all’azione proposta ex art. 152, D.Lgs. n. 196/2003, relativa al trattamento di dati personali effettuato dalla Centrale rischi, con riferimento sia alla domanda di rettifica o cancellazione dell’erronea segnalazione, sia alle conseguenze risarcitorie) ha affermato la riconducibilità della materia in esame alla disciplina della c.d. tutela della privacy.
L’art.7 comma 3, lett. d) del D.lgs. n. 196/2003 sui diritti dell’interessato, recita: “L’interessato ha diritto di ottenere […] la cancellazione [
] dei dati trattati in violazione di legge” ragion per cui nelle more di questa cancellazione, l’interessato può adire il Tribunale per una tutela in forma cautelare, ma non ai sensi dell’art.700 cpc, bensì in forza dell’art. 10, comma 4, D.lgs. n. 150/11 “Delle controversie in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali“.
Dalla presenza di tale rimedio cautelare tipico di cui al combinato disposto degli artt. 10 e 5 d.lgs. 150 cit., consegue l’inammissibilità del ricorso al procedimento d’urgenza “residuale” ex art. 700 cpc onde reagire a violazioni del codice della privacy e per l’effetto il rigetto del ricorso.
Testo del provvedimento
TRIBUNALE DI VERONA
SEZIONE QUARTA CIVILE
IL GIUDICE
Dott. Andrea Mirenda
sciogliendo la riserva che precede, sul ricorso d’urgenza proposto da E. C. s.r.l e da V. G., legale rappresentante della prima, contro il B. P. Soc. Cooperativa, onde ottenere – in via cautelare atipica – l’immediata cancellazione dell’iscrizione dei loro nominativi nell’archivio informatizzato della Centrale di Allarme Interbancaria ( C.A.I.), in ragione della lamentata illegittimità della segnalazione ;
osservato che il medesimo ricorso, respinto dal Tribunale di Napoli sulla duplice premessa dell’incompetenza per territorio del giudice adito e dell’applicabilità alla fattispecie della disciplina tipica di cui agli art.10 del d.lgs. 150/11 e 152 d.lgs 30.6.2003 n.196, viene qui riproposto nei medesimi termini giuridici e di fatto già esaminati dal giudice partenopeo;
che avverso detto ricorso la banca resistente, unico soggetto evocato in giudizio dai ricorrenti, ripropone, a sua volta, l’eccezione pregiudiziale di rito di inammissibilità del rimedio cautelare atipico ex art. 700 c.p.c. , stante la presenza di specifico rimedio tipico a presidio della fattispecie sub iudice; nel merito, la resitente eccepisce, poi, la carenza di legittimazione passiva (recte, l’infondatezza della domanda cautelare), essendo a suo dire riservato alla Banca d’Italia, effettiva ed esclusiva titolare del trattamento dei dati inseriti nella C.A.I., il potere di provvedere alla cancellazione richiesta;
richiamato, sui temi evidenziati, il nitido insegnamento di Cass. 1.4.2009 n. 7958 che, con soluzione innovativa e condivisibile, premessa la riconducibilità della materia in esame alla disciplina della c.d. tutela della privacy (così anche Trib. Bologna 3.5.2007 n. 1039, in guida al diritto 2007, 30, 47, solo massima), ha ritenuto:
a) la legittimazione passiva della Banca d’Italia nei giudizi ex art. 152 c. priv. , volti a far valere l’illegittima segnalazione in Centrale Rischi, sul duplice presupposto dell’assoggettamento dell’Istituto di Vigilanza alla disciplina cennata e dell’essere la Banca centrale parte necessaria del processo quale destinataria finale ed effettiva della sentenza (non meramente disapplicativa bensì ” demolitoria” poiché pronunciata “anche in deroga al divieto di cui all’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E“) di cui al comma 12 dell’art. cit. (in senso conforme, Trib. Venezia 17.7.2006, in Foro it. 2007, 10, 2894) ;
b) la conseguente facoltà di convenire in giudizio l’Istituto di Vigilanza ( contra App. Milano 20.9.2006, ibid, ancorchè in relazione a fattispecie soggetta alla precedente L. n. 675/96), a tutela dei diritti di cui all’art. 7 del c.d. codice della privacy, restando preclusa – ai sensi dell’art.8, comma 2, lett. d), d.lgs. 196/2003 cit. – la sola possibilità di agire in via amministrativa contro Bankitalia secondo le deformalizzate modalità di cui al primo comma dell’art. 8 cit., come pure di ricorrere alla “tutela alternativa” di cui alla Sezione III del codice priv.;
rilevato che la riqualificazione esposta, ciò è a dire la riconduzione della fattispecie in esame al rango di controversia in tema di beni tutelati dal d.lgs. n.196/2003, comporta – in rito – l’applicabilità dell’art.152 del codice della privacy e , di riflesso, della disciplina processuale para-lavoristica dell’art. 10 d.lgs 150/11;
osservato che il comma quarto dell’art. 10 cit. contempla, in via cautelare, che :
“l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall’art.5” del medesimo decreto legislativo;
che si pone, dunque, il problema di verificare, in ragione dell’eccezione della resistente:
a) se la previsione di cui al comma quarto abbia ad oggetto la sola ipotesi dell’impugnazione dei provvedimenti del Garante di cui al precedente comma terzo (come potrebbe ritenersi ove si volesse attribuirgli valenza ripetitivo della per il vero assai più complessa e specifica disciplina delle controversie avanti al Garante di cui agli abrogati commi 4, 5, 6, 7 dell’at. 152 cod. priv.), ovvero anche i provvedimenti lato sensu esecutivi resi in subiecta materia da altre autorità amministrative (e , per quanto qui rileva, da Bankitalia );
b) laddove si propenda per la soluzione estensiva, se la fattispecie in esame, avente ad oggetto la domanda di cancellazione dell’iscrizione del nominativo nell’archivio informatizzato C.A.I., possa integrare, in senso lato, una forma impugnatoria di provvedimento amministrativo per la quale l’ordinamento già appronta una misura cautelare tipica endoprocedimentale (dovendo essere proposta in senso al ricorso ex art. 10 legge cit.), per l’effetto dell’inammissibilità della tutela residuale atipica dell’art. 700 c.p.c. ;
ritiene questo Giudice che ad entrambi i quesiti vada data risposta unitaria e positiva.
La circostanza che l’art. 5 del d. lgs. 150/11 sia richiamato in un comma immediatamente successivo a quello disciplinante l’impugnazione dei provvedimenti del Garante pare a chi scrive – argomento debole per giustificare la cennata lettura restrittiva.
Invero:
i) va innanzitutto premesso come, da un punto di vista generale, la tutela cautelare costituisca oramai il “proprium” ineludibile di tutti i giudizi, tanto civili che amministrativi, in conformità ai consolidati ammonimenti costituzionali sulla necessità di garantire l’effettività della tutela giudiziale ( così, ad es., la sentenza n. 336 del 1998; n. 199 del 2003, n. 165 del 2000, n. 161 del 2000, n. 190 del 1985; nonché le ordinanze n. 179 del 2002 e n. 217 del 2000), così da rendere superflua la disciplina speciale cautelare riservata ai provvedimenti del Garante;
iii) data tale premessa, il legislatore, con la risistemazione “semplificatrice” del d.lgs 150/11, ha posto mano anche sulla materia cautelare, abbandonando sia l’equazione “una materia/un rito“, sia l’immediato corollario della specialità del rimedio cautelare quale riflesso della specialità del relativo procedimento, il tutto a favore del richiamato modello generale e paradigmatico di cui all’art. 5 cit.
iv) nel comma quarto dell’art. 10 d. lgs. 150/11, diversamente da quanto accadeva con la complessa disciplina di cui agli abrogati commi da 4 a 7 dell’art. 152 cit., non vi è più menzione del Garante. La norma, invero, si riferisce, puramente e semplicemente, al “provvedimento impugnato, con termine generale che ben si concilia con l’amplissima formula del successivo comma sesto, di cui si viene a dire ;
v) il comma sesto dell’art.10 d.lgs. 150/11, ancora una volta significativamente privo di riferimenti al Garante, si occupa – per parte sua – di descrivere gli effetti generali del giudizio in materia di c.d. privacy, precisando che la sentenza prescrive “le misure necessarie anche in deroga al divieto di cui all’art. 4 della legge 20.marzo 1865 , n. 2248, allegato E”, anche in relazione all’eventuale atto del soggetto pubblico titolare o responsabile dei dati”, senza restrizioni soggettive di sorta, in coerente applicazione dell’art. 5 del codice il cui raggio operativo si estende espressamente al “trattamento di dati personali , anche detenuti all’estero, effettuato da chiunque …omissis“;
vi) è ben vero che anche nell’abrogato comma 12 dell’art. 152 cpc era l’inciso di cui al citato comma sesto dell’art. 10 d.lgs 150/11 ma non vi è motivo di dubitare che esso, già allora, assicurasse alla sentenza resa su provvedimenti di autorità pubbliche diverse dal Garante l’efficacia demolitiva di cui al comma 12 cit.; ciò perché il comma primo dell’artt. 152 cod. priv. rendeva chiaro che quel procedimento regolava ” tutte le controversie che riguardano, comunque, l’applicazione delle disposizioni del presente codice, comprese quelle inerenti i provvedimenti del Garante. L’inclusività orizzontale della formula impiegata, ancor oggi immutata dopo la riforma del d.lgs. 150/11, non lascia, pertanto, spazio ad alcuna incertezza, senza contare poi che l’eventuale opinione favorevole alla mera disapplicazione dei provvedimenti resi da autorità diverse dal Garante (per quanto qui interessa, le iscrizioni in Centrale Rischi curate e gestite dalla Banca d’Italia) risulterebbe, oltretutto, irragionevole per lesione del parametro di cui all’art. 3 Cost. ed in contrasto, perciò, col principio dell’interpretazione (conservativa) costituzionalmente orientata delle norme di legge;
vii) consegue, sul piano sistematico, che il richiamo dell’ art.10, c.4, d. lgs 150/11 al modello cautelare unificato dell’art.5 d.lgs. 150/11 cit. (strumentale all’attitudine di tutti i provvedimenti lesivi della privacy, siano essi resi dal Garante ovvero da terze autorità amministrative, a soggiacere all’effetto demolitivo ricordato), vada inteso semplicemente come la ribadita volontà del legislatore di rimodulare unitariamente la tutela cautelare per “tutte” le controversie ex art. 5 d.lgs. 196/2003, conformemente alla ratio semplificatrice di cui all’art. 54 della Legge n. 69/2009 ;
ritenuto, così, che la presenza del rimedio tipico cautelare di cui al combinato disposto degli artt. 10 e 5 d.lgs. 150 cit., comporti l’inammissibilità del ricorso al procedimento d’urgenza “residuale” ex art. 700 c.p.c. onde reagire a violazioni del codice della privacy ;
rilevato, altresì, come nella fattispecie non sia possibile disporre il mutamento officioso di rito di cui all’art.4 d.lgs. cit., non già perché qui risulterebbe superato il limite di rilevabilità della “prima udienza” di cui al comma secondo della norma menzionata (limite, in realtà, estraneo all’ambito cautelare, dove non operano le rigide scansioni procedimentalizzate proprie del rito ordinario dato il deformalizzato case management riconosciuto al giudice dall’art. 696, sexies, primo comma, c.p.c.) quanto perché il mutamento di rito , per come disciplinato, presuppone comunque il (qui ovviamente assente, trattandosi di domanda cautelare ante causam) previo radicamento di una domanda a cognizione piena, ancorchè proposta con rito erroneo;
osservato poi, per la rilevanza generale del tema e per quanto si tratti di questione assorbita dal rilievo che precede, che la partecipazione al giudizio della Banca d’Italia, solo apparentemente predicata in via generale dalla sentenza di Cass. 1.4.2009 n.7958, impone di distinguere tra le ipotesi in cui il ricorrente muova doglianze all’indirizzo dell’Istituto di Vigilanza ovvero dell’intermediario ovvero di entrambi in solido, diversi essendo a parere dello scrivente – i riflessi processuali dell’una o dell’altra ipotesi formulata. Concentrando, per quanto qui rileva, l’attenzione sulla fattispecie giudiziaria più comune – ciò è a dire quella della doglianza mossa dal cliente all’ indirizzo della banca intermediaria per erronea o scorretta segnalazione a sofferenza del proprio nominativo in Centrale Rischi, in violazione del codice della privacy – si è dell’avviso che non vi sia ragione, ex art. 100 c.p.c, per evocare in giudizio “anche” la Banca d’Italia la quale, nella fattispecie, stando alla prospettazione dell’istante, avrebbe incolpevolmente operato quale mero gestore del Servizio Centralizzato dei Rischi Creditizi, in conformità alla delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio del 29.3.1994, in G.U. 20.4.1994 n. 91, e delle Istruzioni correlate, via via raccolte nelle Circolari dell’Istituto gestore . Opera, invero, nella fattispecie prospettata, in una col principio guida dell’interesse al bene della vita oggetto della domanda, il c.d. principio di causalità dell’azione in virtù del quale il creditore deve, di regola, rivolgere le proprie istanze nei confronti dell’autore (non in senso materiale bensì giuridico) della lesione lamentata, anche laddove la misura attuativa e/o ripristinatoria invocata sarà necessariamente attuata, essendovi giuridica certezza in tal senso, da un soggetto terzo (in genere un’articolazione della P.A. in senso lato) nella sua qualità di gestore di un servizio pubblico mirato ad assicurare la pienezza conoscitiva dell’effetto dichiarativo/costitutivo della decisione giudiziaria. Si pensi, ad es., alle controversie soggette a trascrizione ex art. 2652 c.civ. dove non vi è spazio per una legittimazione passiva e neppure per un litisconsorzio meramente processuale del Conservatore dei RR.II., attesa l’evidente carenza di un diretto interesse del Conservatore medesimo a contraddire.
ritenuto, da ultimo, che la complessità e novità della fattispecie esaminata giustifichi la compensazione delle spese di procedimento;
PQM
dichiara inammissibile il ricorso; spese compensate. Si comunichi
Il Giudice, dott. Andrea Mirenda
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Numero Protocolo Interno : 121/2013