ISSN 2385-1376
Testo massima
Ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto assertivo della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione d’iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto dimostrativo della dichiarazione stessa.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sezione Quinta, Pres. Piccininni Rel- Cirillo, con la sentenza n. 24784, depositata in data 04.12.2015.
Nel caso in esame, un contribuente, nei cui confronti venivano accertate attività fiscalmente non dichiarate di fisioterapista e mediatore, impugnava i relativi atti impositivi (IVA) innanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale, la cui decisione, favorevole al ricorrente, veniva poi riformata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. In particolare, quest’ultima rilevava che “la sentenza penale di proscioglimento dai reati fiscali ascritti al contribuente non possa avere efficacia determinante e vincolante nel processo tributario, essendo l’ottica del giudice penale e del giudice tributario completamente diverse“, accertando altresì l’adeguata motivazione degli atti impositivi e la piena validità delle cartelle esattoriali, emesse a seguito di accertamenti legittimi.
Avverso tale decisione, proponeva ricorso per cassazione il contribuente, assumendo che la CTR, accogliendo l’appello, “non avesse speso neppure una parola in merito alle ragioni che l’avrebbero indotta a disattendere le specifiche giustificazioni fornite dal contribuente in relazione ai singoli movimenti contestati“.
La Cassazione, nel motivare l’accoglimento del ricorso, ha preliminarmente rilevato la lacunosità della sentenza appellata, “perché si sofferma solo sulla ‘non rilevanza’ del proscioglimento penale del contribuente, mentre le difese di merito mirano, tra l’altro, a limitare significativamente l’ammontare degli assegni rimasti privi di giustificazione“.
Invero, dalla documentazione versata agli atti di causa, emergeva che le movimentazioni bancarie non giustificate dal contribuente, a fronte di un imponibile di oltre 436 milioni di vecchie lire, ammontavano a poco più di 26 milioni di vecchie lire. Sulla scorta di tale rilievo, il Collegio ha ritenuto che “il giudice d’appello, una volta negato che la sentenza penale di proscioglimento non spiega automatica efficacia dinanzi al giudice tributario, avrebbe dovuto procedere all’analitica ricostruzione delle movimentazioni bancarie, con la comparazione in dettaglio delle singole registrazioni di conto corrente contestate dal fisco e della documentazione giustificativa addotta a discarico dal contribuente e giungere, se del caso, alla riduzione dell’imponibile evaso per la corretta contabilizzazione dell’imposizione sul valore aggiunto e degli accessori consequenziali“.
Avendo la CTR omesso siffatte indagini, limitandosi ad affermare che “l’ufficio ha ripreso a tassazione i versamenti non giustificati (peraltro solo questi)“, la Cassazione ha ritenuto insufficiente la motivazione dell’impugnata sentenza, disponendo pertanto l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza ed il rinvio alla CTR del Lazio in diversa composizione.
Testo del provvedimento
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