ISSN 2385-1376
Testo massima
“L’acquirente di un bene che, convenuto in revocatoria dal fallimento del venditore L. Fall., ex art.67, comma 1, adduca la simulazione del prezzo, ha l’onere di provare, con un documento di data certa anteriore al fallimento, non solo il versamento del maggior prezzo dissimulato, ma anche il collegamento di tale versamento con il contratto revocabile.”
“Ove la prova documentale della simulazione relativa sia data non già da un solo documento, ma da una serie di documenti tra loro collegati, ciascuno di essi, secondo il proprio regime probatorio deve acquisire autonomamente carattere di certezza di data nella sua anteriorità al fallimento; tuttavia, la prova del maggior prezzo non può essere fornita attraverso il riferimento a titoli di credito, per loro natura astratti, ancorchè aventi data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, salvo sia dimostrato che il rilascio degli stessi, con funzione solutoria, sia ricollegabile al contratto oggetto di revocatoria, delle cui obbligazioni da parte dell’acquirente costituisca adempimento; tale collegamento ben può essere oggetto di prova logica, sulla base di elementi documentali in tal senso concludenti.”
E’ quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza del 25-09-2013 n. 21899, in un giudizio di revocatoria ex art. 67 lf I e II co.
In particolare, la curatela del fallimento aveva proposto azione revocatoria ex art. 67 lf I co ed in subordine ai sensi dell’art. 67 lf II co avverso l’atto di vendita stipulato dal fallito, unitamente al coniuge usufruttuario, al prezzo di 60 milioni di lire, sul presupposto che questo fosse di gran lunga inferiore al valore effettivo del compendio, attribuito dagli stessi coniugi nell’atto divisionale concluso lo stesso giorno avanti allo stesso notaio, e senza che fosse rimasta traccia del prezzo.
Il Fallimento aveva chiesto, altresì, l’inefficacia, del successivo trasferimento eseguito in favore di terzo soggetto, sia ai sensi dell’art 67 lf, che dell’art. 2901 cc, attesa la malafede del subacquirente ed, in subordine, la condanna solidale al pagamento del prezzo riscosso dalla vendita, per lire 230.000.000, oltre interessi e rivalutazione.
Si costituivano i primi acquirenti, eccependo di avere tacitato, in occasione della vendita, i creditori del fallito venditore, per ottenere il consenso alla cancellazione delle trascrizioni e formalità pregiudizievoli gravanti sull’immobile, e di aver, pertanto, corrisposto non il prezzo indicato nel contratto, ma la maggior somma di 270 milioni, a mezzo assegni circolari, consegnati in parte ai creditori, e in parte al legale dei venditori.
Si costituiva, altresì, il terzo sub acquirente, contestando la conoscenza dello stato di insolvenza del dante causa del proprio venditore.
Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda attorea, dichiarando l’inefficacia della vendita limitatamente alle quote in nuda proprietà trasferite dal fallito, rigettando nel resto le domande.
La curatela proponeva appello e gli appellati proponevano appello incidentale.
La Corte di appello accoglieva l’appello proposto dal Fallimento, ritenendo l’assenza di prova dei pagamenti assertivamente intervenuti in favore di soggetti diversi dal venditore considerato che gli assegni circolari, prodotti in copia e sforniti di data certa, non provavano né l’incasso né la specifica causale, né l’origine della provvista.
La Corte respingeva, inoltre, le impugnazioni incidentali.
In particolare, riteneva infondata la censura sulla asserita prova della inscientia, rilevando che i coniugi (primi acquirenti) nulla avessero provato a riguardo.
La Corte, respinta, poi, la censura del Fallimento di errata decisione sulla revocatoria della seconda vendita, in relazione alla mala fede del subacquirente, accoglieva la domanda subordinata della curatela di condanna del primo acquirente al pagamento della somma di giustizia, ancorata al prezzo corrisposto in occasione della prima vendita.
Su detta somma la Corte, inoltre, riconosceva la rivalutazione secondo gli indici Istat.
Avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso per Cassazione i coniugi, primi acquirenti, affermando, tra l’altro, la opponibilità alla curatela degli assegni, per essere muniti di data certa, con cui, al momento della prima compravendita, avevano versato, su incarico e d’intesa con il venditore, le somme ai creditori del fallito venditore.
La Corte ha respinto quasi totalmente i motivi di impugnazione, ed, in particolare, nel richiamare il principio già espresso da altre sentenze ( sentenza n. 17761/2012 ed in senso conforme, le precedenti 1759/2008, 4285/2005, 18202/03 e 8426/00), ha enunciato i seguenti principi:
“l’acquirente di un bene che, convenuto in revocatoria dal fallimento del venditore L. Fall., ex art.67, comma 1, adduca la simulazione del prezzo, ha l’onere di provare, con un documento di data certa anteriore al fallimento, non solo il versamento del maggior prezzo dissimulato, ma anche il collegamento di tale versamento con il contratto revocabile.”
“Ove la prova documentale della simulazione relativa sia data non già da un solo documento, ma da una serie di documenti tra loro collegati, ciascuno di essi, secondo il proprio regime probatorio deve acquisire autonomamente carattere di certezza di data nella sua anteriorità al fallimento; tuttavia, la prova del maggior prezzo non può essere fornita attraverso il riferimento a titoli di credito, per loro natura astratti, ancorchè aventi data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, salvo sia dimostrato che il rilascio degli stessi, con funzione solutoria, sia ricollegabile al contratto oggetto di revocatoria, delle cui obbligazioni da parte dell’acquirente costituisca adempimento; tale collegamento ben può essere oggetto di prova logica, sulla base di elementi documentali in tal senso concludenti.”
Sulla base di tali principi, la Corte ha ritenuto che nel caso di specie i ricorrenti non avessero fatto valere alcuna specifica argomentazione atta a sostenere la certezza della data degli assegni circolari prodotti in causa, ex art.2704 cc.
La Corte ha, pertanto, rigettato le censure in esame, accogliendo esclusivamente il quarto motivo di ricorso, disponendo che la rivalutazione degli interessi decorra dalla data della domanda giudiziale.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato – Presidente –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 15052/2010 proposto da:
P.S. (C.F. (OMISSIS)), M.A. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, , presso l’avvocato, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti
–
contro
FALLIMENTO I. E. DI G G, in persona del Curatore dott. D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’avvocato, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 691/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/07/2013 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott., che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
La Curatela del Fallimento I E di G G conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Venezia i coniugi P.S. e M.A., nonchè G.F., per sentire revocare ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1, e, in subordine, ai sensi dell’art. cit., comma 2, l’atto di vendita del 22/1/1996, per rogito del notaio S.C., Rep. n., con il quale il Ga., dichiarato fallito il (OMISSIS), assieme all’usufruttuaria parziale O.M., aveva venduto al P. l’immobile sito in (OMISSIS), Fg. 13 mappale 818, ed alla M. l’immobile confinante, di cui al Fg. 13, mappale 819, al prezzo di 60 milioni di lire per lotto, inferiore di gran lunga al valore del compendio attribuito dagli stessi coniugi Ga. nell’atto divisionale concluso lo stesso giorno avanti allo stesso notaio, e senza che fosse rimasta traccia del prezzo. Il Fallimento chiedeva altresì l’inefficacia del successivo trasferimento dalla M. al G., di cui al rogito del notaio B.P. del 28/4/99, Rep. n., avente ad oggetto l’edificio costruito sul lotto di cui al Fg 13 mapp. 819, sia ai sensi della L. Fall., art. 67, che dell’art. 2901 c.c., attesa la malafede del subacquirente; in subordine, chiedeva la condanna solidale di M. e G. al pagamento del prezzo riscosso dalla vendita, pari a lire 230 milioni, oltre interessi e rivalutazione.
I coniugi P. – M. si costituivano, ed eccepivano di avere tacitato, in occasione della vendita, i creditori del Ga., per ottenere il consenso alla cancellazione delle trascrizioni e formalità pregiudizievoli gravanti sull’immobile, e di avere pertanto corrisposto non il prezzo indicato nel contratto, ma la maggior somma di 270 milioni, a mezzo assegni circolari, consegnati in parte ai creditori, e in parte al legale del Ga..
Il G. si costituiva e contestava di essere stato al corrente dell’insolvenza del dante causa della M..
Il Tribunale dichiarava inefficace nei confronti della Curatela la vendita del 22 gennaio 1996, limitatamente alle quote dei 12/18 di piena proprietà e dei 6/18 della nuda proprietà trasferite dal fallito, rigettando nel resto le domande.
La Curatela proponeva appello principale; gli appellati si opponevano e proponevano appello incidentale.
I Coniugi P. e M. proponevano autonomo appello, nel quale si costituiva la Curatela, riproponendo in via di appello incidentale le proprie domande.
I due giudizi venivano riuniti.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 2 marzo – 21 aprile 2009, ha accolto per quanto di ragione l’appello del Fallimento nei confronti della M., ha respinto l’impugnazione nei confronti del G., nonchè gli appelli proposti da M. e P., e per l’effetto ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale del G.; in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato la M. al pagamento a favore del Fallimento di Euro 30.987,41, oltre rivalutazione ed interessi, a decorrere dal 28/4/99 sino alla data della pronuncia, oltre interessi legali sulla somma rivalutata sino al soddisfo; ha provveduto a regolare le spese tra le parti.
La Corte del merito, esaminando prioritariamente per ragioni di ordine logico l’appello proposto da P. e M., ha respinto tutte le censure, rilevando che l’assunto difensivo delle parti, che nel giudizio di secondo grado avevano negato la simulazione del prezzo, poggiava su argomentazioni contraddittorie, atteso che le somme dagli stessi appellanti indicate come pagate a parti diverse dal venditore, se non costituenti prezzo, erano del tutto irrilevanti verso il Fallimento; ove in ipotesi versate, in accordo col venditore, direttamente a tacitazione dei creditori di quest’ultimo, la questione era pur sempre irrilevante nei confronti del Fallimento, in mancanza di qualsivoglia controdichiarazione allo stesso opponibile.
Secondo la Corte del merito, non vi era la prova degli asseriti pagamenti, atteso che gli assegni circolari, prodotti in copia e sforniti di data certa, non provavano nè l’incasso nè la specifica causale, nè l’origine della provvista, da ciò conseguendo l’inammissibilità della prova testimoniale, alla luce del divieto di cui agli artt.1427 e 2722 cc, e così del ricorso a circostanze presuntive, risultando dunque infondate le doglianze sulla mancata ammissione della prova testimoniale e sulla richiesta di rimessione in termini, in ogni caso irrilevanti.
La Corte territoriale ha ritenuto infondata la censura sulla asserita prova della inscientia, rilevando che i coniugi P. – M. nulla avevano provato a riguardo, ed anzi le specifiche circostanze nelle quali era avvenuta la vendita, pochi giorni prima del fallimento ed alla presenza dei diversi creditori del Ga., nonchè la qualità del P. di professionista del settore immobiliare, erano tali da rendere “del tutto azzardata la difesa in esame”.
La Corte territoriale, respinta la censura del Fallimento, di errata decisione sulla revocatoria della vendita tra M. e G. in relazione alla prova della malafede di questi, ha accolto la domanda subordinata della Curatela, di condanna della M. al pagamento della somma di giustizia, in concreto ancorata al prezzo corrisposto in occasione della prima vendita, ritenendo trattarsi non di una domanda nuova, ma semplicemente di un minus rispetto all’importo specificamente richiesto e fondato sulla medesima causa petendi, benchè ancorato all’equivalente pecuniario della seconda compravendita, anzichè al minor valore indicato nell’atto d’appello, ragguagliato alla somma, certamente prudenziale, di Euro 30.987, 41.
Su detta somma, la Corte del merito ha riconosciuto la rivalutazione secondo gli indici Istat e gli interessi al tasso legale, dal giorno della vendita(28 aprile 1999), come richiesto, e sino alla data della pronuncia, salvi gli interessi legali dalla pronuncia al soddisfo.
Avverso detta pronuncia ricorrono P. e M., sulla base di quattro motivi.
Si difende con controricorso il Fallimento.
Motivi della decisione
1.1- Col PRIMO MOTIVO, i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art.67, comma 1, n. 1, artt.1417, 2722 e 2729 c.c., e degli artt.2704 e 2712 cc, art.2730 cc, art. 2724 cc, comma 1, n. 1, e art.2729 cc, comma 2.
I ricorrenti deducono che la Corte d’appello ha ritenuto la notevole sproporzione tra il prezzo di vendita ed il valore dell’immobile oggetto di causa, ma nello stesso atto di compravendita risultano le rinunce di B.A. e N.D. all’atto di citazione trascritto a carico del Ga., di Me.Co. e Bo.Ma.Ga. al sequestro conservativo trascritto contro il Ga., di Be.Li., nella qualità di legale rappresentante della Be Li C s.r.l., al pignoramento trascritto sempre contro il Ga.; dette rinunce sono avvenute in quanto i coniugi P. e M. hanno versato, contestualmente al rogito, su incarico e d’intesa col venditore, lire 120 milioni a Ba. e N., L. 80 milioni a Me. e Bo., L. 30 milioni al Be., nella qualità, a mezzo degli assegni circolari specificamente indicati, oltre ad ulteriori assegni circolari di L. 20 milioni ciascuno, emessi uno all’ordine di M.A., e l’altro all’ordine di P.S., debitamente girati e consegnati nelle mani del legale del Ga..
Secondo i ricorrenti, detti assegni sono opponibili alla Curatela, avendo data certa anteriore al fallimento, ed è innegabile il collegamento degli stessi con l’atto revocato, posto che prenditori degli assegni sono gli stessi soggetti che nell’atto di vendita hanno rinunciato alle trascrizioni pregiudizievoli; la stessa Curatela non ha contestato che contestualmente all’atto di divisione ed alla compravendita sono stati saldati, con i denari provenienti dalla compravendita, i creditori personali del Ga., atteso che ha promosso, debitamente autorizzata dal Giudice delegato, tre azioni revocatorie nei confronti dei creditori tacitati con le somme pagate da P. e M.. I ricorrenti sostengono che sono ammissibili i capi di prova per testi, intesi a provare i pagamenti effettuati a favore del G., per liberare l’immobile dalle trascrizioni pregiudizievoli, atteso il principio di prova per iscritto, rappresentato dagli assegni circolari e dalle dichiarazioni apposte dai prenditori degli stessi, dagli atti notarili, dall’istanza di autorizzazione al Giudice delegato, e dagli atti di citazione notificati dalla Curatela ai creditori del Ga., per ottenere la revoca dei pagamenti.
1.2.- Col SECONDO MOTIVO, i ricorrenti denunciano il vizio di omessa, insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo; i ricorrenti hanno sostenuto che Ga. si presentò a titolo personale, non come titolare dell’impresa, ma in giudizio non è stato ammesso il capitolo inteso a provare che alle trattative partecipò solo il P. anche per conto della M., che non ebbe occasione di incontrare il venditore prima della stipula dell’atto; da ciò, secondo i ricorrenti, dovrebbe conseguire la totale carenza del presupposto soggettivo della revocatoria, in quanto gli acquirenti, o almeno la M., non erano a conoscenza dello status di imprenditore del Ga..
I ricorrenti ritengono che, esclusa l’ipotesi di cui alla L. Fall., art.67, comma 1, n. 1, la prova della scientia decoctionis debba essere fornita dalla Curatela, e tale prova è mancata.
1.3.- Col TERZO MOTIVO, i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’art.345 cpc, attesa la novità della domanda svolta in subordine dal Fallimento in appello, non solo per diversità del quantum, ma in quanto concettualmente diversa dalla domanda di primo grado, di condanna della M. e del G. in solido.
1.4.- Col QUARTO MOTIVO, i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt.1224 e 1282 cc, per essere stata condannata M.A. al pagamento anche della rivalutazione monetaria, con decorrenza degli interessi e della rivalutazione dalla data dell’atto, e non già dalla data della domanda.
2.1.- Il primo motivo è infondato.
Deve in primis evidenziarsi che la Corte del merito, a pag. 11 della pronuncia, ha rilevato che i coniugi P. – M. avevano negato la simulazione del prezzo della prima vendita, per cui, secondo la stessa prospettazione delle parti, anche ove pagate le somme indicate ai creditori del venditore Ga., le stesse, non costituendo prezzo della vendita, non assumevano alcun rilievo, al fine di negare la sproporzione L. Fall., ex art.67, comma 1, n. 1;
la Corte ha anche osservato che, a ritenere dette somme versate, su accordo con il venditore, a tacitazione dei creditori, quindi come maggior prezzo, si doveva parimenti concludere per l’irrilevanza della deduzione, in mancanza di qualsivoglia controdichiarazione opponibile alla Curatela, terza in quanto agente in revocatoria.
La Corte d’appello ha evidenziato la carenza di prova degli asseriti pagamenti ai creditori del Ga., per essere gli assegni circolari, prodotti in atti in copia, privi di data certa, nè risultando l’avvenuto incasso degli stessi, nè la specifica causale nè l’origine della provvista.
Di contro al primo rilievo della Corte del merito come sopra riportato, gli odierni ricorrenti si sono limitati a dedurre di avere, all’atto della compravendita, a fronte della rinuncia alle trascrizioni pregiudizievoli, corrisposto ai creditori del Ga., su incarico e d’intesa con il venditore e nell’esclusivo interesse di questi, le somme indicate, con ciò volendo far valere il pagamento di un prezzo non pari a quanto versato nell’atto (120 milioni di lire), ma ben di 270 milioni, e quindi la simulazione relativa della vendita quanto al prezzo pagato, prospettazione che la Corte del merito ha, in prima battuta, ritenuto non fatta valere dagli appellanti.
Tale rilievo del Giudice del merito non è stato in alcun modo considerato nè censurato dagli odierni ricorrenti, da ciò conseguendo l’inammissibilità delle censure fatte valere nel motivo, stante che la prima argomentazione, non impugnata, impedirebbe comunque l’annullamento della pronuncia( in tal senso, le sentenze 22753/2011 e 3386/2011, tra le altre).
In ogni caso, ad esaminare partitamente le censure rivolte alla seconda valutazione fatta valere dalla Corte di merito, va rilevato che gli odierni ricorrenti hanno inteso far valere una serie di elementi, per sostenere di avere corrisposto la maggior somma di lire 270 milioni per l’acquisto dell’immobile di cui si tratta.
Si rende applicabile nel caso il principio espresso, tra le ultime, nella pronuncia 17761/2012 ( ed in senso conforme, le precedenti 1759/2008, 4285/2005, 18202/03 e 8426/00), secondo cui l’acquirente di un bene che, convenuto in revocatoria dal fallimento dal venditore L. Fall., ex art.67, comma 1, adduca la simulazione del prezzo, ha l’onere di provare, con un documento di data certa anteriore al fallimento, non solo il versamento del maggior prezzo dissimulato, ma anche il collegamento di tale versamento con il contratto revocabile;
ove la prova documentale della simulazione relativa sia data non già da un solo documento, ma da una serie di documenti tra loro collegati, ciascuno di essi, secondo il proprio regime probatorio deve acquisire autonomamente carattere di certezza di data nella sua anteriorità al fallimento; tuttavia, la prova del maggior prezzo non può essere fornita attraverso il riferimento a titoli di credito, per loro natura astratti, ancorchè aventi data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, salvo sia dimostrato che il rilascio degli stessi, con funzione solutoria, sia ricollegabile al contratto oggetto di revocatoria, delle cui obbligazioni da parte dell’acquirente costituisca adempimento; tale collegamento ben può essere oggetto di prova logica, sulla base di elementi documentali in tal senso concludenti.
Così individuato l’onere probatorio gravante sugli odierni ricorrenti, in funzione della prova della propria eccezione, si deve rilevare che, nel caso di specie, gli stessi non hanno fatto valere alcuna specifica argomentazione atta a sostenere la certezza della data degli assegni circolari prodotti in causa, ex art. 2704 cc;
che, quanto alla richiesta di prova per testimoni, anche a non ritenere la censura inammissibile per la mancata indicazione del contenuto dei capitoli, ritenendone comunque l’oggetto individuabile alla stregua del motivo esposto in ricorso (sul principio, le pronunce 5539/2004 e 26990/2005), la stessa non può ritenersi ammissibile ex art.2724 cc, n. 1, non sussistendo principio di prova per iscritto, atteso che gli assegni circolari di cui si parla non provengono dalla controparte: ed infatti, il documento che può costituire principio di prova per iscritto deve provenire dalla controparte e non dalla parte che chiede la prova o da un terzo (in tal senso, le pronunce 21442/2010, 8210/2006, 3869/2004); che, infine, le azioni revocatorie esperite dalla Curatela nei confronti dei creditori del Ga. nulla provano in relazione al collegamento dei detti pagamenti con il prezzo della vendita di cui si discute nel presente giudizio, come già ragionevolmente rilevato dalla Corte del merito.
2.2.- Il secondo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
Secondo i ricorrenti, il requisito soggettivo della revocatoria riguarderebbe la conoscenza, in capo a ciascun contraente, anche dello status di imprenditore commerciale della controparte;
dall’istruttoria è emerso che non vi era stato alcun contatto tra le parti, prima che il Ga., dicendo di essere proprietario di un terreno edificabile e di volerlo vendere, si presentasse all’agenzia immobiliare del P., e da tale circostanza dovrebbe ritenersi provata l’inscientia.
A riguardo, è agevole rilevare che, versandosi nel caso di revocatoria L. Fall., ex art.67, comma 1, n. 1, opera la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza del venditore poi fallito, per cui grava sugli acquirenti l’onere della prova della inscientia decoctionis, in relazione alla quale le circostanze dedotte dalla parte (anche in tesi la prima, oggetto di prova testimoniale non ammessa), non si palesano dotate del necessario requisito della decisività, in quanto inidonee a condurre, con giudizio di certezza e non probabilità, a conclusione diversa, da quella assunta dalla Corte d’appello.
Nel resto, le censure sono inammissibilmente rivolte nei confronti del diverso requisito soggettivo richiesto dalla L. Fall., art. 67, comma 2.
2.3.- Il terzo motivo è infondato.
La Corte del merito, nell’accogliere la domanda avanzata in subordine dal Fallimento in appello, non ha violato l’art.345 cpc, ma, nell’ambito dei poteri alla stessa spettanti quale Giudice del merito, ha interpretato la domanda, intesa a riproporre la richiesta di restituzione del bene, mediante l’acquisizione del somma correlata al minor prezzo versato, per cui il Fallimento si era limitato ad ancorare ad un parametro inferiore il controvalore del bene non acquisibile in natura.
2.4.- Il quarto motivo è fondato.
Premesso che i ricorrenti hanno inteso censurare la sola statuizione della sentenza della Corte d’appello attinente alla decorrenza dell’importo di cui alla condanna, e non già anche il riconoscimento della rivalutazione oltre agli interessi, come reso palese dalla valutazione complessiva dei due capoversi in cui è articolato il quesito( si veda, in particolare, il chiaro riferimento solo alla decorrenza degli accessori, contenuto nel secondo capoverso), va data continuità all’indirizzo espresso, tra le ultime, nella pronuncia 27084/2011 (che richiama, tra le altre, le pronunce SU 427/00, e 887/06, 4709/06), secondo cui nella revocatoria fallimentare l’atto è in origine valido, sopravvenendo l’inefficacia dello stesso solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda, che ha natura costitutiva, avendo ad oggetto l’esercizio di un diritto potestativo e non di un diritto di credito; ne consegue che anche gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla data della domanda giudiziale.
3.1.- Conclusivamente, respinti i primi tre motivi di ricorso, va accolto il quarto motivo,e decidendosi nel merito, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, ex art.384 cpc, comma 2, va disposto che la rivalutazione e gli interessi decorrano dalla data della domanda giudiziale, ferme tutte le ulteriori statuizioni di merito della sentenza impugnata.
Avuto riguardo all’esito finale della controversia e considerata la parziale soccombenza reciproca, si reputa di mantenere ferme le statuizioni sulle spese tra le parti del presente giudizio, come disposte dalla Corte del merito, e di compensare tra le stesse le spese del presente grado.
PQM
La Corte respinge i primi tre motivi di ricorso; accoglie il quarto, e, decidendo nel merito, dispone che la rivalutazione e gli interessi decorrano dalla data della domanda giudiziale, ferme nel resto le statuizioni rese dalla Corte d’appello, anche sulle spese processuali; compensa tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2013
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Numero Protocolo Interno : 570/2013