Al collegio sindacale non è affidato un controllo di merito sull’opportunità delle scelte di gestione degli amministratori, ma piuttosto l’obbligo di vigilare sull’adeguatezza delle strutture organizzative e dei sistemi di controllo interno e contabile e sull’affidabilità di quest’ultimo al fine di rappresentare adeguatamente i fatti gestionali.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Petitti, Rel. Tedesco, con la sentenza n. 300 del 9 gennaio 2019.
Nel caso di specie, TIZIO, componente del collegio sindacale della società quotata ALFA, è stato sanzionato dalla Consob per 90.000 euro, di cui: euro 63.000 per la violazione dell’art. 149, comma 1, lettere a), b) e c), D.Lgs n. 58/1998 (così detto TUF), con riferimento alla carenza di vigilanza nel sistema di controllo interno sull’operato degli amministratori nei rapporti con la società BETA; euro 27.000 per la violazione dell’art. 149, comma 1, lettere a) e b), TUF, con riferimento alle carenze nell’attività di vigilanza sul rispetto da parte di CAIO dei doveri previsti dall’art. 2391 c.c. (in relazione al fatto che l’amministratore ha partecipato alle riunioni degli organi sociali di Alfa, che hanno esaminato le relazioni con Beta senza che fosse resa l’informativa richiesta dal citato art. 2391 in merito ai rapporti intrattenuti con tale ultima società).
In proposito, è stato ricordato che è richiesto all’amministratore di dare notizia agli altri consiglieri ed al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata. Se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale; se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile. Ad ogni modo, la delibera del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione, pena la possibilità di impugnare la stessa entro 90 giorni. Per legge, l’amministratore risponde tanto dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione, quanto dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico.
TIZIO propone, dunque, appello alla Corte d’Appello di Milano, che rigetta l’opposizione. Segue il ricorso in cassazione, in cui egli denuncia, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 149 TUF e 2391 c.c., sostenendo che quest’ultimo sia applicabile esclusivamente per il caso di deliberazioni del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo (mentre la Corte d’Appello ne ha riconosciuto l’applicabilità a una riunione del comitato di controllo interno, che non ha funzioni deliberative e neppure istruttorie).
Secondo la Suprema Corte, al collegio sindacale non è affidato un controllo di merito sull’opportunità delle scelte di gestione degli amministratori, ma piuttosto “l’obbligo di vigilare sull’adeguatezza delle strutture organizzative e dei sistemi di controllo interno e contabile e sull’affidabilità di quest’ultimo al fine di rappresentare adeguatamente i fatti gestionali” (Cass. n. 5357/2018): “i sindaci devono utilizzare non soltanto le informazioni che gli amministratori forniscono loro, ma anche gli strumenti informativi ed i poteri di indagine attribuiti dall’art. 149 TUF, quali ad esempio il potere di ispezione e la richiesta di informazioni e chiarimenti. Il potere di controllo dei sindaci, infatti, non si esplica soltanto sulla base delle informazioni offerte dagli amministratori, ma anche attraverso i poteri di indagine ad essi attribuiti, con la conseguenza che il lamentato adempimento parziale dell’organo amministrativo non vale ad escludere la responsabilità dei sindaci (Cass. n. 6037/2016)”. Difatti, nella sentenza in oggetto si legge che rimprovero mosso dalla Consob ai sindaci non è di non avere autonomamente rilevato le irregolarità, ma di aver mantenuto un contegno di prolungata inerzia nonostante le irregolarità fossero già emerse e fossero state segnalate da altra funzione aziendale interna anni prima (nel caso di specie, dalla Funzione Audit).
Secondo gli Ermellini, “l’interpretazione dell’art. 2391 c.c. data dalla corte di merito è da condividere in tutte le sue implicazioni, che possono così compendiarsi:
- a) il dovere di trasparenza imposto dal primo comma dell’art. 2391 c.c., in quanto rivolto nei confronti degli “altri amministratori e del collegio sindacale”, prescinde dal ruolo ricoperto dall’amministratore nella organizzazione sociale e sussiste indipendentemente dall’organo competente a esaminare l’operazione;
- b) tale dovere non deve necessariamente correlarsi a una deliberazione del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo, perché le ipotesi previste nel secondo e nel terzo comma della norma hanno carattere eventuale e non incidono sul dovere di comunicazione imposto dal primo comma della norma;
- c) siffatto dovere prescinde inoltre dalla eventuale conoscibilità aliunde dalla notizia, giacché l’informazione richiesta deve essere specificamente data agli altri amministratori e al collegio sindacale in correlazione con l’operazione, senza che rilevi in questa sede stabilire se la notizia debba precedere la riunione o possa essere data nel corso della riunione”.
All’interno di questo condivisibile quadro interpretativo è del tutto pertinente il parallelo, operato dalla corte d’appello, con l’art. 2629-bis c.c.: la violazione degli obblighi previsti dall’art. 2391, comma primo, c.c. è previsto come reato, se dalla violazione discenda un danno per la società.
In proposito la giurisprudenza penale della Suprema Corte ritiene che “il danno arrecato alla società od a terzi è elemento costituivo della fattispecie e può consistere in qualsiasi pregiudizio, anche non strettamente patrimoniale” (Cass. pen. n. 29605/2014). Il riconoscimento del possibile carattere non patrimoniale del pregiudizio conferma l’assunto, implicitamente fatto proprio dalla sentenza impugnata, che le operazioni previste dal primo comma dell’art. 2391 c.c. in esame non sono solo quelle che costituiscono espressione del potere di gestione dell’impresa sociale; e quel riconoscimento conferma, di riflesso, che il dovere di trasparenza è configurabile anche per le riunioni delle articolazioni del consiglio di amministrazione investite di compiti di controllo, per i quali l’esigenza di trasparenza appare altrettanto rilevante, come giustamente evidenzia la difesa della Consob”.
La Corte di Cassazione ha rigettato dunque il ricorso, condannando TIZIO al pagamento delle spese del giudizio di legittimità oltre agli oneri accessori.
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