ISSN 2385-1376
Testo massima
L’estinzione della società determinata dalla sua cancellazione dal registro delle imprese non comporta di per sé il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla compagine sociale.
E’ difatti possibile che alcuni rapporti giuridici sopravvivano all’estinzione della società per cui i soci rispondono dei diritti e degli obblighi sopravvissuti alla cancellazione dal registro delle imprese.
In questo caso si verifica un fenomeno di tipo successorio che coinvolge i soci, rilevante non solo sotto il profilo del diritto sostanziale, ma anche sul piano processuale.
Dal punto di vista del diritto sostanziale, la successione può interessare sia i rapporti passivi sia i rapporti attivi. Con riferimento ai rapporti passivi, le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali sono tenuti a risponderne nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione della società ovvero illimitatamente, a seconda che essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali all’epoca in cui la società era ancora esistente. Per quanto concerne invece i rapporti attivi, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si trasferiscono anch’essi ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa. Non si trasferiscono invece ai soci né le mere pretese, ancorché azionate od azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o non ancora liquidi, in quanto la loro inclusione nel bilancio di liquidazione avrebbe richiesto l’espletamento di un’attività ulteriore giudiziale o stragiudiziale , la cui mancata esecuzione da parte del liquidatore consente di ritenere che la società via abbia rinunciato.
L’estinzione della società produce effetti rilevanti anche sul piano processuale.
La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società non consente difatti che la compagine sociale possa agire od essere convenuta in giudizio a partire dal momento in cui si verifica la sua estinzione.
E’ possibile che si verifichino le seguenti situazioni rilevanti sotto il profilo processuale:
1) L’estinzione della società cancellata dal registro delle imprese può essere avvenuta in pendenza di un giudizio nel quale la compagine sociale è parte processuale: in questo caso, si viene a determinare un evento interruttivo regolato dagli artt. 299 e seguenti cpc, donde la prosecuzione o la riassunzione del giudizio può essere solamente disposta da parte o nei confronti dei soci.
2) L’estinzione della società può, tuttavia, non essere stata dichiarata in pendenza del giudizio nei modi previsti dagli artt. 299 e seguenti cpc ovvero l’estinzione della società può essere avvenuta quando era oramai divenuto impossibile fare constare tale evento nel corso del giudizio: in questo caso, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei confronti della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta.
Sono questi i principi sanciti dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6070 del 12 marzo 2013.
Il caso vede la Corte d’Appello di Napoli condannare un’Amministrazione comunale al pagamento di una somma di denaro in favore di una società di persone, a titolo di corrispettivo per l’esecuzione di lavori pubblici. La sentenza della Corte d’Appello di Napoli è stata impugnata dall’Amministrazione comunale con ricorso per cassazione notificato ai legali domiciliatari della società di persone. L’ammissibilità del ricorso per cassazione è stata però contestata da una società di capitali che, nelle more del giudizio, aveva acquistato il credito oggetto della controversia dalla riferita società di persone. Con controricorso, la società di capitali ha difatti eccepito l’inammissibilità del ricorso promosso dall’ente locale, in quanto la società di persone doveva ritenersi estinta per effetto dell’intervenuta cancellazione della stessa dal registro delle imprese. Secondo quanto prospettato dalla società di capitali, il ricorso per cassazione non poteva difatti essere indirizzato alla società di persone, di qui l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione proposta dall’ente locale.
La Prima Sezione civile della Cassazione chiamata a pronunciarsi sul ricorso dell’Amministrazione comunale ha ritenuto necessario investire le Sezioni Unite sulla questione riguardante la sorte dei rapporti processuali pendenti, laddove una società viene cancellata dal registro delle imprese.
Per poter rispondere al quesito, le Sezioni Unite della Cassazione partono dal principio espresso tre anni fa con le sentenze n. 4060, 4061, 4062 e 4826 del 2010, in forza del quale è stato chiarito che la cancellazione dal registro delle imprese determina l’estinzione della società.
La Corte di Cassazione si vede ora interrogata sulla sorte dei rapporti facenti capo alla società estinta per effetto della cancellazione dal registro delle imprese. Si tratta di quei rapporti che non sono stati definiti durante la fase di liquidazione della società o perché trascurati (c.d. “residui non liquidati“) o perché scoperti dopo la chiusura della procedura liquidatoria (c.d. “sopravvenienze“).
Per una migliore chiarezza espositiva, i giudici di legittimità evidenziano che i “residui non liquidati” e le “sopravvenienze” possono riguardare non solo l’esistenza di debiti gravanti sulla società (c.d. “rapporti passivi“), ma anche quei crediti sui quali la società avrebbe potuto vantare dei diritti prima della cancellazione dal registro delle imprese (c.d. “rapporti attivi“).
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno evidenziato che l’estinzione della società produce pertanto un impatto sui rapporti attivi e passivi che va necessariamente analizzata non solo sotto il profilo del diritto sostanziale, ma anche sul piano processuale.
Partendo dalle questioni di natura sostanziale, le Sezioni Unite della Cassazione hanno evidenziato che il legislatore si è unicamente preoccupato di disciplinare la sorte dei “rapporti passivi” ovverosia dei debiti sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese.
Con riferimento alle società di capitali, l’art.2495 cc prevede difatti che i creditori sociali possono far valere i loro crediti non soddisfatti nei confronti dei soci sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.
E’ inoltre consentito ai creditori sociali di poter agire nei confronti dei liquidatori nel caso in cui il mancato pagamento dei debiti sociali è dipeso da colpa di questi ultimi.
L’art. 2312, comma 2, cc prevede un meccanismo analogo per le società in nome collettivo, sebbene non operi, in specie, la limitazione della responsabilità prevista per i soci di società di capitali.
Nelle società in accomandita semplice, invece, l’accomandante risponde dei debiti sociali nei limiti della sua quota di liquidazione, così come previsto dall’art. 2324 cc.
Alla luce delle disposizioni sopra richiamate, le Sezioni Unite della Cassazione ritengono che l’estinzione della società derivante dalla volontaria cancellazione dal registro delle imprese non può determinare anche l’estinzione dei debiti sociali rimasti insoddisfatti.
In caso contrario, proseguono i giudici di legittimità, si finirebbe per consentire alla società debitrice di disporre unilateralmente dei diritti dei terzi, imponendo ai creditori sociali un sacrificio inammissibile.
Per le Sezioni Unite della Cassazione, la risposta al problema deve essere dunque ricercata proprio all’interno del citato art. 2495 cc.
L’art.2495 cc impedisce difatti alla società debitrice di espropriare i creditori dei propri diritti di credito attraverso la messa in atto di un comportamento unilaterale, rappresentato dalla cancellazione dal registro delle imprese, perché evento non controllabile da parte degli stessi creditori.
E’ dunque necessario che i debiti sociali non liquidati dalla società estinta per l’intervenuta cancellazione dal registro delle imprese si trasferiscano attraverso la realizzazione di un meccanismo di tipo successorio in capo ai soci, pur nei limiti di responsabilità indicati nell’art.2495 cc.
Più precisamente, i giudici di legittimità pongono alla base del loro ragionamento la sussistenza di un meccanismo di tipo successorio che scaturisce dall’accostamento tra estinzione della società e morte di una persona fisica.
Nel caso di morte di una persona fisica, la scomparsa del debitore non determina, come noto, l’estinzione del debito.
Si attiva difatti un procedimento successorio nell’ambito del quale le ragioni dei creditori sono contemperate con le ragioni degli eredi.
Per i giudici di legittimità, una situazione analoga a quella sopra descritta, si verifica anche nel caso in cui il debitore è un ente collettivo.
Le Sezioni Unite della Cassazione ritengono difatti che l’estinzione della società dia luogo ad una successione che coinvolge i soci.
La successione, osservano i giudici di legittimità, è variamente disciplinata dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui erano caratterizzati i rapporti sociali al momento in cui l’ente collettivo era ancora attivo.
Secondo i giudici di legittimità, la correttezza della ricostruzione in termini successori del fenomeno è altresì da ricercare nell’ultima parte del comma secondo dell’art. 2495 cc, in forza del quale la domanda proposta dai creditori insoddisfatti nei confronti dei soci può essere notificata presso l’ultima sede della società, entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese.
Le Sezioni Unite della Cassazione sottolineano come vi sia un collegamento tra l’ultima parte del disposto ex art. 2495, secondo comma, cc e l’art. 303, secondo comma, cpc che consente, entro l’anno di morte della parte, di notificare l’atto di riassunzione agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto.
Si tratta, per i giudici di legittimità, della prova della sussistenza di una visione in chiave successoria del meccanismo in forza del quale i soci possono essere chiamati a rispondere dei debiti sociali rimasti insoddisfatti della società estinta.
Le Sezioni Unite della Cassazione sottolineano infine che il fenomeno successorio delineato per le società di capitali si estende anche nel caso di cancellazione dal registro delle imprese delle società di persone, sebbene le disposizioni previste dall’art.2495, comma secondo, cc non possano applicarsi a tale tipo di ente collettivo.
Con riferimento alla sorte dei “rapporti passivi“, i giudici di legittimità osservano, in definitiva, che l’estinzione della società, causata dalla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali.
Le Sezioni Unite della Cassazione si sono interrogate anche in merito all’esito dei “rapporti attivi” ovverosia dei “residui attivi non liquidati” e delle “sopravvenienze attive” della liquidazione di una società estinta, rispetto ai quali il legislatore non ha, tuttavia, emanato alcuna specifica disposizione.
Per i giudici di legittimità, la scelta della società di cancellarsi dal registro delle imprese senza tenere conto dell’esistenza di un “rapporto attivo” del quale il liquidatore aveva conoscenza, rappresenta una manifestazione tacita di volontà di rinunciare alla pretesa.
La rinuncia vale per le “mere pretese” azionate od azionabili in giudizio rispetto alle quali non è possibile individuare con sicurezza un diritto od un bene determinato all’interno del patrimonio sociale.
Ciò in quanto il diritto od il bene non avrebbe potuto essere iscritto nell’attivo del bilancio finale di liquidazione.
Le Sezioni Unite della Cassazione ritengono che si possa parlare di rinuncia anche nel caso di un “diritto di credito” controverso o non ancora liquido.
I giudici di legittimità affermano, in specie, che sussista la volontà di rinunciare al credito – incerto od illiquido – laddove il liquidatore abbia deciso di procedere alla cancellazione dal registro delle imprese della società, senza prima svolgere alcuna azione giudiziale o stragiudiziale finalizzata all’accertamento dell’esistenza del diritto del credito od alla liquidazione dello stesso.
Per i giudici di legittimità, è invece diametralmente diverso il caso in cui un bene od un diritto avrebbe potuto essere iscritto nel bilancio finale di liquidazione, se solo fosse stato conosciuto o non trascurato al tempo della liquidazione.
Detto bene o diritto avrebbe difatti potuto essere oggetto di ripartizione tra i soci.
Le Sezioni Unite della Cassazione negano che la decisione di cancellare la società dal registro delle imprese possa essere rappresentativa della volontà di rinunciare al bene o al diritto.
I giudici di legittimità si sono pertanto interrogati sulla sorte di tali “residui attivi” o “sopravvenienze“.
L’esistenza di “residui attivi” o “sopravvenienze” non giustifica innanzitutto, per i giudici di legittimità, la revoca della cancellazione dal registro delle imprese della società, né tantomeno impedisce l’estinzione dell’ente collettivo.
In presenza di “rapporti attivi” non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale, le Sezioni Unite della Cassazione ritengono che si verifichi un meccanismo successorio del tutto analogo rispetto a quanto avviene con la successione dei soci nei debiti sociali.
L’esistenza della società ed il principio di autonomia patrimoniale, osservano i giudici di legittimità, impedisce tuttavia di riferire ai soci la titolarità dei beni e dei diritti per effetto della presenza del vincolo societario.
Nel momento in cui viene meno il vincolo societario e la società si estingue, la titolarità dei beni e dei diritti “residui” o “sopravvenuti” ritornano ad essere però imputabili direttamente ai soci.
Quando ciò avviene, la mancata ripartizione del valore economico dei beni o dei diritti non iscritti nel bilancio finale di liquidazione implica, secondo quanto osservato dalle Sezioni Unite della Cassazione, che si venga ad instaurare un regime di contitolarità o di comunione indivisa tra i soci.
Per quanto concerne la sorte dei “rapporti attivi“, i giudici di legittimità convengono pertanto che, anche in detto contesto, si verifichi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale: si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.
Esaurita la trattazione dei problemi di diritto sostanziale generati dall’estinzione della società, i giudici di legittimità passano poi ad esaminare anche le importanti conseguenze processuali che derivano dalla cancellazione dal registro delle imprese dove pure si viene a determinare un fenomeno di tipo successorio.
Per la Cassazione appare innanzitutto ovvio il fatto che una società estinta, perché volontariamente cancellata dal registro delle imprese, non può né intraprendere una causa né essere parte convenuta in giudizio.
E l’impossibilità di agire od essere convenuta in giudizio di una società, scatta dal momento in cui si verifica l’estinzione dell’ente collettivo.
Maggiori sono invece i problemi interpretativi se la cancellazione dal registro delle imprese è avvenuta quando la società era parte attrice o convenuta in un giudizio già iniziato.
Se la cancellazione dal registro delle imprese e la conseguente estinzione della società è avvenuta in pendenza di una causa in cui la compagine sociale era parte, i giudici di legittimità ritengono che, in detto frangente, trovi applicazione il disposto ex art.110 cpc.
L’art. 110 cpc disciplina difatti il fenomeno della successione nel processo, il quale prevede, come noto, che il processo deve essere proseguito dal successore universale o in suo confronto, nel caso in cui la parte viene meno per morte o per altra causa.
La disposizione riguarda non solo il caso più comune della morte della persona fisica, ma anche qualsiasi altra causa per la quale la parte può venire a mancare.
Nella nozione di “altra causa” può dunque essere fatta rientrare, secondo i giudici di legittimità, anche l’estinzione della società per intervenuta cancellazione dal registro delle imprese.
Affermata la piena applicabilità del disposto ex art.110 cpc, le Sezioni Unite della Cassazione ritengono inoltre giocoforza operative anche le norme previste dagli artt.299 e seguenti cpc che regolano l’interruzione del processo e l’eventuale prosecuzione o riassunzione della causa.
Se l’estinzione della società cancellata dal registro è intervenuta in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si viene a determinare, secondo i giudici di legittimità, un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e segg. cpc, con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.
Ma cosa accade se il processo si è svolto senza interruzione e la cancellazione dal registro delle imprese della società è avvenuta nel momento di passaggio tra un grado di giudizio e l’altro ?
Si tratta di una situazione che si può verificare quando:
a) non sia stato dichiarato l’evento interruttivo nel precedente grado di giudizio;
b) l’evento interruttivo si è verificato quando non sarebbe stato più possibile dichiararlo nel precedente grado di giudizio;
c) l’evento interruttivo è intervenuto dopo la pronuncia della sentenza che ha concluso il grado di giudizio e durante la pendenza del termine per proporre impugnazione.
Per le Sezioni Unite della Cassazione, in detti frangenti, l’esigenza di stabilità del processo deve essere considerata limitata al grado di giudizio in cui si è verificato l’evento interruttivo, mentre il giudizio d’impugnazione deve essere sempre promosso da e contro i soggetti effettivamente legittimati (la c.d. “giusta parte“).
I giudici di legittimità evidenziano infatti come non appaia affatto gravoso per la parte svolgere un accertamento circa la condizione soggettiva della controparte, prima di intraprendere un nuovo grado di giudizio.
La Cassazione sottolinea, in specie, che l’evento da cui scaturisce l’estinzione della società, ovverosia la cancellazione dal registro delle imprese, è un fatto oggetto di pubblicità legale di cui la parte può facilmente avere conoscenza, effettuando le opportuni indagini prima di radicare un giudizio d’impugnazione.
Secondo i giudici di legittimità non appare pertanto ammissibile il fatto che l’impugnazione provenga dalla o sia indirizzata alla società estinta per effetto della cancellazione dal registro delle imprese.
Ciò in quanto l’evento da cui scaturisce l’estinzione della società, ovverosia la cancellazione dal registro delle imprese, è atto soggetto di pubblicità legale di cui i terzi e dunque le parti processuali possono venire a conoscenza.
Nel caso in cui l’impugnazione non sia diretta nei confronti del soggetto effettivamente legittimato o non provenga da quest’ultimo, l’impugnazione stessa deve essere pertanto dichiarata inammissibile.
In conclusione, secondo quanto affermato dai giudici di legittimità, se l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli art. 299 e seguenti cpc o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 155/2013