ISSN 2385-1376
Testo massima
Le società cooperative non sono sottratte a fallimento nel caso in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa come proporzione tra i costi ed i ricavi.
Può quindi aversi dichiarazione di fallimento della società cooperativa anche quando lo scopo mutualistico è conciliato con quello di lucro, quale obiettiva economicità della gestione, potendo i due fini coesistere ed essere rivolti al conseguimento di uno stesso risultato.
È questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, con sentenza n. 6835, depositata il 24 marzo 2014.
Nel caso di specie, una società cooperativa ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, che aveva confermato la dichiarazione di fallimento della stessa, asseritamente censurabile sotto il profilo della qualificazione della società come impresa commerciale, presupposto per la declaratoria di fallimento.
Gli Ermellini, disattendendo le argomentazioni della ricorrente, hanno osservato che il fine mutualistico delle cooperative non esclude in sé la natura di imprenditore commerciale, atteso che l’art. 2545 terdecies prevede espressamente la possibilità di dichiarare il fallimento delle cooperative, riconoscendo in tal modo che queste possono svolgere anche un’attività commerciale.
Lo scopo mutualistico, ricorda la Corte, può avere anche “gradazioni” diverse. La mutualità può essere pura, cioè caratterizzata dall’assenza di qualsiasi scopo di lucro, o può essere spuria, nel qual caso il fine mutualistico è attenuato per via di una maggiore dinamicità operativa dell’impresa anche nei confronti dei terzi non soci, considerato che sono concessi beni o servizi a terzi a fine di lucro.
Con riferimento poi al caso di specie, la Cassazione ha osservato che lo scopo di lucro non è elemento dirimente per la qualifica di imprenditore, in quanto tale qualità è desumibile semplicemente dall’esistenza di “una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi“.
A conferma dell’osservazione compiuta, il giudice di secondo grado aveva accertato la sussistenza dei seguenti elementi da cui potersi evincere la natura di attività commerciale svolta dalla cooperativa:
a) esistenza di una partita IVA;
b) commercializzazione verso terzi di prodotti agricoli conferiti dai soci, con cui la società incassa prezzo (oggetto sociale);
c) esistenza di un rapporto di lavoro con un dipendente.
Alla luce di tutte le considerazioni fatte, quindi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e confermato in via definitiva il fallimento della stessa società ricorrente.
In conclusione: lo scopo mutualistico di una società cooperativa non è inconciliabile con quello di lucro, quale obiettiva economicità della gestione, potendo i due fini coesistere ed essere rivolti al conseguimento di uno stesso risultato. Ne consegue che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2545-terdecies cc, nella parte in cui prevede la possibilità del fallimento delle cooperative, per l’accertamento della sussistenza del fine predetto, occorre avere riguardo alla struttura ed agli scopi di essa.
Testo del provvedimento
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