ISSN 2385-1376
Testo massima
La cancellazione dal registro delle imprese di una società di capitali, così come avviene per le società di persone, ne provoca l’estinzione, indipendentemente dalla sussistenza di rapporti giuridici attivi non ancora definiti in capo all’ente stesso.
Tuttavia, ove detti rapporti consistano in mere pretese, a cui non corrisponda nel patrimonio sociale alcun diritto idoneo ad essere iscritto in bilancio, gli stessi devono considerarsi rinunciati da parte della società stessa.
Detta rinuncia si configura anche per i diritti di credito illiquidi, in relazione ai quali non sia stata esperita da parte del liquidatore alcuna azione giudiziaria diretta ad ottenere la relativa liquidazione e di cui non si sia tenuto in alcun modo conto in sede di cancellazione della società dal registro delle imprese.
Questi i principi di diritto espressi dal Tribunale di Milano, Dott.ssa Silvia Brat, con sentenza emessa in data 1.04.2015.
In particolare è accaduto che gli attori, in qualità di ex soci della società cancellata dal registro delle imprese, avevano convenuto in giudizio la banca al fine di ottenere la restituzione di somme illegittimamente corrisposte a titolo di interessi anatocistici, commissioni di massimo scoperto, interessi usurari in relazione al contratto di conto corrente acceso dalla società.
Si costituiva in giudizio la banca, la quale domandava, in via pregiudiziale, l’accertamento del difetto di legittimazione attiva degli attori e, nel merito, il rigetto delle domande avversarie.
Il Tribunale rilevava che i crediti che gli attori avevano fatto valere in giudizio non erano né certi, né tantomeno liquidi al momento della liquidazione volontaria della società, ed il fatto che l’amministratore liquidatore, ben consapevole dell’esistenza del rapporto di conto corrente de quo, avesse omesso di intraprendere, in sede di liquidazione, un’azione giudiziaria diretta ad ottenere l’accertamento delle pretese oggetto di causa, doveva essere considerata una rinuncia al predetto credito da parte della società.
In questi stessi termini, risulta particolarmente significativo un precedente delle Sezioni Unite, secondo cui: “È ben possibile che la stessa scelta della società di cancellarsi dal registro senza tener conto di una pendenza non ancora definita, ma della quale il liquidatore aveva (o si può ragionevolmente presumere che avesse) contezza, sia da intendere come una tacita manifestazione di volontà di rinunciare alla relativa pretesa (si veda, ad esempio, la fattispecie esaminata da Cass. 16 luglio 2010, n. 16758); ma ciò può postularsi agevolmente quando si tratti, appunto, di mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, cui ancora non corrisponda la possibilità d’individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito, onde un tal diritto o un tal bene non avrebbero neppure perciò potuto ragionevolmente essere iscritti nell’attivo del bilancio finale di liquidazione.
Ad analoghe conclusioni può logicamente pervenirsi nel caso in cui un diritto di credito, oltre che magari controverso, non sia neppure liquido: di modo che solo di un’attività ulteriore da parte del liquidatore per lo più consistente nell’esercizio o nella coltivazione di un’apposita azione giudiziaria avrebbe potuto condurre a renderlo liquido, in vista del riparto tra i soci dopo il soddisfacimento dei debiti sociali”.
Da detta rinuncia è dunque scaturita l’impossibilità, per gli attori, di succedere in un rapporto di credito che si era estinto per effetto della rinuncia stessa.
Alla luce di quanto precede, il Tribunale ha, dunque, dichiarato il difetto di legittimazione degli attori, risultando assorbita ogni altra questione di merito.
Testo del provvedimento
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