ISSN 2385-1376
Testo massima
Può dichiararsi il fallimento della società “in house” (totalmente partecipata da enti pubblici) che non esercita un servizio pubblico essenziale di esclusiva competenza pubblicistica, poiché la stessa agisce sul mercato con finalità di lucro e si atteggia nei rapporti coi terzi come un soggetto privato, non potendosi invece desumere un ostacolo alla fallibilità dall’affermata giurisdizione del giudice contabile sulla responsabilità degli amministratori.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Reggio Emilia, Pres. Savastano Rel. Fanticini, con la sentenza del 18.12.2014 n. 150.
Nel caso di specie, una società c.d. in house presentava istanza di proprio fallimento. Il Tribunale, rilevato che la società versava in stato di insolvenza, ne ha dichiarato il fallimento.
La suddetta pronuncia ha affrontato il tema della insolvenza delle c.d. società pubbliche, sviluppando in modo analitico e puntuale tutte le questioni poste dalla evoluzione normativa, giurisprudenziale e dottrinale, pervenendo a conclusioni assolutamente convincenti, in grado di dare un assetto probabilmente definitivo al problema.
Come rilevato dal Tribunale, in giurisprudenza sono stati proposte varie soluzioni sfavorevoli alla fallibilità delle società in mano pubblica atteso che le stesse non sarebbero riconducibili alla categoria dell’imprenditore commerciale, ovvero sarebbero non costituirebbero soggetto giuridico autonomo e distinto dall’ente pubblico titolare della partecipazione, ovvero, ancora, sarebbero soggette alla giurisdizione contabile in quanto non vi sarebbe distinzione tra ente pubblico e società e, dunque, spetterebbe alla Corte dei Conti la giurisdizione nei confronti di soggetti che abbiano svolto funzioni amministrative o di controllo per atti contrari ai loro doveri d’ufficio con conseguenti danni per la società “in house”.
Invero, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, le società di capitali, pur se partecipate in misura più o meno prevalente da enti pubblici, rimangono comunque soggetti di diritto privato e, come tali, assoggettati a fallimento ai sensi dell’art. 1 l.fall.
Con l’arresto del 27 settembre 2013, la Cassazione ha affrontato funditus il tema dell’assoggettamento a procedura fallimentare delle società in mano pubblica.
Ebbene, i giudici di legittimità hanno riconosciuto l’esistenza di specifiche normative di settore che, negli ambiti da esse delimitati, attraggono nella sfera del diritto pubblico anche soggetti di diritto privato, ma proprio da ciò hanno ricavato «a contrario, che, ad ogni altro effetto, tali soggetti continuano a soggiacere alla disciplina privatistica».
Sottolineando «l’incontestabile rilievo che il rapporto tra società ed ente pubblico [sia] di assoluta autonomia», la Suprema Corte ha ribadito, pertanto, la natura privatistica, ed il conseguente assoggettamento a fallimento, delle società di capitali, malgrado l’eventuale partecipazione di enti pubblici al capitale sociale; in tale prospettiva, è stata valorizzato altresì il principio generale desumibile dall’art. 4 della l. n. 70/75, che nel prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, avrebbe impedito ogni tentativo di riqualificazione di società private in enti pubblici in mancanza di esplicita previsione legislativa.
Infine, ha concluso la Suprema Corte affermando che «la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali – e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico – comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli strumenti di tutela a disposizione dell’ordinamento, ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con le stesse forme e con le stesse modalità».
Il Tribunale, riprendendo consolidata giurisprudenza di merito, ha evidenziato come l’eventuale assoggettamento dell’attività delle società in mano pubblica a talune regole giuspubblicistiche non consente di mutarne la natura giuridica privatistica e la conseguente applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale.
Infatti, si legge nella motivazione che «l’indubbia peculiarità della governance della società in mano pubblica non esclude che questa si ponga, nei rapporti coi terzi (di carattere squisitamente privatistico), come un soggetto imprenditoriale non diverso dagli altri operatori commerciali (e, come tale, a rischio di insolvenza)».
Inoltre, ricorda il Tribunale, «la finalità pubblicistica perseguita dagli enti pubblici soci non è automatica caratteristica della società in house, la quale agisce sul mercato con finalità di lucro (da intendersi quale perseguimento quantomeno di un pareggio di bilancio se non di un vero e proprio utile)».
Invero, nel caso di specie, l’oggetto sociale della società in house consisteva in attività comunemente svolta da imprese che gestiscono patrimoni immobiliari non rinvenendosi, pertanto, in tale attività la gestione di un servizio pubblico essenziale di esclusiva competenza pubblicistica.
Sulla scorta delle suesposte argomentazioni il Tribunale ha affermato l’interessante principio secondo cui «Può dichiararsi il fallimento della società “in house” (totalmente partecipata da enti pubblici) che non esercita un servizio pubblico essenziale di esclusiva competenza pubblicistica, poiché la stessa agisce sul mercato con finalità di lucro e si atteggia nei rapporti coi terzi come un soggetto privato, non potendosi invece desumere un ostacolo alla fallibilità dall’affermata giurisdizione del giudice contabile sulla responsabilità degli amministratori».
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 35/2014