ISSN 2385-1376
Testo massima
La fusione per incorporazione di una società in un’altra, alla stregua di quanto dispone il novellato art. 2504-bis, comma 1, c.c., non è causa di interruzione del processo del quale quella società sia parte.
E’ questo il principio di diritto statuito dal Consiglio di Stato, sezione terza, con sentenza n. 4518, pronunziata in data 12/09/2013, a seguito del ricorso presentato da un medico dell’ASL avverso la decisione del Tar Calabria Catanzaro concernente il trattamento economico per lo svolgimento di funzioni superiori.
Nel caso di specie, il medico aveva censurato la sentenza del Tar con la quale l’Asl non era stata condannata al pagamento delle spese processuali, sebbene il comportamento processuale della predetta giustificasse appieno una condanna.
Costituitasi l’Asl, deduceva che, ai fini dell’eventuale integrazione del contraddittorio, l’Asl di Lamezia Terme era stata soppressa ed accorpata nell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro, ex art. 7 L.R. n.9 del 2007.
Ebbene, il Consiglio di Stato, chiamato a pronunziarsi sulla questione de quo, premesso che ex art. 7 L.R. n.9 del 2007 le aziende sanitarie preesistenti sono accorpate per legge in altre aziende sanitarie le quali “subentrano nelle funzioni e nei rapporti attivi e passivi relativi alle Aziende preesistenti, in ragione dell’ambito provinciale di riferimento”, ha stabilito che non si verifica un trasferimento di funzioni o la mera soppressione di un ente pubblico, bensì un fenomeno simile alla fusione che può riguardare società di diritto privato.
Inoltre, il Collegio, dando seguito ad un precedente orientamento giurisprudenziale, ha evidenziato come la fusione per incorporazione di una società in un’altra, in virtù di quanto disposto ex art. 2504 bis comma 1 cc, non è causa di interruzione del processo del quale la società sia parte, trattandosi di un evento da cui consegue non già l’estinzione della società incorporata, bensì l’integrazione reciproca delle società partecipanti all’operazione, ossia di una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.
Di conseguenza, la successione tra enti pubblici, per quanto disposta ope legis, comporta, a carico di tutti i funzionari e procuratori legali coinvolti, un dovere istituzionale di assicurare la continuità dell’azione amministrativa, anche monitorando, riattivando e proseguendo le azioni giudiziarie in corso.
In conclusione, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, nella fattispecie de qua, potesse applicarsi in analogia il principio secondo il quale l’estinzione della società fusa o incorporata che consegue alla fusione non è fenomeno riconducibile alla morte e non è quindi un evento suscettibile di causare l’interruzione del processo, in considerazione del suo carattere volontario e prevedibile per la parte che vi da causa, non essendoci pertanto alcuna esigenza di tutela della società risultante dalla fusione e incorporante.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6059 del 2006, proposto da:
P.A.
contro
Azienda Sanitaria Locale
per la riforma della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO, SEZIONE II, n. 00290/2006, resa tra le parti, concernente trattamento economico per svolgimento funzioni superiori – ottemperanza.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. L’attuale appellante dott. P., all’epoca dei fatti aiuto presso l’Ospedale di Lamezia Terme, ha proposto ricorso al T.A.R. Calabria.
Il ricorrente asseriva di aver assunto la responsabilità del Servizio di Gastroenterologia, fisiopatologia ed endoscopia digestiva fin dalla sua istituzione, approvata con delibera del Consiglio di amministrazione n. 1742 in data 19 dicembre 1980 (responsabilità formalmente affidata dalla USL n. 17 con Delib. n. 278 in data 8 aprile 1988; mentre il posto di aiuto di Medicina di cui era titolare è stato trasformato in un posto di aiuto di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva con delibera della USL n. 17 n. 580 in data 25 maggio 1989, e l’autorizzazione ad attivare il servizio è intervenuta con d.G.R. n. 6 in data 8 gennaio 1992).
Su queste premesse il ricorrente chiedeva di:
– annullare la d.G.R. n. 3731 in data 1 settembre 1992, con cui era stata annullata detta d.G.R. 6/1992;
– dichiarare l’illegittimità del silenzio rifiuto serbato dalla USL sulla propria domanda di attribuzione della qualifica apicale (ex XI livello, quale aiuto dirigente), dal conseguimento dell’idoneità primariale, e di corresponsione delle differenze retributive, con decorrenza 19 dicembre 1980;
– annullare le delibere della USL n. 1218/AS (di presa d’atto della d.G.R. n. 3731/1992), n. 1219/AS (di revoca della Delib. n. 580 del 1989) e n. 1220/AS (di revoca della Delib. n. 278 del 1988), tutte in data 27 novembre 1992.
2. Il TAR Calabria, con sentenza n. 581/1997, ha:
– annullato la d.G.R. n. 3731/1992 per difetto di motivazione;
– annullato le delibere della USL nn. 1218, 1219 e 1220/AS, quali atti consequenziali;
– accolto il ricorso avverso il silenzio rifiuto, dichiarando l’obbligo di provvedere sulla domanda, precisando al riguardo che il carattere autonomo del Servizio di Gastroenterologia ha assunto rilievo solo dall’8 gennaio 1992, e che trova applicazione l’orientamento giurisprudenziale sulla spettanza del trattamento primariale dopo i primi sessanta giorni, ex artt. 7 del D.P.R. n. 128 del 1969, 29, comma 2, del D.P.R. n. 761 del 1979, 36 Cost. e 2126 c.c..
3. Il dott. P., una volta andati in perenzione gli appelli della USL e della Regione, ha chiesto al TAR Calabria l’esecuzione del giudicato, chiedendo l’attribuzione della qualifica primariale e la corresponsione del trattamento dall’8 gennaio 1992, con rivalutazione ed interessi e con assolvimento degli oneri previdenziali connessi.
Il TAR Calabria, con la sentenza appellata (Catanzaro, n. 290/2006), ha parzialmente accolto il ricorso, affermando:
– che la sentenza n.581/1997 non aveva stabilito che al ricorrente dovesse essere attribuita la qualifica apicale;
– che il giudicato riguarda solo le pretese retributive per lo svolgimento delle funzioni primariali a partire dall’8 gennaio 1992, trascorsi i sessanta giorni di sostituzione vicaria;
– che spettano le differenze retributive ma limitatamente a sei mesi, in forza del sopravvenuto art. 121 del DPR n.384 del 1990, oltre alla rivalutazione ed agli interessi;
– che non vi è luogo a pronuncia sulle spese.
4. L’interessato appella, in parte qua.
Lamenta che il TAR, applicando falsamente l’art.121, comma 7, del D.P.R. n.384 del 1990, abbia limitato a soli sei mesi il diritto alle differenze retributive; non abbia condannato l’ASL all’assolvimento degli oneri contributivi e previdenziali sul conguaglio retributivo; non abbia condannato l’ASL al pagamento delle spese.
Precisa che l’ASL, in esecuzione della sentenza, ha adottato la Delib. n. 533 in data 9 maggio 2006, senza fare alcun cenno agli oneri previdenziali.
Sostiene che vi fosse necessità di pronuncia sulle spese, non ostandovi la mancata costituzione dell’ASL, e che il comportamento processuale della ASL giustificava appieno una condanna.
5. L’ASL di Lamezia Terme si è costituita in giudizio e controdeduce puntualmente.
Sottolinea anche, ai fini dell’eventuale integrazione del contraddittorio, che, con d.G.R. n. 272 in data 22 maggio 2007, l’ASL n. 6 di Lamezia Terme è stata soppressa ed accorpata nell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro, ai sensi dell’art. 7 della L.R. n. 9 del 2007.
6. Il Collegio affronta anzitutto la rilevanza in rito di detto accorpamento intervenuto in corso di giudizio.
L’integrale rinvio, operato dall’art. 79, comma 2, cod. proc. amm., al Codice di procedura civile comporta che le regole in esso stabilite sono applicabili al processo amministrativo.
Nel caso in esame, posto che, ex art. 7 della L.R. n. 9 del 2007, le aziende sanitarie preesistenti “sono accorpate” per legge in altre aziende sanitarie le quali “subentrano nelle funzioni e nei rapporti attivi e passivi relativi alle Aziende preesistenti, in ragione dell’ambito provinciale di riferimento“, non si verifica un trasferimento di funzioni o la mera soppressione di un ente pubblico, bensì un fenomeno simile alla fusione che può riguardare società di diritto privato.
E’ stato affermato che la fusione per incorporazione di una società in un’altra, alla stregua di quanto dispone il novellato art.2504-bis, comma 1, cc., non è causa di interruzione del processo del quale quella società sia parte, trattandosi di un evento da cui consegue non già l’estinzione della società incorporata, bensì l’integrazione reciproca delle società partecipanti all’operazione, ossia di una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo (cfr. Cons. Stato, A.P., 7 giugno 2012, n. 21). Ed effettivamente, la successione tra enti pubblici, per quanto disposta ope legis, comporta, a carico di tutti i funzionari ed i procuratori legali coinvolti, un dovere istituzionale di assicurare la continuità dell’azione amministrativa, anche monitorando, riattivando e proseguendo le azioni giudiziarie in corso. Pertanto, può applicarsi a tale fattispecie, in analogia, il principio secondo il quale l’estinzione della società fusa o incorporata che consegue alla fusione non è fenomeno riconducibile alla morte e non è, quindi, un evento suscettibile di causare l’interruzione del processo, in considerazione del suo carattere volontario, prevedibile per la parte che vi da causa e frequente e non vi è, quindi, alcuna esigenza di tutela della società risultante dalla fusione e incorporante (cfr. Cass. lav., 15 febbraio 2013, n. 3820; SS.UU. 19 settembre 2010, n. 19698 e n. 19509).
Alla luce di detti orientamenti, il Collegio non ritiene sussistano i presupposti per dover disporre l’interruzione del giudizio (in continuità, del resto, con quanto ritenuto dalla giurisprudenza in vigenza dell’art.24 della L. n.1034 del 1971, che richiamava l’applicabilità delle norme del c.p.c. sull’interruzione con riferimento alle sole “parti private”).
7. Nel merito l’appello è fondato e deve pertanto essere accolto.
Premesso che, ai sensi dell’art.29, comma 2, del D.P.R. n.761 del 1979 e 7 del D.P.R. n.128 del 1969, 1969, vanno riconosciute le differenze retributive all’aiuto corresponsabile che ha svolto le funzioni del primario su posto vacante per un periodo superiore ai 60 giorni per anno solare, l’obbligo di corresponsione delle relative differenze retributive non incontra il limite dei sei mesi previsto dall’art.121, comma 7, del D.P.R. n. 384 del 1990, posto che quest’ultima previsione normativa si limita a vietarne il rinnovo alla scadenza del periodo massimo di sei mesi, ma non preclude il riconoscimento della spettanza delle differenze retributive quando l’Amministrazione, contravvenendo a tale divieto, rinnovi l’incarico o permetta la prosecuzione dell’espletamento delle mansioni superiori anche oltre il tempo massimo previsto, salva la responsabilità anche erariale dell’Amministrazione stessa (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, III, 18 gennaio 2013, n. 286; 3 maggio 2013, n. 2404; 8 febbraio 2012, n. 674; V, 4 marzo 2011, n. 1406; 20 maggio 2010, n. 3192).
La difesa della ASL eccepisce che la limitazione del periodo di spettanza operata dal TAR deriva dal fatto che come termine finale della pretesa si doveva intendere la data di notifica dell’originaria diffida prima del ricorso al TAR.
Ma ciò, osserva in contrario il Collegio, non risulta dagli atti. Il ricorso non contiene una simile limitazione, e non vi sono ragioni per dedurla altrimenti.
In conclusione sul punto, l’Azienda deve essere condannata al pagamento delle differenze retributive per tutto il periodo di svolgimento delle funzioni primariali successivo ai primi sessanta giorni per anno solare.
Anche riguardo alla ricostruzione della posizione previdenziale, il Collegio non ravvisa ragioni per escludere il riconoscimento della pretesa, strettamente consequenziale a quello delle pretese economiche e, comunque, univocamente avanzata dall’appellante dinanzi al TAR, ma implicitamente disattesa nella sentenza di primo grado.
In caso di mancata ottemperanza dell’ASP di Catanzaro a quanto appena statuito, scaduto il termine di sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, all’esecuzione provvederà, su richiesta dell’appellante ed entro il successivo termine di sessanta giorni, il medesimo commissario ad acta previsto dalla sentenza appellata (non ostandovi più – per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 12 luglio 2013, n.186, che ne ha sancito l’illegittimità costituzionale – quanto disposto in materia di blocco delle azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie dall’art.1, comma 51, della L. n.220 del 2010, come modificato dall’art.17, comma 4, lettera e), del D.L. n.98 del 2011, conv. in L. n.111 del 2011, e dall’art.6-bis, comma 2, lettere a) e b), del D.L. n. 158 del 2012, conv. in L. n.189 del 2012).
Infine, in ordine alle spese, sembra che il TAR abbia effettivamente travisato la situazione processuale, risultando necessaria una pronuncia sulla domanda e non essendovi alcun elemento che deponga nel senso di una compensazione implicitamente disposta. Tuttavia, considerata la natura della controversia e la mancanza, all’epoca, di un orientamento univoco sulle questioni controverse, la compensazione delle spese sembra effettivamente la decisione più equa.
8. Anche delle spese di questo grado di giudizio, per le medesime considerazioni, può disporsi l’integrale compensazione.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e limiti indicati in parte motiva.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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Numero Protocolo Interno : 564/2013