Segnalata dall’Avv. Daniele Magnani del Foro di Milano
Anche nelle società di persone la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, determina il venir meno della capacità e soggettività dei soci, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali.
In caso di cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, i singoli soci non sono legittimati all’esercizio di azioni giudiziarie la cui titolarità sarebbe spettata alla società prima della cancellazione ma che essa ha scelto di non esperire, sciogliendosi e facendosi cancellare dal registro, atteso che, in tal modo, la società ha posto in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a quelle azioni, facendo così venir meno l’oggetto stesso di una trasmissione successoria ai soci.
La cancellazione diviene così espressione di una volontà di rinuncia tacita ai diritti litigiosi o illiquidi.
Questi i principi espressi dalla Cassazione Civile, sez. prima, Pres. Dogliotti – Rel. Di Marzio, n. 23269 del 15.11.2016.
Nel caso di specie, due ex soci di una Società S.n.c. scioltasi senza liquidazione con conseguente cancellazione, avevano convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Pescara una Banca con la quale detta società intratteneva un rapporto di conto corrente, al fine di ottenere la declaratoria di nullità della clausola concernente la determinazione degli interessi in base agli usi su piazza, della clausola concernente la capitalizzazione trimestrale di interessi, competenze, spese ed oneri, dell’addebito della commissione di massimo scoperto, dell’addebito di interessi ultralegali applicati sulla differenza in giorni-banca tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta, chiedendo altresì di verificare l’osservanza del tasso soglia, il tutto con condanna della banca convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate ovvero riscosse, con i danni e le spese.
La Banca convenuta aveva formulato eccezione di incompetenza territoriale, difetto di legittimazione attiva, nullità della citazione ed intervenuta prescrizione, contestando il merito dell’avversa pretesa.
Il Tribunale di Pescara, con sentenza non definitiva, disattese pregiudiziali e preliminari, aveva dichiarato la nullità delle pattuizioni di capitalizzazione trimestrale degli interessi e di determinazione dei medesimi in base agli usi su piazza, provvedendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio.
Contro la sentenza di primo grado aveva proposto appello l’Istituto di credito convenuto, il quale era stato respinto dalla Corte d’appello dell’Aquila in base alla rilevata infondatezza dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva, in considerazione del fatto che gli appellati erano gli unici soci della disciolta società, i quali avevano precisato che la fase di liquidazione era stata omessa per essere stati già onorati tutti i debiti sociali ed avevano delegato uno di questi a riscuotere le sopravvenienze attive ed a pagare eventuali debiti ulteriori, di guisa che la delega sottintendeva l’avvenuto trasferimento dalla società ai due soci di tutti i residui crediti e debiti dell’ente.
Parimenti infondate sono state considerate tutte le altre eccezioni proposte dall’appellante.
Contro la sentenza d’appello la Banca proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, concernenti la statuizioni della Corte territoriale in ordine alla legittimazione attiva degli ex soci, alla sussistenza della competenza territoriale del Tribunale di Pescara, alla validità dell’originario atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, al rigetto dell’eccezione di prescrizione fatta valere dalla società nonché in ordine alla nullità della clausola di anatocismo.
La Corte ha ritenuto errata la soluzione fornita dalla Corte d’Appello in merito alla considerazione per cui la dicitura contenuta nell’atto di scioglimento, con il quale i soci avevano delegato uno solo di questi a riscuotere le sopravvenienze attive, sottintendesse l’avvenuto trasferimento dalla società ai due soci di tutti i residui crediti e debiti dell’ente, con conseguente loro legittimazione attiva.
Richiamando precedenti decisioni rese a Sezioni Unite, la Corte ha ritenuto che anche nelle società di persone, la cancellazione dal registro delle imprese, pur avendo natura dichiarativa, determini il venir meno della capacità e soggettività dei soci, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali; ciò in quanto in tal modo, la società pone in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare alle azioni giudiziarie eventualmente esperibili, divenendo la cancellazione espressione di una volontà di rinuncia tacita ai diritti litigiosi o illiquidi.
In particolare i giudici di legittimità hanno ritenuto che, versandosi nel caso di specie in ipotesi di diritti ancora incerti o illiquidi, il fenomeno successorio di regola generato dallo scioglimento della società non potesse dirsi verificato, mentre doveva ritenersi che la società avesse implicitamente rinunciato a detti diritti poi fatti valere in giudizio dagli ex soci, a nulla valendo la circostanza che l’atto di scioglimento della società contenesse la delega ad uno dei soci a riscuotere le sopravvenienze attive, giacché l’espressione era riferibile ad attività non compiutamente venute ad esistenza al momento della redazione del bilancio conclusivo, mentre, nella specie, il preteso credito reclamato discendeva dalla invalidità delle clausole del contratto di conto corrente, che la società avrebbe potuto far valere al momento dello scioglimento e che invece non ha inteso azionare, così tacitamente ma inequivocamente rinunciandovi.
In base ai suesposti rilievi la Corte ha accolto il primo motivo di ricorso, assorbito gli altri, cassato la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito, ha rigettato l’originaria domanda, compensando le spese dell’intero giudizio.
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