Negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani del consumatore è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione previsto dall’art. 8, comma 4, della legge n. 3 del 2012, ed al di là delle fattispecie di continuità aziendale, purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme ad essi spettanti o, con riferimento ai piani del consumatore, purché sia data ad essi la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Genovese – Rel. Terrusi, con la sentenza n. 17834 del 03.07.2019.
IL RIFERIMENTO NORMATIVO
LEGGE 27 gennaio 2012, n. 3
Art. 8 – Contenuto dell’accordo o del piano del consumatore
Quarto comma
“La proposta di accordo con continuazione dell’attività d’impresa e il piano del consumatore possono prevedere una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”.
LA CONTROVERSIA
La vicenda giudiziaria ha avuto origine con la proposta formulata da un debitore di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi alla L. n. 3 del 2012, art. 8, comma 1.
Il giudice delegato del tribunale di Civitavecchia rigettava la domanda di omologazione, atteso che questa aveva previsto – per quanto in effetti rileva – il pagamento dilazionato di un credito ipotecario della Banca.
Il debitore aveva proposto reclamo, a sua volta respingo dal Collegio, sulla base di tre considerazioni:
- perché, anche ammettendo l’ipotesi di una interpretazione analogica della moratoria per il pagamento dei creditori prelatizi prevista per il concordato preventivo, tale opzione non poteva che riguardare il caso, non ricorrente nella specie, della proposta di accordo con continuazione dell’attività d’impresa, solo per questa ipotesi potendo ricorrere l’identità di ratio rispetto alla disciplina del concordato in continuità L. Fall., ex art. 186-bis;
- perché, alla luce della letterale formulazione della L. n. 3 del 2012, art. 8, comma 4, il debitore può proporre la dilazione solo nei termini sopra indicati, mentre il piano proposto dal ricorrente non contemplava alcuna continuità;
- perché in ogni caso, nel silenzio della legge, la procedura non liquidatoria non poteva che riferirsi al parametro di ragionevole durata di cui alla cd. legge Pinto, e dunque a un massimo di durata di sei anni, essendo quella di sovraindebitamento una procedura concorsuale; e nella specie la dilazione di pagamento era stata prevista, quanto al credito della banca in sedici anni.
Ha fatto seguito il ricorso per cassazione promosso dal debitore sulla scorta di tre motivi.
Col PRIMO MOTIVO il ricorrente, denunziando la violazione ed erronea interpretazione della L. n. 3 del 2012, art. 8, L. Fall., artt. 186-bis e 177, ha censurato la decisione del tribunale nella parte in cui ha affermato che la dilazione di pagamento oltre l’anno dall’omologazione dell’accordo è ammissibile solo in presenza di una proposta con continuità d’impresa, quando invece la dilazione andrebbe considerata ammissibile a prescindere dal menzionato presupposto, in applicazione analogica della L. Fall., art. 177.
Col SECONDO MOTIVO, il ricorrente ha censurato la decisione nella parte in cui ha ritenuto ostativo il parametro della ragionevole durata del processo desunto dalla Legge Pinto, quando invece la detta legge poteva utilmente esser richiamata solo nei limiti della durata della procedura giudiziale fino all’omologazione, non anche in relazione alla fase successiva di esecuzione dell’accordo omologato.
Col TERZO MEZZO, infine, il ricorrente, deducendo violazione e falsa interpretazione degli artt. 12 preleggi, L. Fall., artt. 160, 186-bis e 177, ha censurato la decisione nella parte in cui ha escluso la possibilità di un’interpretazione analogica delle norme della legge fallimentare relative alla libertà della forma e del contenuto della proposta e di dilazionamento dei pagamenti oltre l’anno, a fronte invece del comune dato costituito dalla natura concorsuale della procedura.
Nel pronunciarsi sui motivi di ricorso – accogliendoli, per quanto di ragione – la Suprema Corte ha corposamente argomentato sul contesto normativo e giurisprudenziale, osservando preliminarmente l’assenza di specifici precedenti di legittimità sulla medesima questione.
Preliminarmente, gli Ermellini hanno giudicato non dirimente la circostanza che la dilazione a sedici anni fosse legata alla durata residua del mutuo ipotecario – ancora in essere – in quanto la parificazione “sostanziale” della situazione di sovraindebitamento a quella di “insolvenza” consente comunque di poter ritenere esigibile per l’intero il debito residuo con la banca.
Infatti, per consolidata giurisprudenza, lo stato di insolvenza, cui fa riferimento l’art. 1186 c.c. ai fini della decadenza del debitore dal beneficio del termine, è costituito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, la quale renda verosimile l’impossibilità da parte di quest’ultimo di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Ciò premesso, il Collegio ha evidenziato l’analogia tra le procedure di composizione della crisi e l’istituto concordatario, analogia che consentirebbe – secondo la tesi del ricorrente – di prospettare l’accordo nel senso di prevedere una dilazione di pagamento dei crediti ipotecari, a prescindere dalla ipotesi della continuità d’impresa, in applicazione del principio di libertà delle forme (art. 8).
Condividendo la prospettazione del debitore, la Cassazione ha notato che le speciali procedure da sovraindebitamento (L. n. 3 del 2012, art. 7 e seg. come modificata) hanno avuto la funzione di colmare almeno in parte una lacuna dell’ordinamento: in tal guisa, come da più parti è stato osservato, esse hanno esteso il principio della concorsualità oltre il limite tradizionalmente segnato dall’insolvenza dei soli debitori commerciali di dimensioni non piccole (cfr. art. 6, comma 1).
L’ampliamento è stato realizzato attraverso l’introduzione di una disciplina peculiare e differenziata, che però trova fondamento nella condivisione della natura concorsuale e concordataria dell’accordo di cui si tratta.
Invero è netta nella disciplina normativa la similitudine con l’istituto del concordato preventivo. La composizione della crisi difatti è una procedura che mira all’omologazione giudiziale di una proposta di accordo, che il debitore in stato di sovraindebitamento, non suscettibile di essere dichiarato fallito (L. Fall., art. 1), formula ai propri creditori.
Si tratta cioè di un accordo dal contenuto non predeterminato dalla legge che, in caso di esito positivo del procedimento, vincola “tutti i creditori”.
Operando un simile parallelismo, i giudici di legittimità hanno richiamato la disciplina del “voto” assegnato ai creditori privilegiati quale contraltare della soddisfazione non integrale degli stessi, osservando come, in sostanza, nel concordato preventivo è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati o con prelazione, ma equiparando i creditori ai chirografari ai fini del voto, per la parte del credito che si possa in tal senso ritenere non interamente soddisfatto.
Secondo la Suprema Corte, tali principi possono esser traslati nel contesto degli accordi di composizione, avuto riguardo alla esattamente conforme disciplina contenuta nella L. n. 3 del 2012, art. 7, comma 1 e art. 11, comma 2.
È dunque errato affermare che, nella procedura di accordo ex lege n. 3 del 2012, sia precluso al debitore proporre una dilazione di pagamento del creditore ipotecario al di là della fattispecie di continuità d’impresa e al di là del termine previsto dalla disposizione sopra citata.
Particolarmente interessante è la chiave di lettura offerta dal Collegio in merito alla circostanza che il piano del consumatore invece non prevede la possibilità del voto: tale asimmetria può essere colmata, in via interpretativa, nell’ambito delle regole che attengono a quel piano; regole che, per come formulate, non escludono la possibile rilevanza di libere e appropriate forme di manifestazione di volontà cui associare la tutela del creditore.
Nell’accogliere, poi, anche il terzo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha censurato l’osservazione del tribunale, che aveva mostrato di ritenere la prospettata dilazione illegittima in quanto, per le procedure non liquidatorie come quella in esame, il parametro di ragionevole durata andrebbe ravvisato facendo riferimento al periodo di sei anni previsto dalla legge Pinto per le procedure concorsuali.
La sottolineatura del termine di ragionevole durata non serve a sostenere la tesi, non tanto perché la procedura giudiziale di accordo si chiude con l’omologazione (a tal riguardo potrebbe obiettarsi che anche la fase esecutiva L. n. 3 del 2012, ex art. 13 postula sub-procedimenti fino allo svincolo delle somme e alla cancellazione della trascrizione dei pignoramenti), quanto perché è eccentrico ipotizzare un divieto (sostanziale) di dilazione del debito in nome della durata ragionevole del processo, finanche esecutivo.
A parere del Collegio non è dubbio che prevedere un tempo di adempimento molto lungo (nella specie sedici anni) potrebbe incidere sulla procedura di liquidazione del patrimonio, cui i creditori perverrebbero a tale distanza di tempo; e finanche sullo scopo ultimo della procedura da sovraindebitamento, che è l’esdebitazione. Tuttavia, le possibili perplessità dinanzi a piani di pagamento con orizzonte temporale rilevante non impongono la conseguenza di una illegittimità tout court di previsioni di pagamenti rateali ultrannuali. Esse non sono cioè decisive, perché il punto resta per intero suscettibile di esser compreso nella valutazione di convenienza, notoriamente riservata ai creditori che hanno diritto di voto. Sono difatti i creditori a dover valutare se, in casi simili, una proposta di accordo del tipo di quella indicata, implicante pagamenti dilazionati, sia o meno conveniente a fronte delle possibili alternative di soddisfacimento.
Quel che è certo, però, è che il tribunale non può affermare, se non violando i principi informatori della materia, che un accordo del genere di quello indicato di per sè non sia omologabile.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Corte ha accolto il ricorso, cassato il decreto impugnato e rinviato, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale di Civitavecchia.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
SOVRAINDEBITAMENTO: LA DOMANDA DI LIQUIDAZIONE EX ART.14 TER E SS È ASSIMILABILE ALLA PROCEDURA FALLIMENTARE
IL PIGNORAMENTO DI 1/5 DELLO STIPENDIO NON È OPPONIBILE ALLA PROCEDURA
Decreto | Tribunale di Milano, Giudice Luca Giani | 18.02.2019 |
SOVRAINDEBITAMENTO: LA MORATORIA ANNUALE DEI PRIVILEGIATI SI RIFERISCE ALL’INIZIO DEL PAGAMENTO
LA VIOLAZIONE DELL’ART.124 BIS TUB È CAUSA DI SOVRAINDEBITAMENTO
Decreto | Tribunale di Napoli Nord, dott. A. S. Rabuano | 21.09.2018 |
SOVRAINDEBITAMENTO: IL DECRETO CHE ANNULLA L’OMOLOGA NON È RICORRIBILE PER CASSAZIONE
TALE PROVVEDIMENTO NON HA NATURA NÉ DEFINITIVA NÉ DECISORIA IN QUANTO RIPROPONIBILE
Ordinanza | Corte di Cassazione, sezione VI, Pres. Dogliotti – Rel. Terrusi | 01.08.2017 | n.19117
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